San Francesco di Paola: un Santo… vegano?

San Francesco di Paola con l’agnellino Martinello. Di Zarateman – Opera propria, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=126277303

Il Santo era nella cristianità antica l’Uomo riconciliato in Cristo Nuovo Adamo e quindi riconciliato con tutte le altre creature oltre che con gli uomini. Questo legame perdura nei secoli del Medioevo e rimane anche nell’agiografia successiva ma un po’ più attenuato, tranne che per figure particolari come San Francesco di Assisi: tutti conoscono in relazione all’amore per gli animali il Poverello che tutte le creature chiamava fratelli e sorelle. Meno conosciuto è un altro piccolo – anzi minimo – Santo Francesco, detto di Paola dal luogo di nascita in Calabria (1416). La sua memoria ricorre il 2 aprile.

Fu chiamato Francesco perché i suoi genitori ne avevano impetrato la nascita dal Santo di Assisi, poi il piccolo si era ammalato ed era guarito sempre per intercessione del Poverello. Adolescente, scelse di modellare la sua vita sulla radicalità evangelica di San Francesco d’Assisi coniugandola però con l’esperienza anacoretica di tipo orientale che aveva conosciuto nella sua regione.

La vita religiosa

Ad appena 14 anni, il giovane Francesco si ritirò nei boschi di Paola in solitudine e lì rimase, dormendo in una grotta, mangiando ciò che la natura donava spontaneamente e avendo la sola compagnia degli animali selvatici.
Presto però fu raggiunto prima da tre, poi da dodici eremiti e da numerosi fedeli colpiti dal suo esempio e dal suo carisma. Da questo primo nucleo sorto intorno a lui ben presto si formò un vero e proprio modello di vita religiosa approvato da Sisto IV nel 1474. Nel 1506 nacque l’ Ordine dei Frati Minimi. San Francesco di Paola li aveva chiamati così, considerandosi ben inferiore a San Francesco, che già aveva istituito l’Ordine dei Frati Minori.
San Francesco di Paola, fin dall’inizio della sua vocazione, si attenne ad una dieta rigorosamente vegetariana, anzi vegana, escludendo ogni derivato animale compresi latte e uova e nutrendosi di erbe selvatiche e di frutti, e la comunità che sorse attorno a lui si conformo’ subito al suo stile di vita. Quando i frati divennero più numerosi, iniziarono a coltivare l’orto e a nutrirsi solo di ciò che producevano.

L’astinenza perpetua  dalla carne faceva parte irrinunciabilmente del carisma dei frati Minimi ed entrò nella loro regola sotto forma di un quarto voto, quello di «perpetua vita quaresimale».

Il quarto voto

Miracoli di San Francesco di Paola. Vicenza – Chiesa di San Giuliano. Di Claudio Gioseffi – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=28623114

Poiché la vita del Santo attrasse molti giovani, nacquero gli «eremiti di San Francesco», poi detti «ordine dei Minimi», con una caratteristica, però: quella di astenersi per sempre (con la sola eccezione dei malati gravi) dalla carne e dai prodotti animali. I Frati Minimi emettevano infatti un quarto voto religioso in aggiunta a quelli comuni, di povertà, obbedienza e castità, il voto della vita quaresimale continua. Questa particolarità si modellava sulla spiritualità dei Santi del deserto e dei Padri della Chiesa tenuta viva dal monachesimo orientale ben conosciuto in Calabria. Ovviamente, l’astinenza dalla carne doveva accompagnarsi alla dimensione contemplativa e caritativa.

Così, pertanto, recita la Regola:

«Tutti i frati di quest’Ordine si asterranno completamente dai cibi di carne e nel regime quaresimale faranno frutti degni di penitenza sì da evitare del tutto le carni e quanto da esse proviene. Pertanto a tutti e a ciascuno di essi è assolutamente e incontestabilmente proibito di cibarsi, dentro e fuori convento, di carni, di grasso, di uova, di burro, di formaggio e di qualsiasi specie di latticini e di tutti i loro composti e derivati».

Questo tipo di vita era così rigido che il santo, raccomandandolo in eredità ai suoi confratelli in punto di morte (aveva 91 anni, un’età straordinaria a quell’epoca, non ostante che per tutta la vita si fosse nutrito solo di erba e legumi), prese in mano un braciere arroventato che rischiava di dare fuoco al convento, per dimostrare che tutto è possibile a chi ama veramente Dio.

L’astinenza dalla carne

All’epoca sarebbe stato anacronistico usare l’aggettivo «vegetariano», figuriamoci il termine «vegano» nato solo nel 1944 come contrazione di «vegetarian» (niente a che vedere, dunque, con la luminosissima stella Vega). Di fatto però esisteva il vegetarismo, cioè l’alimentazione che rinunciava alla carne, chiamata semplicemente «astinenza».

L’astinenza dalla carne era praticata alle origini del cristianesimo, anzi era raccomandata dalla maggior parte dei maestri di vita spirituale.

Di S. Antonio abate, S. Atanasio dice che «Si cibava di pane, sale e l’acqua era l’unica sua bevanda. È inutile parlare di carne e vino dal momento che neppure presso altri virtuosi asceti si trova traccia di ciò» (Vita di Antonio, 7). Manifesta così che questa pratica era ampiamente diffusa negli ambienti ascetici.

Praticarono l’astinenza dalla carne il monachesimo egiziano, siriaco, palestinese e cappadoce. Il regime alimentare in vigore presso la maggioranza dei monaci si chiamava xerofagia (nutrimento a base di cibo secco): escludeva carne, pesce, uova, latte, burro, formaggio, olio e vino. Clemente Alessandrino ricorda che le fosche esalazioni delle carni oscurano l’anima (Il pedagogo, II, 1).

Secondo la tradizione patristica, l’alimentazione carnea contraddistingue l’uomo decaduto, che si è allontanato dalla primitiva condizione paradisiaca. Astenersi dal mangiare carne favorisce quindi il ritorno alle origini. Infatti l’umanità, nella primitiva condizione edenica, si nutriva soltanto dei frutti della terra. Il precedente biblico dell’astinenza perpetua dalla carne, oltre al riferimento alla condizione creaturale paradisiaca, è quello di Daniele nella fossa dei leoni. Isaia di Gaza scrive che i leoni non lo assalirono perché capirono che era vegetariano, cioè era fedele a una dieta che secondo i monaci si dimostrava in armonia con la vera natura umana:

«I leoni gli si sottomisero per l’amore che aveva per Dio, lo annusarono e non trovarono in lui l’odore di chi mangia ciò che è contro natura» (Asceticon, 28).

San Girolamo

È particolarmente in San Girolamo che si rivela forte non l’obbligo, ma il consiglio di astenersi dal mangiar carne. Egli è ben consapevole che il dominio dell’uomo sul creato non è assoluto:

«Se infatti tutto ciò che vive e si muove è stato creato per essere mangiato dall’uomo, mi si risponda: perché allora gli elefanti? Perché i leoni? Gli orsi, i leopardi, i lupi? Perché le vipere, gli scorpioni, le cimici, le zanzare e le pulci?… E l’avvoltoio, l’aquila, il corvo e lo sparviero? Perché la balena, il delfino, la foca, e le piccole lumache sono state create?» (Adversus Jovinianum).

Non le leggi del luogo natio, ma di quello dove si risorgerà

Inoltre, si rende conto che le usanze alimentari sono diverse per ogni popolo, fino ad arrivare persino a mangiare carne umana (così ritiene che facciano, al suo tempo, gli Scoti della Britannia), e si chiede che cosa sia, in realtà, culturale e non «naturale»:

«Il cristiano però non deve conformarsi alle usanze del luogo dove è nato, ma deve conformarsi alle leggi del luogo dove risorgerà».

«Anche se l’umanità intera si trovasse d’accordo sulla scelta di mangiare carne, l’uso della carne resterebbe controindicato per quell’essere casto e celeste che è il cristiano».

Per la durezza del vostro cuore

San Girolamo, insomma, pone l’astinenza dalla carne al livello del consiglio sull’esempio che Gesù dette al giovane ricco, di rinunziare ai suoi beni per donarli ai poveri (Mt 19,21). Nello stesso modo, San Girolamo si sente in dovere di consigliare:

«Si vis perfectus esse, bonum est vinum non bibere, et carnem non manducare» («Se vuoi essere perfetto, è bene non bere vino e non mangiare carne»: Adversus Jovinianum libri duo, II, 6 ss.).

La concessione di mangiar carne dopo il diluvio equivale per Girolamo alla concessione del libello di ripudio al popolo d’Israele. Sarebbe solo una forma di tolleranza per la durezza del cuore dell’uomo incapace di andare oltre:

«Ma quando Cristo poi verrà alla fine dei tempi riporterà l’omega all’alfa, riporterà la fine al principio, e non ci sarà permesso di ripudiare, di circoncidere e di mangiare carne».

Il Santo ammette che alcune categorie di uomini, come i soldati, gli atleti, i minatori, i marinai, abbiano bisogno di mangiar carne per irrobustirsi, ma il cristiano che dedica la vita al culto di Dio non ha di queste necessità

Tra l’altro, S. Girolamo confuta anche l’asserzione secondo cui dal corpo degli animali si devono trarre medicamenti necessari a curare le malattie dell’uomo. Ebbene, ribatte il Santo, i grandi trattati medici dell’antichità, come Plinio o Dioscoride, non parlano affatto di queste cure! Sembra che S. Girolamo avesse già intuito – nel 393 – l’inutilità del ricorso agli animali nella scienza medica.

Un atto di speranza

Potremmo insomma concludere, sulla linea di S. Girolamo: astenersi dalla carne non è obbligatorio, ma è meritorio. È un atto di speranza nel Mondo a venire. Come scrive L. Lorenzetti,

«il vegetarianesimo d’ispirazione cristiana, motivato da solide ragioni di fede e di ragione, può diventare, nelle società secolari e pluraliste, Vangelo (Lieto Annuncio) dell’amore di Dio verso tutte le creature […]. La scelta vegetariana, d’ispirazione cristiana, nella sua motivazione di amore – rispetto – giustizia verso gli animali, mira a raggiungere le coscienze per via della convinzione e non tanto per via del permesso/proibito» (Prefazione a Vegetarianesimo di ispirazione cristiana. Uomo e animali nel disegno divino, a cura di M. Bogazzi, Torino 2016, 16).

Un piccolo libro per un grande Santo

A.G. D. De Rosa, Il santo vegetariano, Messaggero, Padova 2020, pagine 148

Del veganesimo cristiano di San Francesco di Paola parla diffusamente un libretto di grande sostanza, Il santo vegetariano di D. De Rosa, che tratteggia in tutte le sue dimensioni la sua figura e la spiritualità.

L’esistenza del Santo è ricca di miracoli, tra cui quello di aver traghettato lo Stretto di Messina sul proprio mantello, per cui Pio XII il 27 marzo 1943 lo dichiarò patrono della gente di mare italiana.

Il suo rapporto con la natura è in effetti del tutto particolare: gli eremi da lui costruiti sono veri Eden ritrovati, dove gli elementi della natura sono al servizio del Santo: la roccia pericolante, che egli ferma; l’acqua, che fluisce al suo comando; il fuoco, che non gli nuoce; l’aria, purificata dal vento, dai boschi e dal mare. Sappiamo dai racconti di Genesi che l’alimentazione carnea è frutto del peccato in un mondo che si è allontanato dalla condizionale paradisiaca: l’alimentazione scrupolosamente vegetariana è sigillo della pace ritrovata fra l’uomo e le creature animali. Massi e travi pesantissimi si lasciavano da lui sollevare senza sforzo, le pietre, la sabbia e l’acqua si facevano facilmente trovare, il mare si calmava, gli animali venivano da lui ammansiti o guariti o persino risuscitati!

Miracoli per gli animali

San Francesco di Paola e Martinello. Fonte immagine: https://m.facebook.com/ilvegetarianesimodiispirazionecristiana/photos/a.841243806005267/1153168928146085/

San Francesco di Paola risuscita infatti un agnellino, Martinello, a cui voleva molto bene; risuscita anche la trota Antonella ed altri pesci mandatigli dal re Ferdinando I per la sua mensa. 

Altri racconti parlano di un serpente che era stato schiacciato e ucciso, e che fu miracolosamente riportato in vita da San Francesco; e di un bue, anche questo da lui risuscitato.

Il cervo

Poi c’è la storia del cervo: un giorno, mentre San Francesco di Paola si trovava nei boschi, trovò un piccolo cervo inseguito dai cacciatori. Francesco lo protesse e lo lasciò libero. Dopo parecchio tempo, quando altri cacciatori lo inseguivano per catturarlo, il cervo fuggì verso il convento e si fermò sotto la cella di Francesco. In seguito, seguiva il Santo ovunque andasse, anche in chiesa, e leccava il suo saio facendogli festa come suo difensore.

L’atteggiamento verso gli animali denota quanto fosse forte nel Santo di Paola l’anelito alla liberazione di tutte le creature dalla schiavitù della corruzione di cui parla San Paolo nel capitolo 8 della lettera ai Romani.

La spiritualità quaresimale

Il libretto da cui potete trarre abbondanti notizie sul Santo di Paola va oltre, approfondendo anche il realistico rapporto tra Gesù Cristo e l’alimentazione (per la quale non ha proibito alcunché), e il cristocentrismo trinitario, più precisamente la carità del Cristo, che è il fulcro della vita redenta e della spiritualità di San Francesco da Paola:

«La spiritualità quaresimale del Paolano è incentrata sull’amore verso il prossimo – e verso tutte le creature -, che sgorga dalla carità di Dio, espressa attraverso un cristocentrismo trinitario: Cristo, da sempre unito e in relazione con il Padre, che ci rivela l’amore del Padre» (pag. 114).

Non per niente il suo motto era «Charitas», Amore. Il santo calabrese perciò non è «vegano» per motivi salutistici o ambientalistici, ma adotta l’alimentazione «di strettissimo magro» per amore di carità vissuto nella spiritualità del deserto come Gesù e come gli antichi Padri, anticipazione della pace escatologica di tutto quanto il Creato.