
Il Salmo 95 è uno dei più conosciuti del Salterio in quanto usato quotidianamente come “invitatorio” all’inizio dell’ufficio delle Letture o delle Lodi mattutine.
Salmo 95: uso liturgico
Il Salmo 95 risale molto probabilmente al postesilio e la sua origine è collegabile con l’ingresso processionale nel tempio, forse nella festa delle Capanne (cfr. Dt 31,11). È, infatti un salmo di pellegrinaggio.
Poiché alla prima parte, costituita dagli inni introduttori, segue un appello vigoroso a non avere il «cuore indurito» (v. 8) e «traviato» (v. 10), cioè ad una sorta di esame di coscienza prima di accedere al culto, il Salmo 95 è divenuto nel mondo ebraico una delle preghiere d’«ingresso» per il sabato (al venerdì sera), nella liturgia cattolica l’«invitatorio», cioè la preghiera di esortazione iniziale, della liturgia delle Ore, diventando così in un certo senso «il più quotidiano dei Salmi».
Salmo 95: struttura e contenuti
Il Salmo 95 si compone di due parti ben distinte fra loro per stile e contenuto.
- vv. 1-7: invito alla solenne celebrazione. Questa prima parte si presenta con le caratteristiche di un inno avente per finalità l’esaltazione della “grandezza” del Dio d’Israele, creatore e signore dell’universo e “rupe” di salvezza per il suo popolo. L’esortazione alla gioiosa partecipazione è caratteristico degli inni celebrativi della divina grandezza (cfr. Sal 47,1; 100,1-2). La prima motivazione è la grandezza di Dio e la sua superiorità su ogni altra divinità dei popoli pagani (cfr. Sal 96,4-5; 97,7; 98,2). La seconda motivazione è quella dell’elezione e dell’Alleanza, esplicitata nel v. 7. “Egli è il nostro Dio… popolo del suo pascolo…”: è la formula dell’alleanza (Es 19,5-6) arricchita dall’immagine del gregge (cfr. Sal 23,1-2).
- vv. 8-11: ammonizione oracolare. La seconda parte è un’ammonizione data sotto forma di oracolo con il diretto intervento divino. Dio, ricordando il comportamento della generazione del deserto, ammonisce l’assemblea liturgica a non imitarne l’esempio per non incorrere nel suo stesso castigo, quello di essere privato della terra, il luogo del “riposo” preparato da Dio per il suo popolo.
“Non indurite il cuore…”
La durezza del cuore o della cervice biblicamente non è indizio di malvagità, ma segno di incomprensione, caparbietà e ostinazione nel male (cfr. Es 32,9; Dt 9,6.13 ed anche nelle epoche posteriori, cfr. Ez 2,4; 3,7). Meriba (= contestazione) e Massa (= tentazione) richimano due episodi (cfr. Es 17,1-7; Nm 20,2-13) in cui si manifestò l’incredulità del popolo (cfr. Dt 6,16; 8,2). Ma mentre nel Sal 81,8 “alle acque di Meriba” Dio mise alla prova il suo popolo per purificarne la fede, qui gli episodi di Massa e Meriba sono presentati come il “peccato” per eccellenza della generazione del deserto, e cioè la mancanza di fede nel suo Dio.
Poiché il popolo si è rivelato infedele, Dio lo respinge infrangendo l’alleanza e negandogli il possesso della terra, “luogo del mio riposo”: è la terra di Canaan, ma nella lettera agli Ebrei (Eb 3,1-4, 11) viene interpretata come la piena comunione con Dio nel tempio celeste.