Lettura continua della Bibbia. Terzo libro dei Salmi (73-89): il Salmo 73

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Il terzo libro del Salmi comprende 17 composizioni, dal Salmo 73 al Salmo 89). Sono per la maggior parte attribuiti ad Asaf e ai figli di Core, tranne il Salmo 86 attribuito a Davide, il Salmo 87 ai figli di Qorach, il Salmo 88 a Eman l’Ezraita e il Salmo 89 a Etan.

Il Primo e il Secondo Libro delle Cronache collocano Asaf, Eman ed Etan al tempo di Davide e di Salomone, verso l’anno Mille / Novecento a.C. Tuttavia, questi salmi riflettono probabilmente le problematiche di un periodo successivo, che da un declino spirituale passa al declino materiale con la catastrofe dell’esilio (VI secolo a.C.). nasce in questo contesto la preghiera perché il Signore torni a manifestare la propria cura per il suo popolo, sua vigna e terra del suo pascolo, riportandolo al suo antico splendore, perché nessuna salvezza potrà venire fuori dalle proprie risorse umane.

Salmi di Asaf (73-83)

Con  l’aggiunta  del  salmo  50,  questa collezione  è  attribuita ad Asaf, un levita che in 1 Cronache 15,17 figura a capo di una schola di cantori per il servizio liturgico. In effetti, questa collezione ha un carattere marcatamente liturgico, sopratutto per la presenza di lamentazioni pubbliche.

Salmi sapienziali: Salmo 73

Salmo 73
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È l’unico salmo sapienziale della collezione di Asaf, ma è molto intenso, essendo incentrato sul problema del male, sullo scandalo dell’ingiustizia. Questa sapienza di Asaf è eterodossa rispetto alla  concezione tradizionale, e si collega con Giobbe, Qohelet e Geremia. Tale parentela ideologica suggerisce una  datazione immediatamente post-esilica.

Il salmo parte dalla esaltazione della bontà (tob) di Dio, ma l’esistenza felice dell’empio sembra metterla in dubbio. Gli empi prosperano, l’innocente sembra castigato, tanto che anche il giusto sarebbe tentato di seguire l’esempio dei peccatori (v. 15).

La crisi (l’incompresione è descritta efficacemente con le parole baar = stolto e behemot = bruto) si  risolve entrando “nel  santuario di Dio” (un’esperienza mistica in Sion, secondo molti esegeti), oppure “nei misteri di Dio” (miqdeshe’el) cioè nella Sapienza o nelle S. Scritture (come pensano altri). Entrando in comunione con Dio, il fedele accede ad una comprensione superiore: la fine (’acharit), la sorte ultima dell’uomo vedrà differenziarsi di due destini:

* gli empi cadranno nelle chalaqot = luoghi scivolosi

                                          mashshu’ot = desolazioni

                                          shammah = devastazione

                                          ballahot = terrori

* il fedele avrà la compagnia di Dio (sempre con te, per la mano destra) ed entrerà nella gloria (kavod), l’irradiazione dell’Essere di Dio. Siamo di fronte all’intuizione di una eternità da vivere con Dio, in termini non di “paradiso” ma di fede mistica in un Dio che è l’unico bene dell’uomo (v. 28).