Lettura continua della Bibbia. Salmo 22

Salmo 22

Il salmo 22 è uno dei salmi più conosciuti e più usati nella liturgia, a motivo della sua applicazione a Gesù Crocifisso nel Vangelo di Marco, seguito anche da Matteo. Gesù, infatti, prima di spirare sulla croce grida in lingua paterna: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Questo grido, che non ci si aspetterebbe da un Uomo che è Figlio di Dio nel senso più proprio, ha scatenato una ridda di interpretazioni.

Salmo 22. II primo versetto

Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?”

Il primo versetto del salmo 22 è gridato da Gesù sulla croce secondo Mt 27,46 e Mc 15,34. Il cristianesimo ha applicato questo salmo alla passione del Cristo; per il midrash è invece la supplica di Ester prima di presentarsi ad Assuero mettendo a rischio la propria vita, per i rabbini medievali (Rashi) è la preghiera del popolo di Israele sofferente. Nessuna interpretazione ebraica lo considera un testo messianico, neppure al tempo di Gesù.

L’articolazione e il contenuto del salmo

I vv. 1-22 costituiscono una lunga lamentazione (qinah) terminante con la certezza di esaudimento; la seconda sezione (vv. 23-27) costituisce una preghiera di ringraziamento (todah) alternata fra orante solista e canto corale. Probabilmente il ringraziamento non segue cronologicamente l’ottenimento materiale della salvezza, ma lo previene, nella fiducia incrollabile che il giusto sofferente pone nel suo Dio. La terza sezione (vv. 28-32) sembra un’aggiunta o rilettura tardiva in chiave escatologico – messianica.

L’esperienza di dolore

Il contesto originario della preghiera è quello di un’intensa esperien­za di dolore, l’esperienza dell’abbandono di Dio. Il giudaismo ha idealizzato la figura del giusto sofferente, facendone il modello dei poveri del Signore che si abbandonano a Lui. Il Nuovo Testamento l’ha riletto come prefigurazione della passione di Gesù, gli esegeti patristici e medievali l’hanno considerato una descrizione storica anticipata della passione del Cristo.

L’analisi letteraria rileva nel cuore del salmo il tema della lontanan­za,

  • emergente all’inizio (“Dio mio… perché mi hai abbandonato? lontano dalla mia salvezza sono le parole del mio lamento”),
  • al centro (v. 12:non stare lontano da me, perché l’angustia è vicina e non vi è chi aiuti”),
  • e alla fine (v. 20: “Ma tu, JHWH, non stare lontano”).

All’angoscia della lontananza (in chiave spaziale) si associa l’ango­scia in chiave temporale, la continuità del lamento giorno e notte (v. 3).

Al centro del lamento si snoda un chiasmo di simboli rappresentanti i patimenti dell’orante:

tori (v. 13)      leoni (v. 14)    cani (v. 17)        malvagi (v. 17)

spada (V. 21)     cane (v.21)     leone (v. 22)        bufali (v. 22)

La simbologia zoomorfa – venatoria – bellica è frequente nei  salmi; al centro di essa, nel salmo 22, troviamo anche una simbologia somatica (dissolvimento del corpo, arsura delle fauci). Da notare il chiasmo perfetto: nella prima parte si procede per immagini dai tori ai leoni ai cani alle persone malvage, nella seconda si torna indietro dalle persone che impugnano la spada al cane al leone ai bufali.

Il ringraziamento (vv. 23-27) adotta poi il lessico  tradizionale di questo genere letterario, su uno sfondo liturgico – ecclesiale (la comunità degli eletti), con sacrificio di comunione cui sono invitati i poveri del Signore (v. 27).

In  questa  folla  anonima  (chiamata  “fratelli”,  “assemblea”,  “chi teme il Signore”, “stirpe di Giacobbe”, “poveri =  ‘anawìm”,  “quelli che cercano il Signore”) si confonde il salmista, la cui voce diviene corale. Lo stesso tono corale rimane nell’aggiunta costituita dai vv.  28-32,  in cui supera,  anzi,  i normali confini dell’assemblea dei giusti di Israele,  perché alla lode dei viventi si associano (per l’unica volta in tutto l’Antico Testamento) “quelli che discendo­no nella polvere”  (dimensione cosmica della lode e della regalità universale del Signore).

Prima parte. La qînah

Padre Costantino Ruggeri ofm, Vetrata n. 6 della chiesa del Cotone, Piombino

In questa prima parte del salmo si trovano due lamenti (vv. 7-9 + 13-19) alternati con due suppliche (vv. 10-12 + 20-22 a).

1° lamento (7-9): vi compaiono le immagini del verme e del lebbroso, in un contesto di dolore e di obbrobrio.

2° lamento (13-19): la fonte di sofferenza è rappresentata dagli altri, i nemici, con simbologia teriomorfa e venatoria.

1a supplica (10-12): forma inclusione con l’invocazione Elî (Elî ’attah) ed ha un tono di fiducia.

2a supplica (20-22 a): tornano le immagini teriomorfe.

1° quadro: lontananza di Dio (1-12)

II grido  iniziale  esprime  il  tono tragico della prima parte del salmo, la qinah:

Dio mio. Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.

L’appello è un semplice grido di derelizione. Il ripetuto riferimento alla prima persona,mio, me, si contrappone drammaticamente ai verbi del silenzio di Dio:abbandonare, essere lontano, non rispondere. Questo abbandono è totale, eppure Dio è ancora il suo Dio ed è legato alle lodi del popolo e dei padri (v. 3). Il contesto è certamente quello di una desolazione immensa, e gli evangelisti non avrebbero potuto applicare questo grido a Gesù, che essi già confessavano come  Signore Risorto, se non vi fosse stata una base storica precisa, cosi come per la descri­zione dello sconforto di Gesù nel Getsemani.

È questa una “pagina” scomoda che Luca ha infatti rimosso, a beneficio dei suoi lettori cristiano-pagani che non avrebbero compreso il profondo retroterra veterotestamentario di questo grido, ponendo invece sulle labbra di Gesù la citazione di un altro salmo universalmente comprensibile:

“Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”.

È indubbio che qui Gesù assume e patisce l’atrocità del dolore umano con la tentazione di considerarlo segno dell’abbandono di Dio: il peso di tutta la creaturalità dell’uomo (è questo l’unico passo in cui Gesù chiama non Padre ma Dio il suo Padre celeste). Il gioco di parole sul nome di Elija / Eloì nel  contesto del salmo 22 non sarebbe però stato possibile per spettatori ironici, sì, ma adusi alle letture e preghiere scritturali.

Alcuni studiosi (SAHLIN, 1952; BOMAN, 1963) hanno recentemente proposto una interpretazione  secondo  cui  le  parole  iniziali  del versetto ’Elî ’attah = Dio mio tu! sarebbero state confuse con le omofone parole aramaiche ’Elija ta’ = Elia vieni! (l’Elia redivivo, nella tradizione popolare giudaica, oltre che precursore del Messia, doveva essere il consolatorc dei sofferenti e dei moribondi).

L’invocazione Elî ’attah si trova 6 volte nei salmi, tre dei quali vengono riferiti dagli evangelisti al Cristo sulla croce:

ricorre in 22,2 citato da Matteo e Marco

in 31,15 da Luca 23,46 che cita Sal 31,6

e in 69,21 citato da Gv 19,28.

Fantasiose  teorie  sono  state  proposte per spiegare  il grido di Gesù. Ravasi (I Salmi vol. I, p. 411) ne cita due: quella di J. CHURCHWARD secondo cui  la frase  deriverebbe dalla lingua del  continente Mu (sprofondato nel Pacifico 10.000 anni a.C.), conservata nell’antico Maya, e quella di J. ALLEGRO, secondo cui il cristianesimo sarebbe stato una setta dedita al culto del fungo Amanita Muscaria, e la frase di Gesù celerebbe il  nome sacro  Limash—bag-anta (II fungo e la croce, Roma 1980, p. 187).

I gesti di scherno del nemico (farsi beffe, storcere le labbra, scuo­tere il capo), e le frasi ironiche che pronuncia (“si è affidato”, “si è compiaciuto nel Signore, lo liberi Lui”) riaffiorano fra gli astanti alla morte di Cristo (Mt 27,39-43), dopo essere stati ripresi da Sap 2,18-20.

2° quadro: belve e sfacelo fisico (13-22)

Salmo 22
La supplica del salmo 22. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7660614

I tori di Bashan (regione ricca di pascoli), il leone, i cani famelici (animali  immondi  per gli  ebrei: “cani” e “cagne” erano chiamati i prostituiti sacri dei culti cananei) sono chiari  simboli della minaccia di morte.

Anche l’acqua, lo scioglimento delle ossa e del cuore è raffigurazione della morte imminente, così come il simbolo opposto della polverizza­zione delle membra e dell’arsura della gola e della lingua. Anche questo elemento del salmo si ritrova nei racconti della passione, quando  “uno  dei  presenti  corse  ad inzuppare di aceto una spugna e, postala su di una canna, gli dava da bere” (Mc 15,36).

Più oscura nel suo significato preciso è 1’immagine “le mie mani e i miei piedi sono legati” (v. 17), perché  il vocabolo Ke’rô è incomprensibile. Eccone le traduzioni ufficiali:

VersioneTraduzione
LXX (greca)
Salterio luxta Hebraeos
Testo Masoretico
Peshitta (siriaca)
Volgata
Congetture di critici moderni
“scavarono” (Kaarû), da cui “foderunt” nel Sal. Gallicano
“vixerunt” = legarono 
“come un leone”
“hanno lacerato”
“hanno trafitto”
“legarono”, “come per lacerare”, “fecero a pezzi”, “rattrappirono”

L’immagine dei legami sarebbe più conforme alla simbologia venatoria; certo è che questo versetto non è stato ripreso dagli evangelisti che avrebbero potuto leggervi la prefigurazione della crocifissione (sia nel caso della trafittura che nel caso della frattura).

Nel v. 18 continua la simbologia fisiologica con lo scheletrimento di un corpo in cui sono visibili ormai le ossa (TM: “posso contare”; LXX, Peshitta e Volgata: “hanno contato”).

La prassi giudiziaria della spartizione dei beni del defunto, poi, è di nuovo evocazione di morte imminente (v. 19). Vigeva anche per i condannati a morte nel diritto romano: cfr. Mt 27,35 e il più completo Gv 19,23 s.

Anche l’immagine bellica della spada (v. 21) può avere una sfumatura giudiziaria  di  sopraffazione  da  parte  dell’autorità.  Ritornano infineil cane,  il leone ed i bufali, indicati, questi ultimi, con il vocabolo che designa il mitico Re’em, forse l’unicorno (Rimu in assiro, il bufalo selvatico).

Questi nemici minacciano lanefesh= l’essere vivente dell’orante, detto anche la cosa unica (jechidati, la mia unica) =  la vita (chiamata, nella letteratura babilonese, mio tesoro). Nei LXX è letta come ‘anijjati = la mia povera.

Parte seconda. La todah

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

L’orante entra già nella zona di luce, la certezza dell’esaudimento, insieme all’assemblea liturgica (qahal). Appare per la prima volta nel salterio il verbohalal = lodare, che ha dato il titolo al salterio stesso,Tehillìm= lodi: “ti loderò in mezzo all’assemblea”. Il motivo della  lode è formulato al v.  25:  Dio si schiera con il povero (anì) e lo salva dall’oppressore. Questo termine non esprime uno stato sociale né un gruppo politico o religioso, ma un atteggia­mento  interiore di rettitudine,  fedeltà e abbandono fiducioso che comporta anche l’isolamento in una classe  sociale perseguitata dai potenti.  Lo scioglimento del voto del povero diviene catechesi per la comunità d’Israele.

Parte terza. Inno a JHWH re universale

La maggior parte degli esegeti ritiene questa sezione un’aggiunta tardiva,  per  il  carattere universalistico  ed escatologico  tipico del post-esilio.

L’estensione esplicita della regalità del Signore allo sheol e l’adora­zione da parte dei defunti è unica nell’Antico Testamento (v. 30).