
Del Salmo 69 si trovano abbondanti citazioni nel Nuovo Testamento, che l’ha riletto alla luce dell’evento – Cristo, anche se il v. 6 allude ad un peccato personale.
Salmo 69: origini e struttura
L’attribuzione davidica non sembra attendibile. Molti critici lo ritengono un’opera composita, costituita almeno da due lamentazioni intrecciate versetto per versetto, una per un aggressore esterno, una per il proprio peccato personale. La terminologia per cui certi critici pensano che l’autore sia un discepolo del profeta Geremia risente, in effetti, molto della spiritualità geremiana. La datazione più probabile sarebbe l’età esilica o la fine della monarchia di Giuda.
Altri critici pensano ad un unico autore o almeno redattore del salmo, cui attribuiscono una struttura unitaria secondo questo schema:
* vv. 2-13 lamentazione personale
* vv. 14-20 supplica per la salvezza
* vv. 21-30 imprecazione per i nemici, che aggiungono dolore a chi già è stato ferito dalla sofferenza: a Dio viene affidata la giustizia, non alle risorse dell’uomo (Mt 26,53 suggerisce la possibilità che Dio mandi dodici legioni di angeli in difesa di Gesù).
* vv. 31-37 ringraziamento e lode cosmica.
Lamentazione – supplica – imprecazione – lode: Gesù ha assunto tutto questo su di sé, ma ha ucciso l’imprecazione con la preghiera di perdono.
Salmo 69: simbologia e applicazioni neotestamentarie
La simbologia del salmo è quella somatica, psicologica, infernale, tipica di questo genere letterario.
Il v. 5 («Più numerosi dei capelli del mio capo sono coloro che mi odiano senza ragione») è il primo passo di questo salmo a conoscere una applicazione neo-testamentaria, in Gv 15,24-25:
«Se non avessi fatto in mezzo a loro le opere che nessun altro ha mai fatto, essi non avrebbero nessun peccato; in realtà hanno visto e tuttavia hanno odiato me e il Padre mio. Ma questo è per adempiere la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione».
Ancora più dolorosa è l’opposizione che il fedele esperimenta, in quanto essa viene dai suoi fratelli, dai figli di sua madre (l’incredulità del “fratelli” di Gesù può riecheggiare il v. 9: un estraneo / zar = rz”, un forestiero / nokhrî = yrIk.n”), e non nasce da una sua colpa, ma dallo zelo (qin’ah) per il servizio del tempio, forte come una fiamma che divora (’akal = mangiare).
Questo riferimento al tempio fa pensare alla predicazione di Geremia o ai problemi della ricostruzione testimoniati da Aggeo. Giovanni lo vede attuato nella purificazione del tempio compiuta da Gesù: «I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi consumerà» (Gv 2,17).
È poi notissima la ripresa del v. 22 da parte dei sinottici: «Gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere… e, imbevuta una spugna di aceto, la fissò su una canna e così gli dava da bere» (Mt 27,34.48). «Gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese» (Mc 15,23, oltre a Mc 15,36). Nei Vangeli si parla della posca, bevanda di aceto e acqua usata per refrigerarsi dai soldati romani: il gesto del soldato, ricordato da tutti gli evangelisti, era umanitario. Anche il v. 4, con l’immagine della secchezza delle fauci, trova espressione nel grido del Gesù giovanneo: Ho sete! (Gv 19,28).