San Francesco d’Assisi (4 ottobre)

San Francesco d'Assisi
Foto di sebastiano iervolino da Pixabay

Benché sia un personaggio molto lontano da noi nel tempo, San Francesco d’Assisi è un santo sempre attuale, e parlarne è veramente un’impresa e un problema di scelta, perché su di lui ci è pervenuto molto materiale storico e le tematiche della sua spiritualità sono tante.

In questa occasione mi limiterò a rilevare un aspetto del suo carisma, quello della fraternità universale, che egli riversava anche sugli animali, fratelli e sorelle per lui.

Gli animali fratelli e sorelle in San Francesco

San Francesco d’Assisi (1181-1224) è senza dubbio il santo che più di ogni altro, nell’immaginario collettivo, è legato all’amore per gli animali. Pensate all’episodio del lupo di Gubbio (l’interpretazione di Angelo Branduardi QUI), al di là del fatto che storicamente si potesse trattare piuttosto di un lupo “a due gambe”, un signore che tiranneggiava e vessava la città, del cui casato era più prudente tacere, oppure di un feroce brigante.

QUI la scena del lupo di Gubbio nel musical Forza venite gente.

Attenti al lupo… ma quale?

San Francesco d'Assisi
Luc-Olivier Merson  (1846–1920), Il lupo di Gubbio (1872, particolare). Pubblico dominio

Un monaco dell’abbazia di San Verecondo a  Vallingegno presso Gubbio, nella seconda metà del XIII secolo, ha lasciato alcune notizie su San Francesco d’Assisi ricordando che era stato ospitato parecchie volte nell’abbazia. E infine,

«Il beato Francesco, consumato e indebolito a causa delle incredibili penitenze corporali, veglie notturne, orazioni e digiuni, non potendo più camminare a piedi, massimamente dopo che era stato insignito delle stimmate del Salvatore, viaggiava sul dorso di un asinello.

Una sera sul tardi, era quasi notte, egli passava in compagnia di un fratello per la strada di San Verecondo, cavalcando l’asinello, le spalle e la schiena malamente coperte da un rozzo mantello. I contadini cominciarono a chiamarlo dicendo: “Frate Francesco, resta con noi e non voler andare oltre, perché da queste parti imperversano lupi famelici e divorerebbero il tuo asinello, coprendo di ferite anche voi”. E il beato Francesco replicò così: “Non ho mai fatto nulla di male al fratello lupo, perché ardisca divorare il nostro fratello asino. State bene, figli, e temete Dio!”. E così frate Francesco proseguì il suo cammino senza imbattersi in sventura di sorta. Questo ci ha riferito uno dei contadini che era stato presente al fatto» (Passione di San Verecondo, 3, Fonti Francescane, II, Assisi, 1977).

Ad aggressività risponde aggressività

Non c’è da dubitare della veridicità di questa narrazione che non amplifica minimamente i fatti e nemmeno parla di miracoli. Semplicemente, Francesco mostra di non temere il lupo non perché si consideri in qualche modo più forte, ma perché ritiene l’aggressività del lupo una risposta all’aggressività dell’uomo. Se l’uomo non facesse alcun male alle creature, non sarebbe neppure aggredito, e il creato tornerebbe alla pace originaria. Tutta l’esistenza di San Francesco è improntata al modello cristico del nuovo Adamo conciliato con Dio e quindi con ogni altro e con la natura.

Come quella del lupo di Gubbio, la storia dei lupi di San Verecondo è la storia di qualcuno che nel suo cammino vive l’Incontro con Dio in tutto ciò che avvicina. Il lupo diviene simbolo di ogni uomo che incontrando l’Uomo Nuovo compie un cambiamento di rotta verso una nuova vita di comunione.

Con Francesco possiamo ancora dire Homo homini lupus (l’uomo è lupo per l’uomo)? Veramente il rischio esiste, soprattutto in noi. Commentando l’episodio del lupo di Gubbio, don Primo Mazzolari disse che il lupo è dentro ciascuno di noi, e potrebbe essere di due qualità: «il lupo selvatico, il lupo brado», rappresentato dal lupo famelico del Fioretto, l’estraneo che non conosciamo, e «il lupo levigato, civile, che si veste bene, il lupo in veste d’agnello, che se la prende con il lupo che viene dalla foresta». Prima di guardare con ostilità ai lupi esteriori, bisognerebbe esaminare quelli interiori…

Un rapporto rinnovato con la natura

Cantico delle Creature di S. Francesco, Mosaico di Suor Ludgera. Francoforte sul Meno, Chiesa di Nostra Signora, chiostro, 1979. Photo: Andreas Praefcke – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=14612310

Il primo biografo di San Francesco d’Assisi, Tommaso da Celano, scrive che «la sua carità si estendeva con cuore di fratello non solo agli uomini bisognosi, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili» (1Cel 77). Tanti episodi del suo amore per gli animali ci vengono riferiti dai biografi: per gli uccelli, e fra questi il falcone che la notte lo sveglia alla Verna per la preghiera; per la cicala che canta per lui e con lui finché non viene congedata; per i pesci, che fa ributtare in acqua; per il leprotto che libera dal laccio; per le api che nutre d’inverno; in particolare, per gli agnelli simbolo di Gesù.

Ma questa non è sdolcinatezza; c’è molto d’altro. San Francesco è l’uomo capace di vedere in tutte le creature l’impronta del Creatore di tutti e perciò «chiamava col nome di fratello tutti gli animali» (2Cel 165).

Può sorprendere che nel Cantico delle Creature, eco mirabile di questa fraternità universale, in cui il Creatore viene lodato per le sue creature e le creature vengono invitate alla lode, non compaiano gli animali. Non vi sono menzionati, infatti, perché Francesco si mette dal loro punto di vista e si fa voce cosciente di tutti gli esseri senzienti che lodano il Signore di tutti per i doni che Egli elargisce loro, il Sole e la Luna, le stelle, l’aria e i fenomeni atmosferici, la madre terra che a tutti dà nutrimento, l’acqua fonte di vita per ognuno e il fuoco che dà luce ed energia al mondo; non solo all’uomo, ma anche agli animali.

Uno sguardo purificato

San Francesco d'Assisi
Vetrata della chiesa di St Mary, Halstock. San Francesco e gli animali. Di Sarah Smith, CC BY-SA 2.0, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13748606

Lo sguardo nuovo di San Francesco d’Assisi è paradigmatico per l’ideale cristiano del rapporto con le realtà naturali, un rapporto affrancato dalla brama del possesso e dello sfruttamento. Francesco comprende se stesso come creatura in mezzo alle altre creature viventi che sono per lui sorelle e fratelli, tutte uscite dalla mano di un unico Signore. Sa che il mondo intero è redento da Cristo attraverso la redenzione dell’uomo; così il Signore, nel deserto, «se ne stava con le fiere» come un nuovo Adamo (Mc 1, 13b). La pace originaria infranta dal primo Adamo è ricostruita dal Cristo e donata a coloro che, come Francesco, lo accolgono nella loro esistenza. L’uomo può così assolvere al suo compito di sacerdote del cosmo, e farsi «voce di ogni creatura».

San Bonaventura dice di San Francesco che l’amore, «riconciliandolo con tutte le creature, lo riportava allo stato dell’innocenza originale»; il suo amore fu così dolce e potente «da domare gli animali feroci, addomesticare quelli selvatici, ammaestrare quelli mansueti e spingere all’obbedienza la natura delle bestie divenute ribelli all’uomo dopo il suo peccato» (Leggenda maggiore, cap. 8, 1.11). L’amore di San Francesco d’Assisi per le creature è come una scala che porta, di gradino in gradino, ad elevarsi al Creatore ed a ritrovare, in Lui, ogni realtà creata come frutto della sua Carità.

Ripropongo QUI per intero il musical Forza venite gente: vale veramente la pena, per le musiche e per l’interpretazione di Silvio Spaccesi nella parte di Pietro Bernardone padre di San Francesco.