
I salmi 1 e 2 fungono da introduzione generale all’intero Salterio, quasi un portale di accesso che già ci dice che cosa troveremo all’interno. Non è un caso, infatti, che si tratti di un salmo sapienziale e di un salmo regale: il primo dà un indirizzo di vita per l’esistenza personale dell’orante, il secondo indica una linea portante della storia per la redenzione della comunità di Israele.
Che esista una certa unità letteraria e di pensiero fra questi due salmi, così come sono disposti nel Salterio, è dimostrato dal procedimento letterario dell’inclusione: il salmo 1 inizia con una beatitudine, il salmo 2 si conclude con un’altra beatitudine. Come a dire: attenzione a quello che qui leggete…
Salmo 1
La prima composizione che costituisce il portale di accesso al mondo dei Salmi presenta, a sua volta, una particolarità letteraria.
La prima parola del salmo 1 inizia con la prima lettera dell’alfabeto ebraico (alef). L’ultima parola del salmo inizia con l’ultima lettera dell’alfabeto (tau). Non c’è dubbio che il salmista, racchiudendo la sua composizione tra – diremmo noi – la A e la Zeta, voglia esprimere nel salmo quello che si potrebbe chiamare l’alfabeto della vita, il codice di interpretazione dell’esistenza umana.
Il testo è di carattere sapienziale, improntato ad una profonda meditazione sul significato della vita e su due modi possibili di viverla. È cioè basato su di un parallelismo antitetico, due immagini divergenti e contrapposte: la beatitudine dell’uomo che confida nel Signore, la sorte fallimentare dell’empio.
Il Salmo mette davanti al lettore le due «vie»: in ebraico derek, «via», ha anche il significato di modo di condurre la «vita». La simbologia è di tipo vegetale. Nell’ambiente palestinese desertico quale segno rappresenta la vita piena meglio di un albero rigoglioso e ricco di frutti? Ma se così è, in un clima arido in cui le piogge sono scarsissime, è possibile solo perché l’albero affonda le sue radici lungo un fiume di acqua viva. Similmente Geremia scrive:
«Benedetto l’uomo che confida nel Signore
e il Signore è la sua fiducia.
Egli è come un albero piantato lungo l’acqua,
verso la corrente stende le sue radici;
non teme quando incombe il caldo,
le sue foglie rimangono verdi;
nell’anno della siccità non intristisce,
non cessa di produrre frutti» (Ger 17,7-8).
La fecondità dell’uomo scaturisce dal radicarsi nella legge del Signore, intendendo con questa espressione non solo la Torah ma l’intera rivelazione di Dio. È nella meditazione fedele della Parola del Signore che il giusto trova la gioia e la vita.
Alla floridezza dell’albero si contrappone l’inconsistenza della pula, lo scarto del grano buono solo ad essere portato via dal vento (v. 4). L’immagine tornerà nelle parole del Battista riguardo al Messia: «Egli ha in mano il ventilabro per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile» (Lc 3, 17).
Questa prima parte del «portale d’ingresso» al Salterio ci dice quale è il segreto della felicità della persona: la scelta coerente e consapevole del bene percorrendo la via della vita.
Salmo 2

Il salmo 2 appartiene invece al genere letterario dei salmi regali.
Salmi regali
I Salmi regali o messianici sono una decina circa (2; 18; 20; 21; 45; 72; 89; 101; 110; 132; 144) e sono accomunati non da uno stile particolare ma solo dall’argomento:
- Sal 18 è un inno di ringraziamento del re,
- Sal. 21 è un inno di ringraziamento del popolo per il re,
- 20 e 72 sono suppliche nazionali per il re,
- Sal. 144 è una supplica fatta dal re;
- 45; 89a; 132 sono inni;
- 89b è una lamentazione;
- 101 è un salmo sapienziale.
Anche l’attribuzione è varia: Sal 2 è senza titolo, il salmo 45 è dei figli di Core, il 72 di Salomone, 89 di Etan; 132 è un canto di pellegrinaggio, gli altri sei sono attribuiti a Davide.
Non formano una raccolta continua ma sono sparsi in tutto il Salterio dall’inizio (Sal 2) alla fine (Sal 144).
Alcuni di questi salmi sono posti in posizione chiave, come punti di sutura nel Salterio (B.S. Childs e G.H. Wilson li chiamano Seam Psalms, Salmi di cucitura).
Questo è ovvio per Sal 2 che introduce al Salterio e Sal 144 che è l’ultima supplica prima della dossologia finale. Ma anche Sal 72 segna la fine del II libro dei Salmi cioè delle suppliche davidiche, e Sal 89 chiude il III libro caratterizzato dal lamento per l’interruzione del regno di Davide. Sal 45 è quasi all’inizio del V libro (107-150) e Sal 132 alla conclusione dei salmi graduali (120-134). I Salmi 18, 20 e 21 sono al centro del Primo libro che è quello davidico per eccellenza.
Sal 2 (I) Sal 45 (II) Sal 72 (III) Sal 89 (IV) Sal 110 (V) Sal 144
Sal 2 e Sal 110 sono salmi di intronizzazione e contengono un oracolo di investitura regale (choq = decreto in Sal 2, ne’um = oracolo in Sal 110).
Il Salmo 2
Insieme al salmo 110, il salmo 2 è il salmo messianico per eccellenza. Secondo 1’interpretazione più attendibile, condivisa dalla maggior parte dei critici, il linguaggio arcaico suggerisce una datazione molto antica, verso il X secolo a.C. (per alcuni sarebbe di derivazione cananea), o comunque pre-esilica, mentre per altri sarebbe da posticipare addirittura al periodo maccabaico (intronizzazione di Alessandro Janneo, + 76 a.C.).
Certamente si tratta di un rituale di intronizzazione, collocato in un clima politico di attesa, minato dai tentativi di ribellione di vassalli e nemici: precisarne ulteriormente la data è impossibile. Le letture successive del salmo l’hanno ulteriormente destoricizzato, facendone un testo messianico – escatologico: il re storico diviene il messia, il suo regno un regno cosmico, l’assalto dei popoli un evento apocalittico (questo tipo di lettura si trova già negli apocrifi Salmi di Salomone 17,23-27). At 13,33 applica questo salmo alla resurrezione di Gesù, chiamandolo, secondo alcuni manoscritti, “Salmo primo”.
In esso JHWH pronuncia il suo decreto:
“Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato“.
Nel protocollo di intronizzazione di Tutmosi III (+1450 a.C.), il dio Amon-Ra dice:
“Io sono tuo padre,
come dio ti ho generato,
per essere sul mio trono re dell’alto e basso Egitto”.
Simili dichiarazioni si trovano in testi cananei e ugaritici, sumerici e babilonesi. Il concetto di filiazione divina viene però in Israele completamente demitizzato e assunto in senso adozionistico: il sovrano non è divino, come presso gli altri popoli per cui rappresentava l’incarnazione di un dio, ma è chiamato figlio di Dio solo perché svolge una funzione di governo per conto di Dio, e per questo Dio gli promette la vittoria. Eb 1,2 ss. invece intenderà questa filiazione divina in senso ontologico, dichiarando Gesù figlio di Dio, di tanto superiore agli angeli, in quanto solo a lui Dio dice:
“tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato“.
Sensus plenior
Questa diversità di lettura si spiega con il progresso della Rivelazione. Ogni testo biblico ha un senso letterale, quello inteso originariamente dall’autore. Ad esempio, in Is 7,14 il profeta aveva annunciato: Ecco, la giovane concepirà e partorirà un figlio… riferendosi alla nascita, avvenuta l’anno seguente, di un principe nella casa di Davide, il principe Ezechia, re giusto che sarà salvatore del suo popolo. Ma la traduzione dei LXX, con una intuizione, rende la parola alma‘ (che significa semplicemente giovane donna) con parthénos, che significa vergine. Matteo applica questa profezia alla concezione verginale di Gesù: “E questo avvenne affinché si adempisse la parola del profeta…”.
Cioè, al primo significato, quello letterale riferito al tempo storico del profeta (primo stadio), segue la comprensione di un sensus plenior, un senso più pieno, di portata maggiore e più profonda (secondo stadio), che si poteva comprendere solo con l’avvento di Cristo. In questa interpretazione cristologica, le parole delle antiche Scritture sono come un’ombra di una realtà ancora a venire: quando l’evento accade, i lettori possono capire: ecco che cos’era!
Possiamo trovare un’immagine di questo processo di comprensione nel mito platonico della caverna. Degli uomini incatenati nel buio di una caverna non possono vedere, del mondo esterno, se non le ombre, e credono che quelle ombre siano la realtà. Ma se uno di essi fosse liberato e uscisse dalla caverna, dopo un periodo di abbacinamento dovuto alla luce accecante del sole cui non è abituato si accorgerebbe che quelli che credeva oggetti reali erano solo ombre, e potrebbe finalmente capire quali oggetti reali proiettassero le ombre che aveva in precedenza conosciuto.
Facendo esperienza dell’evento di Cristo, i credenti si rendono conto della portata reale (sensus plenior) delle parole delle antiche Scritture. Così, la filiazione divina, che nel significato originario del salmo 2 è solo una metafora (primo stadio), nell’evento del Cristo si scopre invece nella sua realtà teologica: Cristo è davvero Figlio di Dio (secondo stadio di lettura). Talvolta gli stadi sono tre, perché è presente anche un terzo stadio, escatologico, ancora da adempiere. È proprio il caso di questo salmo, le cui parole di regalità «Li spezzerai con verga di ferro, come vaso di argilla li frantumerai» (v. 9) sono applicate in Apocalisse non solo alla regalità del Cristo (19,15) ma anche al fedele (2,27): una realtà ancora a venire.
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