Il salmo 32 è un rendimento di grazie individuale, sullo sfondo, però, dell’assemblea (v. 6). È un piccolo sermone sulla penitenza ricavato dall’esperienza comunitaria: occorre confessare il peccato per ristabilire la comunione con Dio. Non si fa nessun accenno, invece, al sacrificio rituale.
L’esperienza del peccato e del perdono
La liturgia cristiana fin dal VI secolo lo ha collocato nella lista deisalmi penitenziali(sono i salmi 6; 32; 38; 51; 102; 130; 143), tuttavia il tono è fondamentalmente quello del ringraziamento per la liberazione, ormai avvenuta, dal peccato, visto come il più profondo e insidioso dei nemici dell’uomo. Il salmista ha fattoun’esperienza personale di peccato e di perdono, ed ora leva la sua voce nel ringraziamento e nell’esortazione(parenesi sapienziale).
L’esperienza del peccato è espressa con immagini che richiamano la solitudine, una inondazione, un animale recalcitrante, la consunzione per l’arsura estiva, il lamento. Questo stato dell’uomo è spezzato dalla decisione della conversione, dellaconfessione del peccato.
Il fedele sperimenta, allora, che la sicurezza dell’uomo sta nel volgersi a Dio: ed ecco le immagini positive dellagioia del perdono.
vv. 1-2 Felicitazioni
«Beato colui al quale è stato perdonato l’errore,
è stato coperto il peccato.
Beato l’uomo a cui il Signore non imputa la colpa
e inganno non c’è nel suo spirito».
Il salmo inizia con una formula di beatitudine tipica della letteratura sapienziale: felicità è sapersi perdonati da Dio.
È significativa la terminologia del peccato (amartiologica) che qui troviamo:
Terminologia del peccato
- Pesa‛ = colpa è ribellarsi a Dio rifiutando di dipendere da Lui. Il peccato p una ribellione.
- Chata’ah = peccato, fallimento è mancare il bersaglio, una deviazione, un calcolo sbagliato che non serve i veri interessi dell’uomo. Il peccato è un fallimento del bersaglio.
- ’Awôn = delitto (torcere, curvare) è una stortura, il peso della colpa non ancora espiata con la pena. Il peccato è una stortura.
- Remjjah = inganno è la simulazione del peccatore impenitente che si maschera davanti agli altri e inganna la propria coscienza.
Verbi del perdono
- Nasa’ = togliere, levare
ü Kasah = coprire, come il sangue coperto dalla terra (invece di kapar, utilizzabile con lo stesso significato)
- Chashab = imputare (non) nella lista delle opere umane.
Poiché kasah e kapar significano coprire, Lutero, sulla base di Rom 4,8 che cita Sal 32,1, sostiene che la giustificazione è solo una finzione giuridica che dichiara assolto l’uomo ma non lo risana realmente (“copre” il suo peccato), mentre il concilio di Trento la considera “non sola peccatorum remissio, sed et sanctificatio et renovatio interioris hominis” (non sola remissione dei peccati, ma anche santificazione e rinnovamento interiore dell’uomo).
In realtà, l’espressione ebraica indica una vera cancellazione del peccato (Lev 4,26; 5,6.10; 9,7; 10,17; cfr. Is 1,18; Sal 51,9) e non una sola “copertura” estrinseca che lo nasconde. Il significato di kapar come espiazione del peccato ha a che vedere con Kappōret (“copertura”), la lastra d’oro che ricopriva l’arca e che nel giorno del Kippur (questo termine ha la stessa radice KPR) veniva aspersa col sangue delle vittime: da questo rito, unitamente al pentimento, procedeva il perdono dei peccati del popolo di Israele.
Il verbo kapar significa dunque «coprire» nel senso letterale, ma in senso figurato «coprire i peccati» equivale a far riparazione, pacificare, espiare, propiziare.
Questa dichiarazione di beatitudine è legata non ad una «giustizia» propria dell’uomo ma alla sincerità con cui si accosta a Dio. Allora, l’uomo convertito e perdonato si fa maestro di sapienza (vv. 8-10): il suo caso personale diviene modello esemplare.
vv. 3-5 Sofferenza e salvezza (racconto della confessione)
«Poiché ho taciuto,
s’erano consunte le mie ossa
per il mio ruggire durante il giorno;
poiché giorno e notte la tua mano pesava su di me;
svanito era il mio vigore come da arsura estiva.
Ti feci conoscere il mio peccato,
non più nascosi la mia colpa dicendolo:
“Riconosco, Signore, i miei errori”,
e tu perdonasti il mio peccato».
Troviamo qui il contrasto fra «rimasi in silenzio» (v.3) e «ho detto» (v. 5). Il silenzio dell’orante richiama quello di Adamo che ha rotto il rapporto con Dio, cerca di nascondersi davanti a Lui: è il rifiuto della grazia. Nel silenzio la sofferenza è sentita come giudizio di Dio. La confessione invece solleva dal peso della colpa e ristabilisce le relazioni con Dio e la comunità (v.5).
vv. 6-7 Esortazione
«Perciò ogni devoto a te si rivolgerà in preghiera
quando la sventura lo colpisce.
Anche se irromperanno acque possenti,
a lui non giungeranno.
Tu sei per me un rifugio,
nella sventura tu mi proteggi,
con grida di salvezza tu mi circondi».
L’orante invita il fedele alla preghiera nei momenti liturgici in cui Dio si lascia incontrare: le grandi acque non lo sommergeranno.
vv. 8-10 Istruzione
«Ti voglio istruire, voglio mostrarti la via da percorrere,
su di te fissando il mio occhio.
Non essere come il cavallo o il mulo, senza intelletto,
con morso e briglia si può frenare il suo impeto,
diversamente non ti si accosta.
Molte sono le calamità per l’empio
ma chi confida nel Signore, di misericordia egli lo circonda».
Istruire (SaKaL), insegnare (JaRaH), consigliare (Ja‘az) sono i verbi caratteristici della Sapienza: essere uomo significa seguire la via indicata dai saggi, fuori di essa l’uomo è come un animale recalcitrante che si guida con morso e briglie.
Il fedele è invitato a non aspettare il morso: l’amore circonda chi confida nel Signore. Perciò…
v. 11 Invito alla lode
«Gioite nel Signore ed esultate, o giusti,
giubilate voi tutti, retti di cuore».