Dopo il salmo 50 attribuito ad Asaf, e fino al salmo 70 cui il redattore aggiunge anche i salmi 71-72, si dispiega una piccola collezione elohistica di Davide (51-70). Vi prevalgono le preghiere individuali.
Salmo 51 (“Miserere”): contesto storico
Il Salmo 51 fa parte di quelli che la tradizione cristiana chiama i sette salmi penitenziali: 6 – 32 – 38 – 51 – 102 – 130 – 143.
È uno dei più celebri e dei più usati di tutto il Salterio, tanto che il suo inizio è divenuto sinonimo di peccato – pentimento – perdono, di cui è l’espressione universale (cfr. i riferimenti a questo salmo che si trovano nell’arte). È una confessione individuale di peccato e preghiera per il perdono, in cui si nota l’assenza di nemici. L’unico vero nemico dell’uomo è il suo peccato.
Epoca dell’esilio
Qualcuno sostiene che fosse un salmo di penitenza regale per una calamità pubblica, recitato dal re a nome di tutto il popolo, ma il tono intimistico lo smentisce: il finale potrebbe essere un’aggiunta post-esilica. Il salmo si pone infatti sulla linea dei profeti esilici, soprattutto Ezechiele, per i seguenti temi:
- Il dono dello Spirito,
- Il cuore nuovo,
- L’acqua che purifica,
- L’inutilità di un culto che resti unito al peccato,
- La restaurazione futura del culto nella nuova Gerusalemme.
Il titolo lo riferisce invece al pentimento di Davide dopo il peccato per e con Betsabea:
“Quando venne da lui il profeta Natan
perché egli era venuto con Betsabea“.
Il verbo che indica l’azione del profeta e di Davide è lo stesso verbo “venire” (bo’), nel primo caso (infinito costrutto) in senso proprio, nel secondo (perfetto) in senso eufemistico, e marca fortemente il principio dell’immediata retribuzione (contrappasso): all’andare peccaminoso di Davide corrisponde l’andare della Parola di Dio che lo interroga e lo scruta per giudicarlo ma anche per salvarlo.
È commovente l’applicazione di questo salmo proprio a questo episodio cosi umano e così esemplare. Tuttavia, il clima del salmo suppone il tono della predicazione profetica a partire dall’ottavo secolo e addirittura, meglio, del profetismo esilico. Ne ricordo alcuni brani:
“Porrò la mia legge nel loro animo,
la scriverò sul loro cuore” (Ger 31,33)
(qualche critico ha ipotizzato che il salmista fosse un discepolo di Geremia).
“Vi darò un cuore nuovo,
metterò dentro di voi uno spirito nuovo…
Porrò il mio spirito dentro di voi
e vi farò vivere secondo i miei statuti” (Ez 36,26 s.).
Lo sfondo esilico è confermato dall’uso del verbo bara’ / creare, specifico del VI secolo a.C. per indicare l’azione divina (cfr. il Deutero-Isaia e la tradizione P, Genesi 1). Altri critici pensano ad una liturgia penitenziale pubblica all’epoca di Giosia, con l’appunto che i vv. 20-21 sarebbero il segno di un uso post-esilico del salmo. Poiché in questi versetti si profila la speranza della ricostruzione della città santa e del tempio, il salmo non può essere datato dopo tale ricostruzione avvenuta sotto Neemia nel 444 a.C. (terminus ad quem). La tesi davidica non appare perciò plausibile, mentre è probabile la datazione al VI secolo a.C.