L’invitatorio del Salmo 68 fa uso del canto dell’esodo per la marcia dell’arca nel deserto (Numeri 10,35): “Sorga Dio, svaniscano i suoi nemici e fuggano davanti a Lui i suoi avversari…”. Qui non ci si riferisce più, però, alla partenza dell’arca, ma all’inizio dell’atto di culto.
Salmo 68: Canto dell’Esodo
2 Sorga Dio e siano dispersi i suoi nemici
e fuggano davanti a lui quelli che lo odiano.
3 Come si dissolve il fumo, tu li dissolvi;
come si scioglie la cera di fronte al fuoco,
periscono i malvagi davanti a Dio.
4 I giusti invece si rallegrano,
esultano davanti a Dio e cantano di gioia.
5 Cantate a Dio, inneggiate al suo nome,
appianate la strada a colui che cavalca le nubi:
Signore è il suo nome, esultate davanti a lui.
6 Padre degli orfani e difensore delle vedove
è Dio nella sua santa dimora.
7 A chi è solo, Dio fa abitare una casa,
fa uscire con gioia i prigionieri.
Solo i ribelli dimorano in arida terra.
8 O Dio, quando uscivi davanti al tuo popolo,
quando camminavi per il deserto,
9 tremò la terra, i cieli stillarono
davanti a Dio, quello del Sinai,
davanti a Dio, il Dio d’Israele.
10 Pioggia abbondante hai riversato, o Dio,
la tua esausta eredità tu hai consolidato
11 e in essa ha abitato il tuo popolo,
in quella che, nella tua bontà,
hai reso sicura per il povero, o Dio.
Salmo 68: canto dell’esodo. Le immagini
Dio domina la prima scena nella figura di Colui che cavalca le nubi, antico epiteto di Baal smitizzato e assunto ad esprimere la trascendenza divina (secondo i rabbini, le nubi rappresente-rebbero il settimo cielo, dimora finale dei giusti).
Al tempo stesso, questo Dio tremendo è il padre degli orfani e il difensore delle vedove (il Go’el dei poveri), colui che dà una casa al suo popolo esiliato e solo i ribelli abbandona nel deserto (Corah, Datan, Abiram: cfr. Numeri 16).
Il deserto è lo scenario della vittoria di Dio per il suo popolo, della cura assidua di Dio per lui (vv. 8-10). La pioggia che è tempesta per i nemici è grazia ristoratrice per il suo popolo: ormai si apre alla vista la terra promessa, designata con una curiosa arcaica denominazione, chajjatka = il tuo vivente, la tua bestia. LXX e Peshitta rendono questo termine al plurale (si è pensato ad una metonimia: le greggi ad indicare la terra di cui fanno parte), come anche la Volgata “in animalia tua” (secondo S. Agostino designa l’uomo). La soluzione è da trovarsi piuttosto nell’equivalente ugaritico chwt che significa proprio “terra”.