Il 30 settembre 2020, giorno della memoria liturgica del santo, papa Francesco ha dedicato a San Girolamo la lettera apostolica Scripturae Sacrae Affectus, «Un affetto per la Sacra Scrittura».
Questa parola, di cui l’espressione che indica la Sacra Scrittura è oggetto, è traducibile con il termine che in italiano ne è il figlio, ma anche in tanti altri modi oltre che affetto: «amore», «passione», «commozione», «desiderio», «brama», «volontà», e anche «affezione fisica», «malattia».
Malato di Scrittura
San Girolamo (Stridone in Istria 347 circa – Betlemme 420) era innamorato, appassionato, desideroso della Sacra Scrittura, e in un certo senso anche «malato» di Sacra Scrittura: e questa è l’eredità che ci lascia tuttora. Trentenne, ebbe una visione in cui Nostro Signore gli rimproverava di essere «ciceroniano, non cristiano». Lo rimproverava cioè di essere un letterato cui la Bibbia appariva un insieme di testi rozzi e sgrammaticati al suo palato sofisticato. San Girolamo da allora si convertì all’amore appassionato per la Scrittura di cui si fece servitore in quanto servitore di Cristo. Cercò per tutto il resto della sua vita, cioè i rimanenti 45 anni, di farla conoscere, di divulgarla – non forse solo a caso la sua traduzione si chiama «Vulgata».
In relazione con i più grandi teologi della sua epoca, San Girolamo è annoverato fra i quattro grandi Dottori della Chiesa d’Occidente, insieme ad Ambrogio, Agostino, Gregorio Magno. Scelse il deserto come dimora di elezione, ma tornato a Roma fondò un cenacolo di lettura e studio della Sacra Scrittura, un vero e proprio studio biblico come base di scelte evangeliche radicali. Stabilitosi definitivamente a Betlemme nel 386, vi fondò due monasteri «gemelli», maschile e femminile, dediti non solo alla meditazione della Parola ma anche all’accoglienza dei pellegrini nei luoghi santi.
Amore appassionato
Uno degli aspetti più evidenti della spiritualità di San Girolamo è senza dubbio l’amore appassionato per la Sacra Scrittura, al cui studio dedica la vita intera non come esercitazione accademica ma come nutrimento spirituale. Lo studio comunitario è indispensabile per la stessa vita cristiana: «La Bibbia è stata scritta dal Popolo di Dio e per il Popolo di Dio, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Solo in questa comunione col Popolo di Dio possiamo realmente entrare con il “noi” nel nucleo della verità che Dio stesso ci vuol dire» (VD 30).
San Girolamo ha scritto:
«Ignorare le Scritture significa ignorare Cristo» (Prologo al Commento del profeta Isaia n. 1).
L’Antico Testamento e la formazione dei laici
Scrive papa Francesco:
«Girolamo ci insegna che non vanno studiati solo i Vangeli, e non è solo la tradizione apostolica, presente negli Atti degli Apostoli e nelle Lettere, a dover essere commentata, perché tutto l’Antico Testamento è indispensabile per penetrare nella verità e nella ricchezza del Cristo. Le stesse pagine evangeliche lo attestano: esse ci parlano di Gesù come Maestro che, per spiegare il suo mistero, ricorre a Mosè, ai profeti e ai Salmi (cfr Lc 4,16- 21; 24,27.44-47). Anche la predicazione di Pietro e Paolo, negli Atti, si radica emblematicamente nelle antiche Scritture; senza di esse non può essere pienamente compresa la figura del Figlio di Dio, il Messia Salvatore.
L’Antico Testamento non deve essere considerato come un vasto repertorio di citazioni che dimostrano il compiersi delle profezie nella persona di Gesù di Nazaret; più radicalmente, invece, è solo alla luce delle “figure” anticotestamentarie che è possibile conoscere in pienezza il senso dell’evento di Cristo, compiutosi nella sua morte e risurrezione. Da qui la necessità di riscoprire, nella prassi catechetica e nella predicazione, come anche nelle trattazioni teologiche, l’apporto indispensabile dell’Antico Testamento, che va letto e assimilato come nutrimento prezioso (cfr Ez 3,1-11; Ap 10,8-11)».
L’ignoranza della Scrittura
Papa Francesco ricorda:
«La ricchezza della Scrittura è purtroppo da molti ignorata o minimizzata, perché a loro non sono state fornite le basi essenziali di conoscenza. Accanto quindi a un incremento degli studi ecclesiastici, indirizzati a sacerdoti e a catechisti, che valorizzino in modo più adeguato la competenza nelle Sacre Scritture, va promossa una formazione estesa a tutti i cristiani, perché ciascuno diventi capace di aprire il libro sacro e di trarne i frutti inestimabili di sapienza, di speranza e di vita».
La vita monastica
L’altro aspetto fondamentale nella vita di Girolamo è l’aspirazione alla vita contemplativa, espressa nella scelta della vita monastica, nella guida spirituale nei confronti di chi condivideva la sua scelta, e nella fondazione di monasteri. In questo senso il santo dalmata si collega alla storia della Toscana: è infatti nella lettera n.77 che Girolamo nell’estate del 400, narrando l’azione caritativa della nobildonna romana Fabiola, ne ricorda le peregrinazioni menzionando le isole dell’Arcipelago toscano tra le località «in quibus monachorum consistunt chori». Girolamo prende così posto fra i testimoni letterari della vita cristiana, in specie monastica, dei territori appartenenti alle nostre coste, insieme ai suoi contemporanei Paolo Orosio e Sant’Agostino
La simbologia del leone
Normalmente San Girolamo è accompagnato, nell’iconografia, da un leone, dalla cui zampa sta togliendo una spina, o che gli sta accovacciato ai piedi.
Questo tipo di rappresentazione, che lo caratterizza, deriva da un racconto leggendario secondo il quale Girolamo, nel deserto, aiutò un leone sofferente, che gli fu sempre grato e gli fu compagno fedele per tutta la vita.
La leggenda
La Legenda Aurea di Jacopo da Varazze narra, nel capitolo dedicato a San Girolamo, la leggenda del leone.
«Un giorno un leone ferito si sarebbe presentato zoppicando nel monastero ove risiedeva San Girolamo. I confratelli fuggirono spaventati ma San Girolamo gli si avvicinò accogliendo l’animale ferito. Egli ordinò ai confratelli di lavare le zampe al leone e curarle. Essi scoprirono che i rovi gli avevano dilaniato le piante delle zampe.
Quando il leone guarì, rimase nel monastero. Su di esso i monaci confidarono per garantirsi la custodia dell’asino del convento. Un giorno, mentre l’asino stava pascolando, il leone si addormentò. Alcuni mercanti, visto il quadrupede da soma privo di custodi, se ne appropriarono. Tornato solo al monastero, il leone venne accusato dai monaci di aver divorato l’asino, cosicché gli vennero affidati tutti i lavori che normalmente venivano svolti da quest’ultimo.
Un giorno egli incrociò sul suo cammino la carovana dei mercanti che avevano portato via l’asino affidatogli in custodia dai monaci e riconobbe nella carovana il medesimo asino. Egli si precipitò verso di loro ruggendo terribilmente e mettendoli in fuga. Dopo di che condusse l’asino ed i cammelli, carichi di mercanzia, al convento. Quando i mercanti tornarono, si recarono al convento a chiedere a San Girolamo il perdono e la restituzione delle loro mercanzie, cosa che San Girolamo fece, raccomandando loro di non rubare più le proprietà altrui».
Simbolo biblico
Ma il leone è anche simbolo biblico: del demonio, che come leone ruggente si aggira, cercando chi divorare (1Pt 5,8), ma anche del Cristo, il Leone della regale tribù di Giuda (Gn 49,9; Ap 5,5; si veda, nelle opere di C.S. Lewis, Aslan, il grande leone che è il Cristo di Narnia).
L’iconografia
Esistono due iconografie principali di Girolamo. Una lo presenta con l’abito cardinalizio e con il libro della Vulgata in mano, oppure intento nello studio della Scrittura. La rappresentazione di San Girolamo come cardinale è del tutto anacronistica. Un’altra forma iconografica lo raffigura nel deserto, o nella grotta di Betlemme. In questo secondo caso l’immagine lo mostra con il cappello cardinalizio gettato in terra a simbolo di rinuncia agli onori. Spesso si vedono il leone, cui tolse la spina dal piede, un crocifisso. la pietra con cui era solito battersi il petto.
Sebbene l’abito rosso da cardinale sia stato molto usato nelle rappresentazioni del santo, non è storicamente possibile che egli sia stato cardinale, poiché l’istituzione è successiva alla sua epoca.
Amare ciò che Girolamo amò
Riporto la conclusione della lettera apostolica «Scripturae Sacrae Affectus» dedicata il 30 settembre 2020 da papa Francesco a San Girolamo.
A conclusione di questa Lettera, desidero rivolgere un ulteriore appello a tutti. Tra i tanti elogi tributati dai posteri a San Girolamo vi è quello che egli non fu semplicemente considerato uno dei massimi cultori della «biblioteca» di cui si nutre il cristianesimo nel corso del tempo, a cominciare dal tesoro delle Sacre Scritture; a lui si può applicare ciò che egli stesso scriveva di Nepoziano: «Con la lettura assidua e la meditazione costante aveva fatto del suo cuore una biblioteca di Cristo». Girolamo non risparmiò sforzi al fine di arricchire la propria biblioteca, nella quale sempre vide un laboratorio indispensabile all’intelligenza della fede e alla vita spirituale; e in questo egli costituisce un mirabile esempio anche per il presente.
Un impegno costante
Ma egli andò oltre. Per lui, lo studio non rimase confinato agli anni giovanili della formazione, fu un impegno costante, una priorità di ogni giorno della sua vita. Possiamo insomma affermare che assimilò un’intera biblioteca e divenne dispensatore di sapere per molti altri. Postumiano, che nel IV secolo viaggiò per l’Oriente alla scoperta dei movimenti monastici, fu testimone oculare dello stile di vita di Girolamo, presso il quale soggiornò alcuni mesi, e così lo descrisse: «Egli è tutto nella lettura, tutto nei libri; non riposa né giorno né notte; sempre legge o scrive qualcosa».
A questo proposito penso spesso all’esperienza che può fare oggi un giovane entrando in una libreria della sua città, o in un sito internet, e cercandovi il settore dei libri religiosi. È un settore che, quando esiste, nella maggior parte dei casi è non solo marginale, ma sguarnito di opere sostanziose. Esaminando quegli scaffali, o quelle pagine in rete, difficilmente un giovane potrebbe comprendere come la ricerca religiosa possa essere un’avventura appassionante che unisce pensiero e cuore; come la sete di Dio abbia infiammato grandi menti lungo tutti i secoli fino a oggi; come la maturazione della vita spirituale abbia contagiato teologi e filosofi, artisti e poeti, storici e scienziati.
San Girolamo “Biblioteca di Cristo”
Uno dei problemi odierni, non solo della religione, è l’analfabetismo: scarseggiano le competenze ermeneutiche che ci rendano interpreti e traduttori credibili della nostra stessa tradizione culturale. Specialmente ai giovani voglio lanciare una sfida: partite alla ricerca della vostra eredità. Il cristianesimo vi rende eredi di un insuperabile patrimonio culturale di cui dovete prendere possesso. Appassionatevi di questa storia, che è vostra. Osate fissare lo sguardo su quell’inquieto giovane Girolamo che, come il personaggio della parabola di Gesù, vendette tutto quanto possedeva per acquistare «la perla di grande valore» (Mt 13,46). Davvero Girolamo è la «Biblioteca di Cristo», una biblioteca perenne che sedici secoli più tardi continua a insegnarci che cosa significhi l’amore di Cristo, amore che è indissociabile dall’incontro con la sua Parola.
Una conoscenza più grande
Per questo l’attuale centenario rappresenta una chiamata ad amare ciò che Girolamo amò, riscoprendo i suoi scritti e lasciandoci toccare dall’impatto di una spiritualità che può essere descritta, nel suo nucleo più vitale, come il desiderio inquieto e appassionato di una conoscenza più grande del Dio della Rivelazione. Come non ascoltare, nel nostro oggi, ciò a cui Girolamo spronava incessantemente i suoi contemporanei: «Leggi spesso le Divine Scritture; anzi le tue mani non depongano mai il libro sacro»?
Esempio luminoso è la Vergine Maria, da Girolamo evocata, soprattutto nella sua maternità verginale ma anche nel suo atteggiamento di lettrice orante della Scrittura. Maria meditava in cuor suo (cfr Lc 2,19.51) «perché era santa e aveva letto le Sacre Scritture, conosceva i profeti e ricordava ciò che l’angelo Gabriele le aveva annunciato e ciò che era stato vaticinato dai profeti […], vedeva il neonato che era suo figlio, il suo unico figlio che giaceva e vagiva in quel presepe, ma chi veramente vedeva giacente era il Figlio di Dio, ciò che lei vedeva lo paragonava con quanto aveva letto e sentito». Affidiamoci a lei, che meglio di ogni altro può insegnarci come leggere, meditare, pregare e contemplare Dio che si fa presente nella nostra vita senza mai stancarsi.