San Martino di Tours (11 novembre)

Louis Anselme Longa, La carità di San Martino. Chiesa di Saint-Martin d’Oney. Di Abmg – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24949328

San Martino di Tours è uno dei santi più popolari, se non altro per l’episodio della divisione del mantello militare con il povero che era Cristo. Solo in Italia vi sono oltre 900 chiese a lui dedicate.

Era nato in Pannonia, nell’odierna  Ungheria, verso il 316, quindi a ridosso dell’editto di Costantino quando già erano cessate le persecuzioni. Perciò è uno dei primi santi non martiri, e uno dei fondatori del monachesimo occidentale.

Il padre, che era un tribuno militare, gli diede il nome di Martino in onore di  Marte, il dio della guerra. Ancora bambino, Martino si trasferì coi genitori a Pavia, dove suo padre aveva ricevuto un podere in quanto veterano.

Nel 331, come figlio di veterano, fu obbligato ad arruolarsi nell’esercito romano e fu reclutato nel corpo scelto delle Scholae imperiali, unità perfettamente equipaggiate. Era quindi fornito di un cavallo e di uno schiavo. Fu inviato in Gallia presso Amiens. Faceva parte di truppe non combattenti che garantivano l’ordine pubblico, la protezione della posta imperiale, il trasferimento dei prigionieri o la sicurezza di personaggi importanti.

Un mantello che dà il nome alla “cappella”

Nella sua qualità di circitor (soldato di ronda), doveva effettuare la ronda di notte e ispezionare i posti di guardia e le guarnigioni. Durante una di queste ronde, nel rigido inverno del 335, San Martino incontrò un mendicante seminudo. Tagliò in due il mantello militare (la clamide della guardia imperiale) e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello e lo udì dire agli angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era intero.

Il mantello miracoloso venne conservato dai re Merovingi. Il latino medievale cappella, piccola cappa (francese chapelle), che indicava un mantello corto, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all’oratorio reale, chiamato perciò cappella. Da lì hanno preso il nome tutte le cappelle del mondo.

Conversione al cristianesimo

Dopo tale sogno Martino, che era già catecumeno, ricevette il battesimo la Pasqua seguente. Rimase ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni nel corpo scelto delle alae scholares. A circa quarant’anni decise di lasciare l’esercito.

Si impegnò nella lotta contro l’eresia ariana, e venne per questo perseguitato nella nativa Pannonia e cacciato dalla  Francia e da Milano, dove erano stati eletti vescovi ariani. Nel 357 si ritirò sull’isola Gallinara davanti ad Albenga, dove condusse quattro anni di vita in eremitaggio parziale, in compagnia di un prete, considerato uomo di grandi virtù, e per un certo periodo anche con  Ilario di Poitiers. L’isola prende il nome dalle galline selvatiche che la popolavano in passato: denominare le isole con i nomi di animali era un’usanza romana, come dimostrano Caprera, Capri e Capraia, e così pure la Cunicularia. Tornato a Poitiers, San Martino si fece monaco e con nuovi compagni fondò uno dei primi monasteri d’occidente, a Ligugé.

Vescovo di Tours

Fondo (Borgo d’Anaunia, Trentino), chiesa di San Martino – Pala di san Martino dietro l’altare maggiore. Di Syrio – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=110006977

Nel 371 i cittadini di Tours lo vollero vescovo. Secondo la leggenda, San Martino, riluttante ad accettare, si nascose in una stalla; le oche però si misero a starnazzare rivelando a tutti la sua presenza. Da vescovo, Martino continuò ad abitare nella sua casa di monaco e creò nel territorio nuove piccole comunità monastiche. Nel 375 fondò a Tours un monastero. Combatté l’eresia ariana e il paganesimo rurale; predicò, battezzò, abbatté templi, alberi sacri e idoli pagani, ma continuò a dimostrare compassione e misericordia verso chiunque. Era conosciuto come taumaturgo, ma anche come un uomo sobrio, probo e caritatevole. Molti vescovi del tempo erano spesso di abitudini cittadine e conoscevano poco la campagna. San Martino invece percorreva personalmente le campagne, dedicando ai loro abitanti particolare attenzione.

San Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace tra il clero locale. Iniziò così un culto molto diffuso. Tra i miracoli che gli sono stati attribuiti, ci sono anche tre casi di  risurrezione, per cui San Martino veniva chiamato «Trium mortorum suscitator», cioè «Colui che resuscitò tre morti».

Tradizioni popolari

In molte regioni d’Italia l’11 novembre è associato alla produzione del vino nuovo (“A San Martino ogni mosto diventa vino”) ed è un’occasione di ritrovo e festeggiamenti. Nel nord Italia, specialmente nelle aree agricole, fino a non molti anni fa tutti i contratti – di lavoro, di affitto, mezzadria, ecc. – avevano inizio e scadenza l’11 novembre. In tale data, i lavori nei campi erano già terminati ma non era ancora arrivato l’inverno. Per questo, l’11 novembre, i contratti scadevano e in quei giorni si facevano i traslochi: si faceva “San Martino”, appunto. In molti modi di dire del nord “fare San Martino” ha ancora il significato di traslocare.

Un riscontro storico della diffusione del detto: si tramanda che il re Vittorio Emanuele II, preoccupato per l’andamento della battaglia di San Martino (1859), si sia rivolto in dialetto ai soldati piemontesi con la frase: «Ragazzi, o prendiamo San Martino o gli altri fan fare San Martino a noi!».

L’estate di San Martino

È inoltre proverbiale l’estate di San Martino:

«L’estate di San Martino
dura tre giorni e un pochinino
».

I tre giorni di San Martino  rappresentano, secondo la tradizione, un ritorno del caldo, in ricordo della generosità con cui il santo divise il mantello con il povero che era Cristo. Si era nel bel mezzo di una bufera, ma quando il santo rivestì il povero del suo mantello il tempo si rasserenò ed un bel sole uscì a riscaldare la rigida temperatura. Leggenda vuole che la morsa del freddo si interrompa ogni anno per tre giorni per commemorare il gesto generoso del santo.

L’iconografia del Santo

Vetrata dedicata a San Martino. Chiesa di Santo Stefano, Sankt Stefan im Gailtal. Di Raul de Chissota – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18519561

L’iconografia fornisce tradizionalmente i santi di attributi che ne permettono l’identificazione. Pensando a S. Martino, viene ovvia l’immagine del giovane cavaliere che divide con la spada il mantello per rivestirne un povero. Ma dopo essere stato un soldato, Martino si fece monaco, poi divenne vescovo, ed in tal veste ebbe la ventura di vedersi attribuire, come S. Cerbone, il simbolo dell’oca, ma per ragioni completamente diverse. Per S. Cerbone le oche selvatiche furono amichevoli compagne di viaggio, mentre nella storia di Martino di Tours le oche hanno giocato un ruolo tutt’altro che gradito dal santo, anche se provvidenziale, quello di simpatiche impiccione e spione. Infatti, quando la popolazione di Tours lo cercava per farlo vescovo, Martino si nascose, e furono proprio le oche, starnazzando, a svelare il suo nascondiglio. Del resto, quella di fare la guardia è una loro specialità, e fin dall’epoca romana (si pensi alle oche del Campidoglio che salvarono Roma dai Galli, nel 390 a.C.) erano tenute a tale scopo. Essendo animali fortemente territoriali, denunciano la minima invasione del loro territorio con voce stentorea. Vi assicuro che fanno un baccano infernale, che non si può ignorare. Pare che il santo non ne sia stato molto contento…