
Torniamo alla dichiarazione di Benedetto XVI: rileggendo il testo ne capite il senso voluto dal papa? Sì? Mi sembra chiaro, molto chiaro (leggere il testo QUI).
Terza argomentazione: rinuncia al solo ministerium
Vediamo però che cosa ha da dirne Giorgio Farè.
«Qualora si volesse comunque considerare quale atto, giuridico, esso risulterebbe nullo per diversi motivi che procedo ad elencare.
Nel testo della dichiarazione vengono usati due termini, il termine munus che ricorre due volte e il termine ministerium che ricorre tre volte. Il termine ministerium è quello usato da papa Benedetto XVI per identificare l’oggetto della sua presunta rinuncia. Cito:
“Declaro me ministerio Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri, mihi per manus Cardinalium die 19 aprilis MMV commisso renuntiare”.
“Dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il giorno 19 aprile 2005”.
Il Canone 332 — § 2
La norma di riferimento per la rinuncia al papato è contenuta nel Codice diritto canonico promulgato nel 1983, che nel canone 332 comma 2 riguardante l’abdicazione del Papa introduce la necessità di rinunciare specialmente al munus Petrino (Si contingat ut Romanus Pontifex muneri suo renuntiet, ad validitatem requiritur ut renuntiatio libere fiat et rite manifestetur, non vero ut a quopiam acceptetur).
Questa precisazione era assente nel corrispondente canone 221 dell’edizione del Codex Juris canonici del 1917: in esso si parlava genericamente di rinuncia ma non era esplicitato a cosa dovesse rinunciare il papa affinché il suo atto fosse valido. Benedetto XVI nel momento in cui scrive e pronuncia un atto epocale di enorme rilevanza storica e giuridica, pur utilizzando la parola munus in altri luoghi della dichiarazione, quando indica esplicitamente ciò a cui dichiara di voler rinunciare usa un’altra parola: non dice munus come richiesto dal canone 332 comma 2 del codice di diritto canonico (unica norma esistente circa l’abdicazione del Papa) ma usa la parola ministerium.
Nella traduzione italiana della dichiarazione la cosa è passata inosservata perché entrambi i termini munus e ministerium sono stati indebitamente tradotti con Ministero (tornerò più avanti sulla questione delle traduzioni) ma in latino i due termini munus e ministerium hanno accezioni diverse sia nell’uso classico della lingua sia nel latino giuridico della Chiesa.
Per proseguire nella nostra dimostrazione occorre dunque considerare le fonti del diritto canonico dalle quali si può trarre il significato dei termini munus e ministerium riferiti al sommo pontefice.
Munus e ministerium
L’uso tecnico dei due termini nel contesto del diritto canonico più recente può essere così spiegato: munus si riferisce all’ufficio, alla dignità e alla responsabilità spirituale del Papa come successore di Pietro e capo della Chiesa universale; ministerium rappresenta l’esecuzione pratica e visibile di tale ufficio ovvero le azioni concrete che derivano da quel munus.
In estrema sintesi, il munus del papa è l’essenza del suo incarico divino, mentre il ministerium è l’espressione pratica di quel munus nella guida quotidiana della Chiesa.
Con una certa semplificazione che ci è utile per la comprensione possiamo dire che il munus conferito direttamente da Dio significa essere Papa, mentre il ministerium ha a che vedere con l’esercizio pratico del ruolo di Papa vale a dire fare il papa.
Quindi il canone 332 comma 2 richiede la rinuncia al munus ma papa Benedetto XVI ha parlato di rinuncia al ministerium.
Risulta dunque che Benedetto abbia dichiarato di voler rinunciare al ministerium e non al munus cessando di esercitare il ruolo di Papa pur restando Papa.
La risposta: la verità su Munus e Ministerium
Qui la questione si fa più sottile. Infatti, la distinzione fra munus e ministerium è il cavallo di battaglia di coloro che contestano la validità della Declaratio di Benedetto XVI.
Vi do già la severa risposta a questa inconsistente distinzione, riservandomi in seguito un analitico approfondimento. Ve la fornisco citando l’autorevolissimo studio, già citato, di Boni – Ganarin:
La parola agli esperti
(i sottotitoli sono miei)
Anzitutto, si deve prendere atto della sinonimia esistente tra i due termini alla luce dei documenti normativi e magisteriali pubblicati specialmente in seguito al Concilio ecumenico Vaticano II. Sorprende, a tale proposito, come Faré citi un saggio risalente al 1989 di Péter Erdö, dove l’illustre autore – oggi cardinale – esordiva con un’affermazione eloquente e perentoria: «Ministerium, munus et officium sunt vocabula non parva ex parte synonima» (Ministerium, munus et officium in Codice Iuris Canonici, in Periodica, LXXVIII [1989], p. 411); in questo caso, come in molti altri in cui si rinvia all’insigne canonista per evincerne (a sproposito) conferme alle proprie stravaganti ricostruzioni, sorge insopprimibile il sospetto che il non semplice scritto (in latino) del cardinale non sia stato neppure sfogliato (per una minuta disamina del medesimo cfr. Geraldina Boni, Sopra una rinuncia,cit., p. 172 ss.).
Uso indistinto di munus, ministero e ufficio
Allo stesso modo, un altro canonista di fama internazionale, Juan Ignacio Arrieta, in tempi non sospetti, riscontrava «il fluttuante impiego di nozioni come “munus”, “ministero” ed “ufficio”», i quali «non trovano univoco contenuto sia nei due codici di diritto canonico latino –quello del 1917 e quello in vigore del 1983 – che nei documenti del Vaticano II, e che spesso risultano espressioni usate indistintamente in uno stesso contesto» (Funzione pubblica e ufficio ecclesiastico, in Ius Ecclesiae, VII [1995], pp. 92-93).
Sono asserzioni, queste, con le spiegazioni di cui vengono esaustivamente corredate, che uno studioso intellettualmente onesto non può fare a meno di prendere in considerazione, quantomeno per l’autorevolezza di coloro che le hanno scritte e pubblicate: così da scongiurare, del tutto auspicabilmente, la forzatura del significato dei testi giuridici e magisteriali della Chiesa, per la ricerca ossessiva della fonte che possa legittimare una distinzione concettuale maldestramente inventata.
L’influsso della formazione teologica di Ratzinger
Inoltre, sarebbe stato opportuno tener conto di quanto riferito nel libro dell’ex segretario personale di Benedetto XVI, Georg Gänswein, ove in alcuni passaggi salienti si sottolinea l’influenza della formazione teologica di Joseph Ratzinger che lo indusse a utilizzare, nella dichiarazione di rinuncia, il termine “ministerium”, essendo «la parola giusta e più forte nella tradizione teologica», mentre “munus”, negli insegnamenti del Concilio Vaticano II, ha «l’obiettivo di spiegare più precisamente il concetto dei tria munera, cioè la partecipazione di tutti i fedeli alla triplice funzione di Cristo, sacerdotale, profetica e regale» (Nient’altro che la verità. La mia vita al fianco di Benedetto XVI, Piemme, Milano, 2023, p. 277).
Queste puntualizzazioni, effettuate nella consapevolezza del polverone polemicamente e artificiosamente sollevato sul binomio munus / ministerium, non possono essere intenzionalmente ignorate da chi, pur non avendo mai conosciuto né frequentato Joseph Ratzinger, reclama di poterne interpretare autenticamente e decodificare il pensiero.
Sintetizzo
Sintetizzo:
- Nei documenti legislativi e magisteriali della Chiesa i due vocaboli munus e ministerium sono sinonimi, avendo lo stesso significato. La distinzione è solo una costruzione intellettuale maldestramente inventata.
- Il saggio di Péter Erdö è citato solo a sproposito dal Farè. L’insigne canonista afferma chiaramente: «Ministerium, munus et officium sunt vocabula non parva ex parte synonima» (Ministerium, munus e officium sono vocaboli in gran parte sinonimi).
- Il Farè ignora del tutto gli argomenti di insigni giuristi contrari alla sua tesi, e questo non è intellettualmente corretto.
- Ignora pure la testimonianza, su cui torneremo, del segretario di Ratzinger mons. Georg Gänswein, che sottolinea l’influenza della formazione teologica di Benedetto XVI. Fu tale formazione che lo indusse a utilizzare il termine “munus”. Il Concilio Vaticano II, infatti, lo usava nel senso «dei tria munera, cioè la partecipazione di tutti i fedeli alla triplice funzione di Cristo, sacerdotale, profetica e regale».
Torneremo su tutto questo.