San Cerbone vescovo di Populonia (10 ottobre)

Duomo di Massa Marittima, esterno. Fregio con scene della vita di San Cerbone (XIII secolo). Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=43432374

La persona di San Cerbone, probabilmente sconosciuta ai più, è, quantunque disti da noi ben 15 secoli, ricca di significati che parlano al mondo di oggi. Prima di inoltrarmi nel racconto della sua vita, cerco di sintetizzarli:

  • È un migrante. È venuto dal mare, in fuga dalla persecuzione dei vandali in Nord Africa. Vi ricorda qualcosa?
  • È perseguitato per la sua fede. Sa quando ha il dovere di preservare la sua vita, per metterla a servizio degli altri, e quando questo servizio gli impone di esporla per esercitare la carità.
  • È in amicizia con tutti gli uomini. Totila lo condannerà a morte (ma gli orsi che lo dovevano sbranare gli faranno le feste) per aver ospitato dei soldati bizantini che il re degli ostrogoti considerava nemici, ma che San Cerbone accoglie come fratelli.
  • È in amicizia con gli animali. Orsi, cerve, oche… Il mondo naturale, la Casa comune, non ha preclusioni per lui e gli offre i suoi doni e la sua protezione.
  • È un contemplativo; gode persino del privilegio del canto degli angeli durante le sue celebrazioni. Canta all’unisono con il Coro celeste. Ma è anche un pastore solerte: si prende cura del suo popolo, lo protegge come può, ha cura dei malati, dei fragili.

Lo sbarco a Baratti

Il golfo di Baratti, precisamente sul 43° parallelo,  fu il luogo dello sbarco, secondo la leggenda, di San Cerbone e compagni, in fuga dall’Africa a causa della persecuzione dei vandali ariani. Il 43° parallelo entra in Italia da Grottammare sull’Adriatico, passa per Assisi, taglia in due il golfo di Baratti, poi attraversa Lourdes e Santiago de Compostela. Sembra che la natura abbia voluto allineare questi luoghi mistici sul medesimo parallelo. Una natura che è dalla parte di Cerbone. I santi del primo cristianesimo, come poi San Francesco, si caratterizzavano per il loro rapporto fraterno con tutte le creature, ovvero per il loro essere, in Cristo, il nuovo Adamo che gode dell’amicizia e della solidarietà di tutti gli esseri che abitano la Casa comune. E la storia di San Cerbone è piena di animali.

Totila e gli orsi

San Cerbone e gli orsi
San Cerbone e gli orsi (con un paio di leoni per giunta).
Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=43432375

San Cerbone era sfuggito alla persecuzione dei vandali in Africa, ma solo per capitare in Italia in piena guerra greco – gotica (VI secolo). Si narra che Cerbone avesse dato ospitalità a soldati nemici. Perciò Totila re dei goti lo condannò ad bestias, ma i feroci orsi che avrebbero dovuto sbranarlo si prostrarono invece ai suoi piedi leccandoglieli festosamente, per cui Cerbone ebbe grazia della vita.

Il viaggio a Roma

Acclamato dal popolo come vescovo di Populonia verso il 570 dopo la morte del predecessore San Fiorenzo, Cerbone fu poi dal popolo denunciato al Papa perché celebrava la S. Messa troppo presto, all’alba, rendendone difficile la partecipazione alla gente comune. Santo sì, ma scomodo! Il papa quindi lo convocò alla sua presenza per rispondere delle accuse, e San Cerbone si mise in cammino con i messi pontifici.

Un viaggio lento il suo, col passo di quell’epoca quando la fretta non si conosceva e ci si poteva immergere nel mondo naturale con l’animo della creatura che contempla la bellezza del Creatore. Dovette essere così il viaggio che condusse Cerbone vescovo di Populonia (la sede vescovile di Massa era ancora di là da venire) a Roma, alla presenza di papa Virgilio, per rispondere di una sua presunta mancanza: non per poco zelo ma per troppo, in quanto celebrava la Messa in ore antelucane. In realtà, come papa Virgilio potrà constatare (allarme spoiler), alle Messe celebrate da Cerbone assistevano gli angeli, e il santo, per umiltà, voleva nascondere la cosa.

Le cerve

Un viaggio sobrio, senza lussi e senza sprechi, in una natura che è madre e che sostenta con i mezzi semplici di cui il santo si accontenta: ed ecco che San Cerbone munge delle cerve per dissetare, col latte da loro donato, i tre messi papali che stavano letteralmente morendo di sete – una lezione di santità impartita loro.

Un viaggio solidale anche, ché Cerbone non è solo ma in compagnia del corteo dei messi pontifici, e durante il tragitto avrà modo di guarire delle persone gravemente malate. Comunione con la natura e le creature viventi, comunione con gli uomini, perché il santo è in comunione con Dio e quindi è anche riconciliato con se stesso e non ha bisogno di nascondersi né a sé né agli altri.

Il viaggio di Cerbone a Roma per rispondere alle accuse fu dunque il più ricco di prodigi che si potesse immaginare, perché dopo aver indotto due cerve a dissetare con il loro latte i messi pontifici, ed aver guarito tre uomini in preda alla febbre…

Le oche

… delle oche selvatiche lo seguono fin dal Papa, da cui vengono benedette per poi riprendere lietamente il volo. Nell’iconografia, le oche sono l’elemento distintivo di San Cerbone.

oche di san cerbone
Ambrogio Lorenzetti, Maestà di Massa Marittima, 1335 ca., Le oche di San Cerbone. Di Sailko – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=62429898

Davanti al Papa

Rutilio Manetti, Messa di San Cerbone. Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=80967838

Papa Vigilio, davanti al Santo, non ne aspettò l’omaggio ma si alzò a salutarlo, e per questo motivo, fino all’Ottocento, tradizione volle che il Papa si alzasse solo davanti al vescovo di Populonia, mentre dagli altri attendeva seduto il bacio della pantofola. Quanto alla Messa troppo mattutina, assistendo ad essa il Papa si accorse che gli angeli cantavano il Gloria (per non fare sfoggio di tanta grazia il santo cercava di non mostrarsi agli altri), e le accuse caddero.

San Cerbone, gli uomini, gli angeli e gli animali

Cerbone, pastore del suo popolo, conciliava perfettamente la vita contemplativa con quella apostolica e caritativa. La sua vita ne mostra molti esempi. Da una parte, l’episodio in cui il popolo lo denuncia al Papa perché celebra la Messa in orari antelucani rendendo difficile parteciparvi sembra contraddire questa affermazione, ed è motivo della severa convocazione a Roma per rendere conto del suo operato. Tuttavia, durante il viaggio il santo vescovo si segnala per lo spirito di carità verso chiunque, fossero i legati pontifici che lo accompagnavano, da lui dissetati con il latte munto dalle cerve, oppure sconosciuti prostrati da febbri perniciose, da lui guariti; e si dimostra che la Messa del santo era partecipata dagli angeli, per cui egli per umiltà desiderava celarlo.

Uomo di comunione, quindi, col mondo umano, col mondo angelico, ed anche col mondo animale col quale ha un rapporto particolare: le oche gli obbediscono, le cerve lo servono, gli orsi gli mostrano amicizia.

L’episodio in cui Cerbone, condannato da Totila ad essere sbranato da un orso feroce, viene invece da lui festeggiato con segni di affetto, ne mostra un altro aspetto: il motivo della condanna era stato l’accusa di aver accolto e protetto dei bizantini, avversari dei goti. Un mondo turbolento in cui i popoli migravano, si intrecciavano, si osteggiavano, e in cui Cerbone non ha fatto scelte politiche, ma scelte caritative: accogliere l’uomo, chiunque sia, in tutte le sue necessità.

San Cerbone all’Elba

Grotta di San Cerbone. Di Ferpint – Opera propria,
CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=17268739

La vita di San Cerbone fu dunque ricca di persecuzioni, che lo spinsero prima dall’Africa del nord alle coste di Populonia con una navicella per salvarsi dai vandali, poi all’isola d’Elba. Nel 573, il vescovo Cerbone si rifugiò infatti con il suo clero in questa isola «ospitale e boscosa» per sfuggire ai Longobardi. L’Elba fu scelta perché vicina a Populonia, la sede vescovile di quel tempo, ma anche inaccessibile per i barbari, spaventati dal mare e dai bizantini che allora vi spadroneggiavano.

Romitorio di San Cerbone, isola d’Elba. Di Ferpint – Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72933492

Cerbone scelse come dimora una grotta naturale sul monte Capanne, vicino ad una sorgente, tra Poggio e Marciana. Lì terminò la sua travagliata vita nel 575. Aveva dato precise indicazioni ai suoi chierici, dicendo che voleva essere sepolto nella terraferma, presso Populonia. Volle rassicurare i suoi che dovevano affrontare i pericoli del mare per adempiere alle sue ultime volontà, perciò li tranquillizzò promettendo che non sarebbe successo loro niente di male: infatti, narra la leggenda, il mare rimase calmo nel tratto attraversato dalla barca, la pioggia che imperversava furiosamente la risparmiò e anche le incursioni piratesche non la rintracciarono a causa di una fitta nebbia.

Il convento di San Cerbone

Forse furono proprio i seguaci di Cerbone, rientrati in tutta sicurezza all’Elba, che vi costruirono una chiesetta per mantenere vivo il ricordo del loro pastore. Ma la prima testimonianza storica si ha solo nel Quattrocento quando alla chiesetta fu annesso un convento dell’Osservanza francescana. Quando il grande Santo massetano, Bernardino Albizzeschi, fu eletto Commissario generale degli Osservanti dell’Umbria e della Toscana, «il padre Tommaso da Firenze», dicono le Cronache dell’ordine, «aprì il convento di San Cerbone nei monti dell’isola d’Elba, l’anno del Signore 1421». In seguito quel piccolo convento, abbandonato dai frati come insicuro, si trasformò in un romitorio.

Il romitorio

Il canonico Lombardi («San Cerbone nella leggenda, nel culto e nell’arte», edito da «La Torre Massetana») afferma che nel Settecento in diocesi c’erano una quindicina di romitori, ma quello di San Cerbone era considerato privilegiato dal vescovo perché dedicato al patrono della diocesi. Che godesse di particolari attenzioni si deduce anche dal fatto che, a differenza degli altri romitori elbani di spettanza degli Appiani, il Vescovo se ne era riservato l’esclusivo patronato. La chiesetta di San Cerbone godeva di una specie di decima sul pescato di Marciana e il santo era particolarmente venerato e invocato dai pescatori e dagli uomini di mare.

Poi i secoli sono passati, è scomparsa la decima, il romitorio è caduto in abbandono, svuotato, dimenticato anche il culto. Nel 1993, come recita la lapide sul muro esterno, è stata terminata un’opera di recupero dell’edificio per conferirgli un minimo di decoro. Negli anni successivi, singoli o gruppi sono saliti fino alla grotta il 10 ottobre, per rendere omaggio al santo patrono. Oggi, anche se la chiesetta è chiusa, il percorso per arrivarvi è ben segnalato.

Ritorno a Baratti

Cappella di San Cerbone, spiaggia di Baratti. Il retro. Luca Aless, CC BY-SA 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0>, via Wikimedia Commons

Quando Cerbone, all’Elba, fu per morire, volle che il suo corpo fosse traslato a Populonia, sbarcandolo di nuovo nel golfo di Baratti che lo aveva visto, tanti anni prima, approdare nel Promontorio all’altezza del 43° parallelo.

san cerbone baratti
Baratti, cappella di San Cerbone. Di LepoRello – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=22474389

Già in epoca longobarda sul luogo fu eretto un piccolo edificio, ricostruito sulle sue fondamenta nel Cinquecento.

San Cerbone a Massa Marittima

La cattedrale costuita a Massa Marittima in onore di San Cerbone.
Di Spike – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=83579449

La sede della diocesi di Populonia, per sicurezza (i pirati imperversavano sulle coste), fu trasferita prima a Suvereto (809), poi a Massa Marittima (XI secolo). Quando avvenne la traslazione del corpo di S. Cerbone a Massa, dando il via alla costruzione dell’attuale cattedrale, il centro della vita religiosa, intellettuale, politica, commerciale e militare si strinse ancora di più intorno alle reliquie del santo: intorno all’altare della cattedrale si redassero i documenti più importanti, fra i quali quelli della costituzione del Libero Comune. Il 10 ottobre divenne la festa del comune, l’immagine del santo fu impressa sulle monete e comparve sugli stendardi (cfr. E. Lombardi, «San Cerbone nella leggenda, nel culto e nell’arte», 1953, 30).

A Massa, fin dall’XI secolo, le reliquie erano conservate nell’altare maggiore, ma l’ubicazione precisa si perse nel tempo. Le spoglie del santo furono ritrovate, dopo un’assidua ricerca, il 26 giugno 1599, e con bolla del papa Clemente VIII il corpo, il 15 maggio 1600, fu traslato con la splendida arca ideata da Goro di Gregorio (1324).

L’arca di San Cerbone

arca di san cerbone
Arca di San Cerbone. Di Matteo Vinattieri – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7307728

Lungo l’arca di san Cerbone, oggi collocata dietro l’altare maggiore sì che vi si possa girare attorno, si dispongono otto riquadri con storie del Santo, iniziando con la scena in cui egli, condannato da Totila, per aver accolto soldati a lui avversi, ad essere sbranato dagli orsi, è da questi miracolosamente lambito come fossero docili cagnolini.

Il secondo bassorilievo apre invece il racconto di quella che è la vicenda principale della leggenda di san Cerbone e che avrà risoluzione solo nell’ultima delle otto formelle scolpite: i cittadini di Populonia supplicano Cerbone di ritardare l’orario della Messa che egli usava celebrare nelle ore antelucane, poi si rivolgono, nel terzo riquadro, direttamente al Papa perché richiami a più miti consigli il loro vescovo. Nella formella sul lato corto dell’arca, i legati apostolici recano a Cerbone l’ordine di comparire dinanzi al Papa.

Il racconto continua sull’altro lato lungo dell’arca: il Santo, mungendo una cerva che gli si era docilmente avvicinata, riesce a placare la sete terribile che aveva colto i messi papali; poi guarisce tre viandanti colti da altissime febbri.

L’ultima scena della fiancata illustra l’arrivo di Cerbone al cospetto del Papa che si alza in piedi riconoscendolo come santo; il primo a varcare la porta è però il famoso branco di oche che ha accolto l’invito del Santo di accompagnarlo come dono per il Papa; dopo la benedizione, le oche riprenderanno il volo.

L’ultimo bassorilievo svela finalmente il mistero delle messe notturne: un coro di angeli compariva a cantare il Gloria e Cerbone, per umiltà, aveva sempre voluto celare il fatto.

(Dal sito diocesano: https://www.diocesimassamarittima.it/diocesi/cattedrale-di-san-cerbone/)

I longobardi, San Cerbone e la diocesi di Populonia

Gregorio Magno, nel capitolo 11 del terzo libro dei suoi «Dialoghi», racconta che San Cerbone aveva fatto costruire il suo sepolcro nella chiesa di Populonia, «sed cum Langobardorum gens in Italiam veniens, cuncta vastassent, ad Helbam Isolam recessit»: quando i longobardi vennero in Italia tutto devastando, si ritirò nell’isola d’Elba. Ivi morì, ma prima chiese ai suoi chierici di traslare le sue spoglie nel sepolcro da lui preparato. Data la difficoltà di affrontare un viaggio in una zona razziata dai longobardi, San Cerbone assicurò i chierici che non avrebbero corso nessun pericolo. Infatti essi, dopo la sepoltura del loro vescovo, tornarono in fretta alla nave e partirono per l’isola d’Elba giusto in tempo, perché appena tornati alla nave arrivò a Populonia il Langobardorum dux crudelissimus Grimarit.

GUMMARIT E L’INVASIONE LONGOBARDA

Il racconto di Gregorio conferma due probabili fasi dell’invasione longobarda nel populoniese: prima le razzie che non portarono a uno stabile controllo della zona, poi l’espugnazione di Populonia e l’occupazione del territorio da parte del dux Grimarit di Lucca. Da questo momento in poi il territorio populoniense fu controllato – almeno in gran parte – dai lucchesi sotto il dominio longobardo. Grimarit o Gummarith fu infatti il primo duca di Lucca con un potere affermatosi fra il 574 e il 584 in un decennio in cui il regno longobardo non ebbe un sovrano ma vide il governo di vari duchi indipendenti gli uni dagli altri (anarchia ducale). Risale a questo periodo la fondazione di un ducato longobardo comprendente Lunigiana e Garfagnana, il primo che si formò a sud degli Appennini.

Gummarith si guadagna l’appellativo di «crudelissimo» proprio irrompendo nell’abitato di Populonia e provocando la fuga dei residenti, costretti a rifugiarsi all’isola d’Elba con il proprio vescovo, San Cerbone. Dopo questa spedizione gran parte dei territori maremmani vengono incorporati nel ducato lucchese di Gummarith. Nel 592 anche Sovana e Roselle diventano longobarde. Furono poi Rotari e Agilulfo a completare la conquista della Tuscia Langobardorum, che a sud confinava con la Tuscia Romana ancora di proprietà bizantina, ma già esposta alla crescente autorità pontificia. I confini fra i due territori, negoziati nel trattato di pace del 680 tra re Pertarito e l’imperatore d’Oriente Costantino IV, rimasero definitivamente stabili e segnarono i margini meridionali della Toscana fino ad oggi.

UNA POSSIBILE DATAZIONE

Si possono considerare gli anni Settanta del VI secolo, forse con minor approssimazione gli anni 574-576, come data probabile per la fuga e la morte del vescovo Cerbonio o Cerbone e per l’occupazione di Populonia da parte del dux Grimarit.

Una conferma di tale datazione viene da una lettera che Gregorio Magno scrisse nel gennaio 591 chiedendo aiuto al vescovo di Roselle per rinnovare la vita religiosa nella diocesi di Populonia rimasta senza vescovo e senza clero, tanto da non poter assicurare neppure i funerali e i battesimi. Il vescovo di Roselle avrebbe dovuto ordinare un presbitero per il duomo e due diaconi e tre presbiteri in diverse parrocchie. È evidente che tale situazione nel populoniese non poteva essere insorta di recente, presupponendo invece un progressivo peggioramento di lunga data, il cui inizio potrebbe plausibilmente coincidere proprio con la data dell’espugnazione di Populonia negli anni Settanta. In seguito i Lucchesi occuparono una gran parte del territorio Populoniese. Queste terre entrarono poi a far parte della iudiciaria di Lucca.