
Salmo 18, salmo regale, salmo davidico. Ne possediamo due recensioni, una delle quali si trova come cantico di Davide in 2 Sam 22, riferito alla circostanza storica della sua vittoria sui nemici. Solo i vv. 9.10.17.22 sono totalmente identici in entrambe, ma le varianti sono in realtà di grafia o di grammatica elementare: 2 Sam 22 conserva le lezioni più arcaiche ed è probabilmente dell’epoca davidica, mentre nel salmo 18 si trovano degli aramaismi.
L’attribuzione davidica non è contraddetta da alcun elemento interno, anche se il salmo può aver subito varie attualizzazioni nelle varie epoche: al tempo di Ezechia, al tempo di Giosia, dopo l’esilio, in epoca maccabaica.
Il contesto generale del salmo è quello delle odi regali di vittoria: da una situazione di oppressione si passa ad una trionfale vittoria, di cui è artefice non tanto il re quanto il Signore.
Salmo 18: la simbologia
La simbologia dominante è quella della rupe (zur), immagine che riflette l’orizzonte montuoso della Palestina. “Rupe” era un appellativo arcaico di JHWH, modellato sull’equivalente vocabolo ugaritico riferito a Baal, poi scomparso a causa della sua eccessiva concretezza, ma ripreso anche nel Nuovo Testamento in riferimento a Cristo («pietra scartata dai costruttori e divenuta testata d’angolo»: Mt 21,42; roccia su cui costruire la casa: Mt 7,24-27) ed a Pietro (Mt 16,18). Termini di questo genere sono roccia, roccaforte, baluardo, simboli della fedeltà biblica, lo ’emeth di Dio cui corrisponde lo ’amen dell’uomo.
Simboli militari sono lo scudo, l’arco, l’assalto delle mura, 1’inseguimento dei nemici e il giogo loro imposto.
Ma importantissimi sono anche i simboli cosmici che si concentrano nella teofania dei vv. 5-16: il terremoto, un apparato di elementi vulcanici, le nubi temporalesche, la bufera, il maremoto ed una simbologia acquatica minacciosa (Belial è un demone distruttore, forse dal verbo cananeo bala‛ = divorare; per altri significherebbe «senza utilità»).
Anche l’antropomorfismo è presente nell’immagine delle nari divine (’af è voce onomatopeica che evoca lo sbuffare), nella bocca emanante fuoco e nell’atto divino di cavalcare (RaKaB) i cherubini (Kerub, con evidente gioco di parole).
a) Apertura dell’inno (vv. 2-4)
L’inizio suona letteralmente «Ti amo, JHWH, mia forza», con l’uso del verbo dell’amore viscerale RAHAM: è questo l’unico caso in cui tale verbo è costruito con JHWH come oggetto e non come soggetto, perché primario è sempre nella Bibbia l’amore di Dio verso la creatura. Per questo, e per la sua intensità considerata eccessiva in un salmo così arcaico, molti critici preferiscono leggere «ti esalto» (‘arômmeka), con scarsa fondatezza.
Da qui si snoda una serie di attributi litanici: Dio è chiamato
* forza (chezeq)
* roccia (sela‛)
* cima inaccessibile (mezudah: questo vocabolo è divenuto celebre con Mazada, ultima roccaforte della resistenza giudaica, caduta nel 73 d.C.)
* liberatore (palat)
* rupe (zur)
* scudo (magen)
* corno (qeren: le divinità mesopotamiche erano spesso ornate con tiare fornite da 2 a 8 corna, segno di potenza taurina anche in Egitto e Grecia)
* fortezza (misgab).
b) Lamentazione (vv. 5-7)
Tornano le immagini fondamentali dello sheol (i flutti di morte e i lacci dell’ade) e i vocaboli del grido, dell’invocazione, della voce e dell’ascolto.
c) La teofania (vv. 8-16)
II soccorso del Signore giunge in una teofania che esprime il tremendum di Dio, mediante elementi ignei, tellurici e atmosferici (terremoto, fuoco vulcanico, tempesta), immagini usate frequentemente nella Bibbia. I cherubini erano geni alati tutelari delle aree sacre mesopotamiche (cfr. i karibê accadici). Tutti questi sono segnali di trascendenza.
Seguono:
d) La liberazione (vv. 17-20)
e) La confessione di innocenza (vv. 21-28)
f) Todah marziale (vv. 29-51)