San Rocco (16 agosto). Un Santo e un cane

Tintoretto, San Rocco benedice gli animali, 1567. Venezia, Scuola grande di San Rocco

Può essere sbagliato rileggere la storia con occhi troppo moderni, perché c’è il rischio di attribuire a personaggi di un tempo sensibilità, problematiche e risposte del tutto anacronistiche e impossibili. Tuttavia c’è qualcosa, nella vicenda di San Rocco di Montpellier (1345-1379), che ci richiama ai giorni nostri.

La peste, San Rocco e… il Covid

Prima di tutto, san Rocco è il patrono dei volontari. Non potrebbe essere diversamente, dato che durante il flagello della peste si pose a servizio dei malati. Lo fece in molti luoghi, perché la sua vita era itinerante da quando si era posto in cammino per Roma e poi sulla via del ritorno a Montpellier; e la pestilenza, dal 1348, aveva continuato ad infuriare a lungo in Europa.

La peste proveniva dalla Cina attraverso Siria e Turchia e dopo aver infettato tutta l’Europa ed avere ucciso un terzo della popolazione, una ventina di milioni di persone su un totale di sessanta, si estinse. Era stata trasmessa dai ratti attraverso le pulci. Quando le navi venivano messe in quarantena, ciò serviva ad isolare l’equipaggio, ma non i ratti che sbarcavano ugualmente diffondendo ovunque il contagio. Furono risparmiati in particolare Milano e la Polonia, dove governi particolarmente autoritari avevano bloccato la circolazione di merci e persone dall’esterno.

Fino al Settecento, la peste continuò a tornare per ondate successive a colpire le popolazioni europee; altri focolai di infezione si registrarono fino ai primi dell’Ottocento. Fu la grande epidemia per molti secoli. Il nostro Santo la combatté con l’assistenza e con la preghiera fino ad ammalarsene. Per questo è il santo patrono degli ammalati di malattie infettive, e secondo un sondaggio compiuto nel 2020 (QUI) la maggioranza dei cattolici europei, nell’emergenza Covid-19 si è rivolta all’intercessione di San Rocco (23%), subito dopo che a S. Rita (48%) come patrona delle cause perse.

San Rocco e gli animali

Quando San Rocco contrasse la peste, si isolò in una grotta presso Piacenza. Un cane lo mantenne in vita portandogli ogni giorno del pane perché si cibasse, proprio come fanno i volontari con le persone anziane o malate o isolate in quarantena… Per questo San Rocco è patrono anche dei cani.

Ma la vicenda di Piacenza non è finita qui. Appena trovò le forze, Rocco tornò in città ad assisterne gli abitanti, poi si ritirò nuovamente nel bosco. Lì, gli animali selvatici colpiti da epizoozia gli si avvicinarono per chiedergli aiuto: curò anche loro, li benedisse e li lasciò liberi di tornare alla vita silvana. Questa sensibilità «francescana» caratterizza marcatamente anche il Santo, che prendeva ispirazione dal terz’ordine di San Francesco.

Quando poi San Rocco tornò alla sua città di origine, o comunque sulla strada del ritorno, probabilmente a Voghera, lo scambiarono per una spia. Il santo, rifiutando, per umiltà, di discolparsi, finì in carcere dove morì cinque anni dopo senza farsi riconoscere. Le vicende politiche lo travolsero senza che egli ne avesse colpa: lo accettò come prova estrema di santificazione.

I tradizionali attributi iconografici di San Rocco sono l’abito del pellegrino, i segni della peste su una gamba, il cane – in atto di recargli il pane.

Il cane nella Bibbia

Filippino Lippi, Tobia, l’angelo e il cane

Amico dell’uomo? Nella Bibbia, molto poco: quando vi compare, il cane è piuttosto un animale selvatico e ostile, assimilabile ad una belva: sciacallo, più che animale domestico.

Nel libro di Tobia

Soltanto nel libro di Tobia, recente e di ambiente persiano, il cane compare, anche se fugacemente, come fedele amico che accompagna il giovane Tobia nel suo avventuroso viaggio fin dalla sua partenza e poi nel suo felice ritorno. Nella Volgata di S. Gerolamo, addirittura, «il cane che li aveva accompagnati per via corse innanzi e, sopraggiungendo come un messaggero, esprimeva la sua gioia agitando la coda» (Tb 11,9 Vg).

San Gerolamo non arriva al punto di chiamare il cane «angelus», lo chiama però «nuntius», cioè, in latino, messaggero («angelo», in greco), messaggero di gioia: a suo modo, angelo di seconda categoria. Anche se nella logica del testo originario questo cane non ha altra funzione, la sua stessa presenza ha un significato: come nel caso dell’asina di Balaam (Nm 22), suggerisce che nel viaggio della vita l’uomo non è solo, ma è accompagnato dai fratelli maggiori, gli angeli, che non riesce a vedere o riconoscere, e dai fratelli minori, gli animali che sono a suo servizio, ma anche suoi compagni di viaggio.

Nel Nuovo Testamento

Gustave Doré, Il mendicante Lazzaro e i cani

Nel Nuovo Testamento, poi, il cane viene menzionato solo 5 volte, di cui due sono significative: gli scherzosi «cagnolini», che rappresentano i pagani che si possono nutrire delle briciole che cadono dalla tavola dei figli (Mc 7,24-30 par. Mt 15,21-28), e i cani che lambiscono le piaghe del povero Lazzaro, gli unici, benché impuri, a non avere disgusto di lui ed a fargli compagnia (Lc 16,19-31).

Cani famosi

Alcuni sono storici esemplari della nobile razza canina, altri sono appartenenti al mondo della fantasia.

Balto con Gunnar Kaasen nel 1925. Di Brown Brothers, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3607283

Tra i cani «veri» passati alla storia annoveriamo innanzi tutto Balto (1919-1933), celebre cane da slitta non solo vincitore di molte corse, ma anche protagonista della «corsa del siero» grazie alla quale, ultimo di una staffetta di 20 mute di cani, consegnò il siero che salvò i bambini di Nome, in Alaska, dalla difterite. I cani avevano percorso in poco più di 5 giorni, a 40° sotto zero, una distanza che i normali corrieri percorrevano in 25 giornate.

Di Elvio Barlettani – https://natureofbeast.typepad.com/the_nature_of_the_beast/2010/05/dog-on-a-train.html, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=74187109

Il nostro Lampo, cane della stazione di Campiglia Marittima, viene buon secondo: viaggiava sui treni a suo piacimento, e trovava sempre la strada di casa.

L’inaugurazione del monumento a Fido, alla presenza dello stesso animale. Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4675543

Segue tutta la serie dei cani fedeli, come il giapponese Hachiko (1923-1934) e il toscano Fido (1941-1958) che per tutta la loro vita hanno atteso senza mai stancarsi il ritorno del padrone, cui si saranno poi ricongiunti in morte, perché su questa terra l’avevano perduto per sempre. Ad essi associamo tutti i nostri amici che allietano e consolano l’esistenza di tante persone.

Innumerevoli sono poi gli episodi in cui un cane salva uno o più esseri umani: bambini, anziani, malati. Ricordo di aver letto anni fa di un cane che in Australia aveva mantenuto in vita per una settimana il padrone, paralizzato da un ictus, dandogli da bere. Quando l’uomo fu soccorso, i figli capirono come aveva fatto: ponendogli regolarmente sulla bocca, per giorni e giorni, un asciugamano inzuppato d’acqua.

Però lasciatemi spendere anche una parola per i gatti. In molti casi sono i gatti che hanno salvato in vario modo vite umane. In questo famoso video (QUI), addirittura, è la gatta di casa, Tara, a scaraventarsi come un proiettile contro il cane mordace che aveva aggredito un bambino, non solo, ma lo insegue pure, frenando e tornando indietro a controllare la situazione quando constata che il cane ormai è in fuga…

Un fatto simile è documentato anche QUI.

Se poi volete divertirvi, guardate QUI.

Una celebrità in Italia è il cane Briciola mascotte dei carabinieri. L’accoglienza di Briciola bis per l’insediamento di Mattarella bis al Quirinale: QUI.

Nel mondo della fantasia

Lassie. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1181430

Ma nel nostro immaginario molto vivi sono anche i personaggi di fantasia, dal cane Argo, fedele compagno di Ulisse che ne attende per 20 anni il ritorno, al mostruoso Cerbero dalle tre teste, custode infernale, al moderno Idefix, microscopico amico del monumentale Obelix, al disneyano Pluto, ai molti di «Lilli e il vagabondo» e della «Carica dei 101», al peanut Snoopy.

Un pensiero particolare va ai cani attori: quelli che hanno «impersonato» Lassie, o Rin Tin Tin, o il più recente Commissario Rex.

Un intero episodio di Rin Tin Tin: QUI.

A proposito di San Rocco: i santi e il cane

San Martino di Porres ha amato e protetto tutti gli animali, persino i topi, che sfamava perché non danneggiassero le derrate del convento. Areyes108, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Il cane, pur essendo biblicamente un animale negativo (nella società e nell’area geografica dei tempi biblici il suo addomesticamento non doveva essere ancora compiuto), compare nell’iconografia di molti santi, per svariati motivi.

Uno, terribile, è la minaccia dell’idrofobia, malattia che rendeva questi animali pericolosissimi per gli uomini: la presenza dei cani accanto ad alcuni santi ricorda il loro potere taumaturgico contro la malattia trasmessa, appunto, dal morso di un cane rabbioso. In questo senso sono accompagnati dai cani S. Bellino di Padova, vescovo; S. Domenico di Sora, abate; S. Donnino di Faenza, martire; Tujan di Bretagna, abate; S. Ottone di Bamberga, vescovo; S. Valburga, badessa.

Un rovesciamento di questa situazione si ha nel caso di S. Eleuterio che, giunto ad Arce, chiese ospitalità, ma il locandiere gli scatenò contro due cani feroci che alla sua vista si ammansirono, ed essendo il santo deceduto durante la notte, furono trovati al mattino, insieme a numerosi serpenti, custodire il suo corpo.

In molti casi, infatti, il cane è un difensore: recente è il caso del Grigio, il cane che compariva a proteggere don Bosco quando il santo era minacciato da aggressori. Spesso, il cane assiste provvidenzialmente il santo: esemplare il cane di S. Rocco che lo mantenne in vita portandogli quotidianamente il cibo, ma si ricordano anche situazioni come quella del cane che condusse la monaca benedettina S. Adeloga al corpo del padrone ucciso e le indicò anche gli assassini, come pure il cagnolino che portò Santa Margherita da Cortona a scoprire il corpo del convivente; e i cani di San Bernardo che sono addestrati per rintracciare i dispersi nella neve.

In altri casi il valore è simbolico, come il cagnolino bianco di S. Bernardo di Chiaravalle che la madre vide in sogno preannunciarle la nascita di un figlio straordinario, e analogamente il cane bianco e nero di S. Domenico, fondatore dei domini – canes, letteralmente «cani del Signore»; di insegnamento spirituale è la visione che ebbe il beato Enrico Suso, domenicano, di un cagnolino che faceva scempio per gioco di uno strofinaccio, dalla quale il beato apprese una lezione di umiltà e di obbedienza.

Talvolta, il cane è presente a ricordare l’amore del santo per gli animali, la stessa funzione che ha il lupo nelle immagini di S. Francesco; S. Martino di Porres è addirittura rappresentato con un intero zoo domestico, perché su tutti gli animali egli riversava l’amore cristiano, fossero cani o gatti, uccelli o topi. Il cane, infine, è il compagno fedele dei biblici Tobia nell’Antico Testamento e Lazzaro nel vangelo di Luca.

Di tutti questi cani, come esempio per l’uomo, viene esaltata la dedizione, lo spirito di sacrificio, la fedeltà ad ogni costo, l’amore. Che dire? Senza il cane, la vita dell’uomo non sarebbe la stessa.

La preghiera del cane

Signore di tutte le creature, fa’ che l’uomo, mio padrone,

sia così fedele verso gli altri uomini come io gli sono affezionato.

Fa’ che egli custodisca onestamente i beni che tu gli affidi

come io onestamente custodisco i suoi.

O Signore di tutte le creature, fa’ che come io sono sempre

veramente un cane, egli sia sempre veramente un Uomo. Amen!

P. Pellegrino

La devozione per San Rocco

Massa Marittima, chiesa di San Rocco. Di Mongolo1984 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72221586

La devozione per San Rocco è stata una delle più sentite a livello popolare, non solo in Italia, a causa delle sue particolari vicende di vita: terziario francescano, abbandona la patria per farsi pellegrino sulle strade di Roma. Taumaturgo, cura i malati di peste fino a contrarre lui stesso il morbo; si isola in una grotta presso Piacenza dove solo un cane lo visita ogni giorno portandogli il cibo necessario; guarito, torna all’assistenza dei malati finché, sulla via del ritorno a Montpellier, viene innocentemente implicato nelle vicende politiche dell’epoca, accusato di spionaggio e imprigionato. Morirà nell’anonimato, ma alla morte verrà scoperta la sua identità e sarà venerato come Santo.

Il suo culto è stato diffuso; ne diamo alcuni esempi locali. A Campiglia Marittima esiste la chiesa di San Sebastiano con un altare di San Rocco. La chiesa, menzionata per la prima volta in un documento del 1483, è munita di un campaniletto a vela. Nell’interno è dotata di un semplice altare in muratura addossato ad una parete con due aperture che immettono nel coro. La chiesa fu convertita in lazzaretto ai tempi della peste del 1631 proprio perché era fuori dal centro abitato e la sua ubicazione si prestava a questa trasformazione. Contiene un quadro che raffigura San Rocco.

A Suvereto si trova la chiesa di San Rocco. Detta «Chiesina» dai suveretani, è stata restaurata e riaperta al culto il 16 agosto del 2009 proprio nel giorno in cui si festeggia San Rocco. Fu costruita nel Seicento come voto per la fine della peste vicino al luogo dove sorgeva un lazzeretto anche se successivamente fu soggetta al degrado e divenne rifugio per gli sfollati di Piombino durante la seconda guerra mondiale. Custodisce al suo interno quadri di autori moderni dedicati al Santo.

Massa Marittima conserva una chiesa sconsacrata intitolata a San Rocco, oggi adibita a sede del Terziere di Borgo per la gara del Balestro del Girifalco. Ci sono documenti che testimoniano che era in fase di costruzione nel 1487.

Sassetta

Sassetta, San Rocco

Ma un paese dove la memoria del santo protettore dei contagiati è più forte è Sassetta, di cui San Rocco è il patrono ed in cui il culto è ancora particolarmente sentito in paese: infatti, secondo la tradizione, a Sassetta il Santo visse alcuni anni. Tradizionalmente, a metà agosto si svolgevano tre giorni successivi di festeggiamenti detti complessivamente «Ferragosto, San Rocco e la Fiera»: infatti, il giorno successivo alla festa di San Rocco, il 17 agosto, si teneva a Sassetta la Fiera del bestiame. Il 16 agosto nella solenne processione si chiedeva al Santo la protezione contro la peste.

A Sassetta esiste ancora un oratorio dedicato a San Rocco. Anche per questa chiesetta vi è stato un restauro negli anni Settanta dopo un periodo di degrado: il 16 agosto vi si celebra la Messa con il bacio della reliquia del Santo ivi custodita. Poi, le persone salgono alcuni gradini dietro l’altare per toccare la statua di San Rocco. Alla Messa partecipano le autorità.

SAN ROCCO E LA FRANCIGENA

«La chiesina di San Rocco è un oratorio fuori del Castello della Sassetta, costruita probabilmente dove S. Rocco si era ritirato in meditazione. Questo luogo pur non essendo lontano dal castello della Sassetta era diviso da esso da un profondo fossato, quindi S. Rocco poteva dedicare alla preghiera e alla meditazione tutto il tempo che voleva senza essere disturbato. […]

Rocco nacque a Montpellier nel XIV secolo, e questo è il punto sul quale tutte le testimonianze concordano. Sembra che la sua nascita sia dovuta a un voto fatto dai genitori, Giovanni e Libera, desolati per la mancanza di figli. Rimase orfano molto giovane e dopo aver venduto tutti i suoi beni, partì in pellegrinaggio per Roma. Esisteva, dalla Francia, una Via Romea, che in Italia era detta Francigena, che attraversando le Alpi e gli Appennini arrivava a Lucca. Esisteva anche una strada litoranea, che dall’Italia di solito facevano i pellegrini che andavano a Santiago di Campostella in Galizia, e che per coloro che venivano da Montpellier poteva essere anche più facile e comoda, passando per luoghi famosi e devoti, come Avignone dove allora risiedeva il Papa, e Marsiglia dove erano le memorie di Maria Maddalena, Marta e Lazzaro nella Sainte Baume e nell’abbazia di Saint Maximin ad Aix…

Giunti a Lucca, da qualunque strada si venisse, si poteva prendere la “romea” interna, costruita dai longobardi per raccordare con la via Cassia; era la via più veloce. Ma, con più logica e maggiore devozione e anche con una certa maggiore tranquillità, si poteva seguire il tracciato delle colline marittime pisane e quello delle colline metallifere fino a Massa e dintorni, e quindi a Sassetta, sfuggendo la costa ma puntando verso la Maremma. Questa seconda via, venendo dalla Francia, fu scelta nel 1130 anche da S. Guglielmo di Malavalle.

Una testimonianza data da don Garzia Montalvo nei seicenteschi “Ricordi della Sassetta” con questo racconto: “Ricordo come don Garzia Montalvo fece un donativo alla chiesa di S. Rocco di una tavola per detto altare dentrovi il medesimo santo con il castello della Sassetta, dove dimostra la liberazione della peste in quel luogo per le preghiere sue, essendovi dimorato in quel luogo molti anni; e poi, scoperto santo, se ne partì per la Francia”».

Marta Bartolini, Sassetta nei Secoli XVI e XVII, Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1986.