
Il problema di una salvezza eterna di coloro che sono fuori della Chiesa ha una lunga storia nel magistero. Abbiamo visto nell’articolo precedente (QUI) come nel cuore del Medioevo già si ritenesse che Dio vuole la salvezza di tutti e quindi, al di là dei confini visibili della Chiesa, dispieghi tutti i possibili mezzi per chiamare a sé anche chi non conosce Cristo. Lo abbiamo visto in San Tommaso e in Dante. In definitiva, quello che può allontanarci dalla salvezza è solo la nostra libera scelta di rifiutare l’amore di Dio. Una scelta di fonte alla quale Dio, per così dire, si arrende e ci permette di andare fino in fondo.
La Misericordia infinita nella Divina Commedia…

Ho già trattato il tema della Divina Commedia come poema della Misericordia (QUI), in contrasto con l’apparente spietatezza di un Dio che spedisce all’inferno la maggior parte dell’umanità (e bisogna dire che Dante gli dà man forte in questo, specialmente quando si tratta di fiorentini…).
La Misericordia infinita di Dio riluce però nella Divina Commedia anche attraverso «improbabili» figure che Dante colloca ove il lettore non si aspetterebbe mai di trovarle, date le loro particolarità, la loro storia e le circostanze della loro morte, per esempio in stato di scomunica. Attraverso tali figure Dante vuole sottolineare in maniera inequivocabile l’inconcepibile dimensione infinita della Misericordia divina. Così i peccatori pentiti all’ultimo momento possono dire, con lo scomunicato Manfredi, «Orribil furon li peccati miei; ma la bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei» (Purg. III, 121-123).
Non solo. Persino chi non conosce Cristo, se ha cercato nella sua vita ciò che riteneva essere il bene, sarà salvo: «Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”, che saranno in giudicio assai men prope a lui, che tal che non conosce Cristo; e tai Cristian dannerà l’Etiòpe, quando si partiranno i due collegi, l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe» (Par. XIX, 103-111). Ovvero, quando ci sarà il giudizio finale che dividerà i beati dai perduti, molti cristiani di nome saranno più lontani da Cristo dei pagani che non l’hanno conosciuto ma che hanno vissuto secondo la legge naturale.
… e in San Tommaso

Già san Tommaso d’Aquino aveva scritto:
«Dal fatto che tutti gli uomini sono tenuti a credere esplicitamente alcune verità per salvarsi, non c’è inconveniente alcuno che qualcuno viva nelle selve o tra gli animali bruti. Poiché appartiene alla Divina Provvidenza provvedere a ciascuno le cose necessarie per la salvezza, a meno che uno non lo impedisca da parte sua. Perciò, se uno educato secondo la ragione naturale si comporta in maniera da praticare il bene e fuggire il male, si deve tenere per cosa certissima (certissime tenendum est) che Dio gli rivelerà per interna ispirazione le cose che deve credere necessariamente» (De Veritate, 14, 11, ad 1).
San Tommaso e Dante anticipano dunque quanto affermerà secoli più tardi la Chiesa nella «Lumen Gentium»:
«Quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cercano sinceramente Dio e attraverso l’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà divina, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che, senza averne colpa, non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo, e come dato da Colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita» (Lg 2, 16).
Un tratto della Costituzione Dogmatica che di fatto sottoscrive la salvezza che Dante riserva, un po’ a sorpresa, al pagano Rifeo, personaggio nato e morto ben prima della venuta di Cristo, e da lui collocato nel cielo degli spiriti giusti.
Il diavolo Astarotte
Ma non è solo il cattolicissimo Dante ad esprimere questa visione. Sorprendentemente, è il diavolo Astarotte creato dall’«eretico» Luigi Pulci a dare la soluzione del problema in tempi non sospetti. Nel brano, che mi è stato segnalato dal prof. Davide Puccini (Morgante, XXV,233.236), il diavolo teologo afferma:
«Sappi ch’ognun per la croce è salvato;
forse che il ver, dopo pur lungo errore,
adorerete tutti di concordia,
e troverrete ognun misericordia […].
Dico così che quella gente crede,
adorando i pianeti, adorar bene, […]
sì che non debbe disperar merzede
chi rettamente la sua legge tiene».
Qui si presume l’esistenza di esseri umani rimasti al di fuori del raggio della storia della salvezza perché vissuti in un emisfero lontano dai luoghi dove essa si è svolta, che pure siano stati fedeli alla legge naturale e abbiano adorato rettamente gli dei di cui avevano conoscenza. E questo anche se, riconosce il diavolo teologo,
«Vera è la fede sola de’ cristiani
e giusta legge e ben fondata e santa;
tutti i vostri dottor son giusti e piani
e ciò che appunto la Scrittura canta» (240).
Ma ci voleva proprio un eretico per affermare la possibilità di salvezza dei pagani? Che cosa ha sostenuto la Chiesa nei secoli?
Il Magistero recente

Il Concilio di Trento, paragonando la Chiesa all’arca di Noè, sembrava intendere che al di fuori di essa tutto fosse sommerso dalle acque del diluvio (Catechismo, I,9,116), e quindi fuori dell’appartenenza alla Chiesa non vi fosse salvezza. «Quanti vogliono conseguire la salute eterna devono aderire alla Chiesa, non diversamente da coloro che, per non perire nel diluvio, entrarono nell’arca» (114).
Teniamo però presente che il contesto in cui operò il Concilio di Trento era quello del problema dell’Unità della Chiesa, drammaticamente messo in pericolo, secondo la Chiesa di Roma, dai movimenti di riforma. Inoltre ci si può chiedere: che cosa significa «aderire alla Chiesa»? Riguarda solo i formalmente battezzati?
Pio IX
Il problema della salvezza dei non cristiani è stato ripreso soprattutto a partire dall’Ottocento. Se ne è occupato Pio IX, il quale nel Sillabo escluderà categoricamente che «gli uomini nel culto di qualsiasi religione possono trovare la via dell’eterna salute, e l’eterna salute conseguire» (§III, XVI). Questo per quanto riguarda l’equiparazione delle altre religioni alla Chiesa. Tuttavia, nell’enciclica Quanto conficiamur del 1863, rivolta ai vescovi italiani, aveva ricordato comunque, come verità nota, che i non cristiani possono trovare la salvezza:
« A Noi ed a Voi è noto che coloro che versano in una invincibile ignoranza circa la nostra santissima religione, ma che osservano con cura la legge naturale ed i suoi precetti, da Dio scolpiti nei cuori di tutti; che sono disposti ad obbedire a Dio e che conducono una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della grazia divina, conseguire la vita eterna . Dio infatti vede perfettamente, scruta, conosce gli spiriti, le anime, i pensieri, le abitudini di tutti e nella sua suprema bontà, nella sua infinita clemenza non permette che qualcuno soffra i castighi eterni senza essere colpevole di qualche volontario peccato».
Pio X
Pio X scrive nel suo Catechismo:
«Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all’anima di lei e quindi in via di salute» (Pio X, Catechismo Maggiore, 171).
Pio XII
Si distingue quindi tra corpo della Chiesa, cioè l’appartenenza per così dire anagrafica, e anima della Chiesa, formata da tutte le persone di buona volontà che pure non conoscono Cristo. La medesima dottrina viene implicitamente ma chiaramente ribadita anche da papa Pio XII, il quale trattando il tema del «battesimo di desiderio» afferma che i «cristiani separati» che rientrano in tale battesimo sono anche coloro i quali non esprimono esplicitamente il proprio desiderio: «il desiderio non deve necessariamente essere esplicito, ma può anche essere inconscio» (Pio XII, Mystici Corporis).
Monsignor Gérard Philips afferma addirittura che:
«Per quanto possa a prima vista stupire, è soprattutto a Pio IX e poi a Pio XII che dobbiamo un allargamento di orizzonti. Dopo aver insistito ancora una volta sull’adagio “fuori della Chiesa nessuna salvezza”, Pio IX considera la situazione dell’uomo vittima di una ignoranza invincibile riguardo alla Rivelazione e alla Chiesa. Poiché Dio vuole la salvezza di tutti, è evidente che un tale uomo, rispettoso della legge naturale scritta da Dio nel cuore di ciascuno, può arrivare alla vita eterna, “con il favore della luce e della grazia di Dio”» (G. Philips, La Chiesa e il suo mistero nel Concilio Vaticano II, 174).
Quindi, se sentite affermare che la Chiesa cattolica mandava all’inferno tutti coloro che non le aderivano, sappiate che ciò non è affatto vero, se non per uomini di Chiesa ottusi e ignoranti.
La Lumen Gentium

Perciò, se era già dottrina comune della Chiesa, non c’è da stupirsi del chiaro pronunciamento di LG 16, secondo cui Dio «come Salvatore vuole che tutti gli uomini si salvino (cfr. 1 Tm 2,4). Infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che non sono ancora arrivati alla chiara cognizione e riconoscimento di Dio, ma si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta».
Ma vediamo per esteso il testo della Costituzione dogmatica conciliare Lumen Gentium del Vaticano II (Nn. 2. 16).
Il testo
L’eterno Padre, con liberalissimo e arcano disegno di sapienza e di bontà, ha creato l’universo, ha decretato di elevare gli uomini alla partecipazione della sua vita divina e, quando essi caddero, in Adamo, non li ha abbandonati, ma ha sempre provveduto loro l’aiuto necessario per la salvezza in considerazione di Cristo redentore, «il quale è l’immagine dell’invisibile Dio, generato prima di ogni creatura» (Col 1, 15).
Tutti gli eletti il Padre fino dall’eternità «li ha conosciuti nella sua prescienza e li ha predestinati a essere conformi alla immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito di una moltitudine di fratelli» (Rm 8, 29). I credenti in Cristo li ha voluti convocare nella santa Chiesa, la quale, già prefigurata sin dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo di Israele e nell’antica alleanza e stabilita «negli ultimi tempi», è stata manifestata dall’effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli. Allora, come si legge nei santi padri, tutti i giusti, a partire da Adamo, «dal giusto Abele fino all’ultimo eletto», saranno riuniti presso il Padre nella Chiesa universale.
Il popolo ebraico
Quelli che non hanno ancora ricevuto il Vangelo sono ordinati in vari modi al popolo di Dio e fra questi in modo speciale il popolo al quale furono concesse le alleanze e le promesse e dal quale Cristo è nato secondo la carne (cfr. Rm 9, 4-5). Questo popolo è carissimo a Dio per la scelta che ne ha fatto e per i suoi patriarchi e profeti. E poi Dio non si pente di averlo scelto e colmato di favori (cfr. Rm 11, 28-29).
I musulmani
Ma il disegno della salvezza abbraccia anche coloro che riconoscono il Creatore, e tra questi in primo luogo i Musulmani, i quali, professando di tenere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale.
Le altre religioni
Il Signore è anche vicino a quanti cercano il Dio ignoto nelle ombre e nelle immagini, poiché egli dà a tutti vita e respiro e ogni cosa (cfr. At 17, 25-28), e, come salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvi (cfr. 1 Tm 2, 4).
Infatti, quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa, cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà divina, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna.
Gli atei
Né la divina Provvidenza nega gli aiuti necessari alla salvezza a coloro che, senza averne colpa, non sono ancora arrivati a una conoscenza esplicita di Dio, e si sforzano, non senza la grazia divina, di condurre una vita retta. Poiché tutto ciò che di buono e di vero si trova in loro è ritenuto dalla Chiesa come una preparazione al Vangelo, e come dato da colui che illumina ogni uomo, affinché abbia finalmente la vita.
Il Catechismo del Vaticano II
Il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 riprende questo argomento negli articoli 816, 819 e 846-848.
Il Compendio al catechismo spiega che questa espressione «significa che ogni salvezza viene da Cristo-Capo per mezzo della Chiesa, che è il suo Corpo. Pertanto non possono essere salvati quanti, conoscendo la Chiesa come fondata da Cristo e necessaria alla salvezza, non vi entrassero e non vi perseverassero. Nello stesso tempo, grazie a Cristo e alla sua Chiesa, possono conseguire la salvezza eterna quanti, senza loro colpa, ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa, ma cercano sinceramente Dio e, sotto l’influsso della grazia, si sforzano di compiere la sua volontà conosciuta attraverso il dettame della coscienza».
La Chiesa non è il carcere di Cristo

C.S. Lewis
Anche lo scrittore cristiano C.S. Lewis, a suo modo, ha portato un tassello nella costruzione della risposta alla domanda se ci sia salvezza per i non credenti in Cristo. Nell’ultimo romanzo di Narna, «L’ultima battaglia», un personaggio importante, anche se non protagonista, è il soldato pagano Emeth, uomo giusto (non per niente il nome, in ebraico, significa «Verità») ma adoratore sincero del falso Dio Tash, un abominevole demonio. Darebbe di tutto cuore la sua vita per lui, lieto al pensiero di poterlo incontrare nell’aldilà. Perciò, quando si trova faccia a faccia col vero Dio, che è Aslan, il Cristo di Narnia, Emeth si crede perduto, perché tutto quello in cui aveva creduto si era rivelato falso e fuorviante. Ma Aslan lo introduce ugualmente nel suo Regno. Finalmente Emeth comprende che tutto «ciò che facciamo di buono lo facciamo in nome di Aslan, anche quando non lo sappiamo».
Le chiavi del Regno
E vorrei anche consigliarvi la lettura di un bel romanzo, Le chiavi del Regno (1941), del celebre scrittore Archibald Cronin. Fu ridotto in un famoso film, Le chiavi del Paradiso (1944), interpretato da Gregory Peck che per questo ricevette la sua prima nomination all’Oscar. Il film, come accade spesso, è abbastanza ben fatto, ma non rende assolutamente la ricchezza del romanzo, basato sul tema della fede e della salvezza oltre che sulla complessità dei personaggi.
Il sacerdote protagonista, lo scozzese padre Chisholm, è apparentemente fallimentare in tutte le sue azioni, ed è invece colui che meglio comprende che cosa significhi appartenere al Regno di Dio. Non è questione di formalismi più o meno adempiuti, ma di sincerità del cuore:
«Nessuno che sia in buona fede può essere perduto. […] E perché dunque a Dio non farebbe piacere vedersi davanti un agnostico rispettabile, e giudicarlo dal Suo alto seggio con una luce amichevole negli occhi, e dirgli “Come vedi sono qui, nonostante tutto quello che ti hanno fatto credere in contrario. Entra nel Regno che hai onestamente negato».
Un’esperienza personale
Cronin sapeva bene a cosa potesse portare l’adesione solo formale ad una fede, visto che, come il protagonista del suo romanzo, era figlio di madre protestante e padre cattolico, una situazione socialmente quasi invivibile all’epoca. Era quindi molto sensibile al problema dei rapporti tra le varie religioni. Sulla sua tomba è scritto solamente, oltre ai dati anagrafici: “Author of The Keys of the Kingdom” . Tanto questo romanzo (fra la trentina di opere da lui pubblicate, tra cui LaCittadella, Anni Verdi, E le stelle stanno a guardare…) era entrato nella sua vita. Leggetelo, ve lo consiglio.
Ci sono innumerevoli vie per la salvezza, dunque, tante quanti sono gli esseri umani, conosciute solo da Dio, anche se la via ordinaria, la via regia, rimane la Chiesa. Ma, come sentii dire da don Benedetto Calati, priore dei camaldolesi, «la Chiesa è il sacramento di Cristo, non il suo carcere!».