Il Salmo 71 è una supplica personale di andamento antologico (le reminiscenze di altri testi salmici sono molteplici). L’elemento originale qui sta nel protagonista, un anziano amareggiato che, ricorrendo a preghiere già note e lungamente usate nella sua vita, esprime a Dio la nostalgia per il suo passato sereno e la protesta per il presente intessuto di prove. Le forze si affievoliscono, le ostilità non mancano, la vita sembra precipitosamente slittare verso lo sheol, gli abissi degli inferi.
È particolarmente commovente, in questo ritratto della vecchiaia che troverà il suo apice nello straordinario epilogo di Qohelet (12,1-7), il ricordo dell’infanzia (v. 6): è uno sguardo retrospettivo su un’esistenza posta sotto il sigillo della fedeltà e dell’amore. A essa fa da contrasto la presente vita perseguitata (vv. 9-11), abbastanza rara nella struttura gerontocratica dell’Antico Oriente (vedi il parallelo di Sir 3,12-13).
Salmo 71: uno spiraglio di fiducia
Ma nonostante lo sfacelo fisico e la crisi esteriore, il salmista apre a se stesso uno spiraglio di fiducia e di speranza (vv. 14-24). La sua vita è stata una lode continua a Dio; questa lode non verrà meno ora come non verrà meno la musica che con l’arpa e la lira l’orante esprimerà al suo Signore, sempre con la fiducia e con la freschezza dello spirito (vedi Sal. 37,25 e 92,13-16).
Secoli dopo anche a Qumran, nell’Inno IX,34, un poeta anziano esclamerà: «Fin nella vecchiaia aspra sei tu che mi sosterrai». L’orante chiede a Dio anche di comprimere i tempi per il suo intervento liberatore. Solo così egli potrà proclamare le lodi di Dio davanti alla generazione ventura (v. 18) affidandole la fiaccola della fede nel Signore. Un Salmo sentito e personale nonostante l’uso di stereotipi e testi già noti, un’esperienza amara composta nella speranza della fede, un’educazione al vivere e al morire perché, come scriveva Tagore, «la morte, come la nascita, fa parte della vita».