
«Saliamo al monte del Signore!». È l’invito che i popoli del mondo si fanno nella visione di pace di Michea.
Mentre tutti i commentatori sono d’accordo nell’attribuire al Michea storico il grosso dei cap. 1-3 e 6-7, la maggioranza dei critici moderni preferisce riconoscere per i cap. 4-5 un’origine post-esilica dovuta agli “editori” del libro di Michea, a causa dei caratteri stilistici e contenutistici. Secondo pochi critici recenti l’autore sarebbe Michea; secondo altri, autori ne sarebbero anonimi discepoli anteriori all’esilio; per la maggior parte si tratta di un’aggiunta post-esilica, omogenea o frammentaria che sia. Comunque sia, il tema generale è quello della restaurazione nella pace.
Michea 4,1-5
4,1 Alla fine dei giorni avverrà:
il monte della casa del Signore starà solido
sulla cima dei monti,
alto più delle colline.
Affluiranno verso di lui i popoli,
2 numerose nazioni si incammineranno e diranno:
«Venite, saliamo al monte del Signore,
alla casa del Dio di Giacobbe,
che ci insegni le sue vie
e noi camminiamo nei suoi sentieri».
Perché da Sion viene la legge
e la parola del Signore da Gerusalemme!
3 Egli governerà numerosi popoli
e sarà arbitro di potenti nazioni.
Essi trasformeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci;
un popolo non leverà più la spada contro un altro,
né ci si eserciterà più alla guerra.
4 Ciascuno starà seduto sotto la sua vite
e sotto il suo fico, senza esser molestato!
Sì! La bocca del Signore ha parlato!
5 Sì! Tutti i popoli marciano,
ciascuno nel nome del suo dio;
noi marciamo nel nome del Signore, nostro Dio
in eterno e sempre!
Alla fine dei giorni
Questa pericope si ritrova, con alcune differenze, in Isaia 2,1-4, da cui probabilmente è stata inserita qui come segno di speranza dopo la profezia della distruzione di Gerusalemme di Mi 3,12. La coloritura è escatologica: la fine dei giorni indica un futuro imprecisato, che si specifica come la fine del mondo nei testi più tardivi (come in Ez 38,16: «Salirai contro il mio popolo Israele come nube che ricopre la terra; ciò sarà negli ultimi giorni. Ti condurrò nella mia terra perché le genti vedano quanto mi mostrerò santo per mezzo tuo, o Gog, al loro cospetto»; in Dan 10,14: «sono venuto per farti capire ciò che accadrà al tuo popolo nei giorni avvenire, perché è ancora una visione relativa ai giorni»).
Alla fine dei giorni, la montagna del tempio sarà stabile e solida sopra tutte le altre cime. Presso i popoli antichi, i monti erano la casa degli dei (cfr. anche l’Olimpo); l’altezza di Sion esprime anche la superiorità di JHWH sugli altri dei e sugli altri popoli.
«Saliamo al monte del Signore!»
«Saliamo al monte del Signore!». Il cammino dei popoli verso Gerusalemme sarà come l’afflusso di un fiume, il movimento continuo dei goîm (popoli pagani) tutti quanti. È, questo, un tema ricorrente nei testi escatologici.
Le nazioni stesse si invitano reciprocamente a salire alla casa del Dio di Israele non per portare doni, ma per ricevere l’insegnamento della Legge (le “vie” del Signore, come in molti scritti deuteronomistici: Dt 8,6; 10,12; 11,22; 30,16; Gios 22,5; 1 Re 2,3; 3,14; 8,58; 19,9; 26,17), la Torah, fino ad allora retaggio di Israele. Ma da Sion, da Gerusalemme la Torah si irradia adesso ad illuminare tutta l’umanità. Come una anti-torre di Babele, Sion, da cui promana la Parola di JHWH, diviene segno di unione, di comprensione, caparra della Pentecoste: non sfruttatore dei doni di Dio, ma mediatore. Come scriveva Benito Marconcini,
«Un luogo e un popolo sono solo custodi del dono di Dio, nel senso che lo tradiscono se non lo comunicano: nessuno è grande se cresce in contrapposizione e a scapito degli altri, ma se aiuta gli altri a crescere» (Il libro di Isaia (1-39), Città Nuova, Roma 1993, p. 51).
Si ha in questo testo un doppio movimento, centripeto – ascensionale dei popoli che salgono verso la Città Santa e centrifugo – discensionale di quanto da essa promana, che inserisce il rapporto JHWH – Israele nel più vasto rapporto JHWH – genti.
Dio è sovrano di tutte le genti, e finalmente i popoli stranieri non vengono più per cingere d’assedio Gerusalemme, ma per godere della sua Legge e quindi della sua pace. Il regno universale di JHWH, unico giudice e arbitro delle nazioni, è volontà di pace. La rinuncia alle armi e la loro trasformazione in strumenti agricoli è il segno esterno della collocazione di ogni fiducia in Dio.
La vite e il fico
Mi 4,4 (Ciascuno starà seduto sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza esser molestato!) aggiunge, a conferma di questa immagine di pace universale, un idilliaco squarcio di vita quotidiana che descrive concretamente la realtà sperimentale della pace come godimento del riposo sotto la propria vite e il proprio fico, come ai tempi prosperi di Salomone (1 Re 5,5: «Giuda e Israele abitarono al sicuro, ciascuno all’ombra della sua vite e del suo fico, da Dan a Bersabea, durante l’intera vita di Salomone»); la stessa espressione si trova poi in Zc 3,10 («Quel giorno, oracolo del Signore degli eserciti, vi inviterete l’un l’altro sotto la vite e sotto il fico»).
Anche il v. 5 è assente dal testo isaiano e sembra riaffermare, in un contesto di pellegrinaggio, la professione di fede jahvista quasi in contrapposizione agli altri popoli.
Il resto fedele (4,6-8)
6 In quel giorno, oracolo del Signore,
raccoglierò gli zoppicanti,
riunirò i dispersi e quelli che ho maltrattato!
7 Io farò degli zoppi un resto
e degli stanchi un popolo potente!
Il Signore regnerà su loro sulla montagna di Sion
da ora e per sempre!
8 E tu, Torre del gregge, colle della figlia di Sion,
a te ritornerà la sovranità d’un tempo,
la regalità della casa d’Israele!
Anche questa seconda pericope contiene una promessa di salvezza, simile a Mi 2,12-13:
12 Io riunirò tutto quanto Giacobbe,
raccoglierò il resto d’Israele!
Li porrò insieme come gregge nello stazzo;
come armento in mezzo al pascolo
non avranno paura di nessuno.
13 Davanti a loro avanza il capofila;
dietro a lui esse entrano ed escono;
davanti a loro avanza il loro re:
il Signore è alla loro testa! (cfr. Gv 10,4).
Da questo testo riprende l’immagine fondamentale del pastore che riunisce il gregge disperso; si sviluppa, però, in senso diverso.
L’immagine si riferisce agli esiliati, zoppicanti e dispersi, particolarmente ai deportati in Babilonia, “maltrattati” da Dio per punire Israele.
La stessa immagine diviene al v. 7 ancora più sorprendente in quanto questi zoppi e lontani vengono raccolti in un resto (She’ar) (v. il tema del resto in Am 5,15; Is 7,3; 10,20 s.; 27,5) che diverrà un popolo potente.
Il regno del Signore
L’affermazione «regnerà il Signore sul monte Sion» «da ora e per sempre» è eco della parola di Isaia (24,23: «il Signore degli eserciti regnerà sul monte Sion e su Gerusalemme e sarà glorificato davanti agli anziani di lei»; cfr. 9,6).
Il centro del regno del Signore (v. 8) tornerà ad essere Gerusalemme, qui chiamata migdal-‘eder = Torre del gregge, come raccolta e difesa del popolo, ´OPHEL BATHŞŶIÔN = Colle della figlia di Sion: l’Ofel, che era un nome ricorrente di località, è qui per eccellenza l’altura di Sion su cui sorgevano il Tempio e la casa regale, indica quindi al tempo stesso il trono di Dio e il trono di David. Le città e le nazioni venivano spesso personificate in fanciulle (figlia di Gerusalemme, figlia di Babilonia…).