Ricordati polvere che sei uomo…

Ricordati polvere che sei uomo
Foto di Grzegorz Krupa da Pixabay

Ricordati polvere che sei uomo…

Anzitutto, Ricordati uomo che sei polvere: è l’austero monito biblico relativo alla mortalità dell’uomo, che risuona nel libro della Genesi (3,19) nel momento in cui il Signore Dio evidenzia le terribili conseguenze del peccato. La frase, che nel latino di S. Gerolamo e della Chiesa suona Memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris, è entrata fin dall’inizio nel rito dell’imposizione delle ceneri che si svolge nell’omonimo Mercoledì e vi è rimasta unica e incontrastata per parecchi secoli, fino alla riforma liturgica del Vaticano II, quando è stata affiancata all’oggi di gran lunga preferito Convertitevi e credete al Vangelo (Paenitemini et credite Evangelio, Mc 1,15).

Il fatto che adesso le sia preferita una formula meno cupa non annulla la realtà che il Memento evoca: l’uomo, in definitiva, è polvere della terra e polvere su questa terra tornerà ad essere. Lo stesso nome di ’adam, in ebraico, lo ricorda (’adamah infatti è la terra di cui l’adam è fatto), non meno che il latino homo da humus = terreno.

Tuttavia, a questa umana polvere, che porta l’uomo verso il basso, si può ribattere: Ricordati, polvere, che sei uomoMemento, pulvis, quia homo es. Perché l’uomo è questa strana creatura anfibia che si muove tra due mondi, la terra e il cielo, nascendo nell’uno per arrivare all’altro. La polvere che egli è non deve dimenticarlo: in quanto uomo è insignita di una nobiltà straordinaria, fatta a immagine e somiglianza di Dio, e deve tenere alta questa sua dignità, senza profanarla con indegnità che ne deformerebbero la natura. Fra tutte le creature di questo mondo, infatti, l’uomo è l’unica che deve collaborare alla propria nascita divenendo se stesso; o, per dirla con Fromm, «Il compito principale nella vita di un uomo è di dare alla luce se stesso».

Punti di vista opposti

Il superbo Berlicche, autore delle Lettere scritte in suo nome da C.S. Lewis, non riesce a comprendere il valore della corporeità umana, lui che è un arrogante puro spirito e non conosce l’umiliazione della carne. Soprattutto, non concepisce come il Nemico (che nel suo linguaggio ribaltato è Dio) possa amare quegli ibridi ributtanti mezzo spirito e mezzo animale: così egli li considera e li disprezza. Dante invece adotta il punto di vista di Dio quando mirabilmente ammonisce gli uomini:

«non v’accorgete voi che noi siam vermi

nati a formar l’angelica farfalla,

che vola a la giustizia sanza schermi?»

(Canto X del Purgatorio, vv. 124-126).

Vermi sì, dice Dante, ma nati per il cielo…

E allora, visto che avevamo fatto ricorso all’etimologia (in ebraico e latino) per rafforzare l’immagine dell’uomo fatto di terra, facciamoci aiutare ancora dall’etimologia, questa volta in greco, per confermare la vocazione celeste della polvere umana: il greco anthropos, infatti, che designa ogni essere umano, ha un’origine composita che unisce i significati «su» + «guardare» + «occhio», facendo di ogni uomo la creatura che è chiamata a guardare verso il cielo… Che volete di più? «Ricordati polvere che sei uomo», colui che deve guardare in alto.