Un santo e un libro: San Francesco di Sales e la Filotea.
C’è stato un lungo periodo, nella storia della Chiesa, in cui sembrava che la santità, dopo l’età dei martiri, fosse fatta solo per monaci e frati, al massimo per sacerdoti e vescovi. Era invece sparita nell’ombra o almeno nella penombra la vita laicale, giudicata un terreno troppo difficile, troppo soggetto a rischi e tentazioni per dare frutti di santità. Adesso non è più così: la chiamata universale alla santità è ampiamente recuperata nella Chiesa, e sottolineata in modo particolare da papa Francesco. Ma ci sono stati santi, nei secoli passati, che hanno insistito sullo stesso principio. Si pensi alla fondazione degli Ordini secolari (i cosiddetti Terz’Ordini) che hanno accompagnato la fondazione degli Ordini religiosi, quello francescano, domenicano, carmelitano ecc.
Particolarmente benemerito nell’insistenza sulla chiamata universale alla santità è stato San Francesco di Sales. La sua memoria liturgica ricorre il 24 gennaio. È stato un santo vescovo francese (1567-1622) conosciuto perché patrono dei giornalisti in quanto si avvalse della stampa per raggiungere anche i fedeli più lontani. Ma qui lo ricordiamo in particolare per il suo libro La filotea, ovvero l’introduzione alla vita devota. Un libro rivolto a tutti, nella sua convinzione che la “santità” fosse impegno di tutti i cristiani, anche dei laici, e non solo dei consacrati. “Filotea”, infatti, è nome simbolico che significa “amica di Dio”. Viene, così, a designare tutti coloro che cercano Dio, anche nello stato di vita laicale, e che sono chiamati ad incontrarsi con l’Amore di Dio. Questa è un’altra particolare sottolineatura di San Francesco di Sales, in tempi in cui spesso e volentieri si parlava piuttosto del giudizio di Dio.
Dalla «Introduzione alla vita devota» di San Francesco di Sales
(Parte 1, Cap. 3)
Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna «secondo la propria specie» (Gn 1,11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.
La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.
Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso. No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.
L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.
Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è resa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.
È un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati. È vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari. Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.