Io sono cresciuta con la fantascienza degli anni Cinquanta, con i romanzi di Urania, e del Fantasy non sapevo niente, neppure che esistesse. Naturalmente c’erano le fiabe, come letteratura popolare e con moderne produzioni di letteratura per l’infanzia, ma niente più. Iniziai a capire che la letteratura dell’Immaginario era più vasta della fantascienza proprio leggendo C.S. Lewis, che scoprii attraverso la Trilogia Interplanetaria. Era il 1964 quando mi imbattei in Perelandra, che si presentava come un romanzo di fantascienza. Iniziai a leggerlo e mi scoprii immersa in un mondo letterario che, altro che fantascienza! era vera e propria fantateologia.
Mi procurai gli altri due romanzi della Trilogia, ma quando arrivai a Questa orribile forza rimasi sconcertata. Il romanzo era distopico, come seppi dopo era anche piaciuto a Orwell, va bene, ma il Mago Merlino cosa c’entrava? Del resto, il Fantasy stava muovendo i primi passi e avrebbe fatto il suo ingresso ufficiale in Italia solo molto dopo, forse con il film Conan il barbaro di schwarzeineggeriana memoria (1982).
La nascita del Fantasy
Anche la fantascienza può avere una funzione critica nei confronti della società contemporanea. In effetti, la grande fantascienza degli anni Cinquanta – Sessanta ha svolto una funzione profetica anticipando gli sviluppi della civiltà tecnologica e dell’immagine, si pensi a Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Ma mentre la fantascienza si muove sul terreno dello scientificamente possibile (o almeno concettualmente possibile), il Fantasy decisamente imbocca la strada della magia e della fiaba, da vivere nel passato o in un’altra dimensione. La fantascienza ha dei limiti, il Fantasy no. Fate, draghi, unicorni, elfi e sortilegi vari vi fanno abbandonare la sfera del reale, anche se futuribile, per immettervi in un mondo dove qualsiasi fantasia si può realizzare. Un mondo che non esiste, non è mai esistito e non esisterà mai.
Naturalmente, nella produzione letteraria mondiale il Fantasy ha preceduto la fantascienza, che per nascere ha avuto prima bisogno che nascesse la scienza. L’Odissea è in fondo un Fantasy, ed anche la Divina Commedia, perché l’Aldilà, per chi ci crede, non è certamente fatto come voleva Dante… Ricordiamo come precursori La regina delle fate di Spenser, Phantastes e Lilith di MacDonald, Il serpente Ouroboros di Eddison. Se la fantascienza deve aspettare Jules Verne e Wells per nascere, il Fantasy affonda le radici nel mondo del mito. Ed è proprio il mito che affascinò due grandi intellettuali del Novecento, Tolkien e Lewis. Li nomino insieme, perché se si sono affermati come grandi scrittori è perché si sono incitati a vicenda nell’avventurarsi sul terreno della letteratura fantastica, formulando persino una teoria comune, quella della mitopoiesi.
Mitopoiesi: realtà e fantasia andata e ritorno
Veramente, Lewis distingue diversi livelli di produzione fantastica. Nella dimensione psicologica, la fantasia in quanto immaginazione presenta diversi possibili significati (C.S. Lewis, Lettori e Letture, Vita e Pensiero, Milano 1997, 73-76).
- Il primo tipo di immaginazione è quello della costruzione immaginaria che appaga il soggetto e viene da questi confusa con la realtà: è l’illusione.
- Il secondo è il sogno ad occhi aperti che ci vede protagonisti di avventure epiche ma, ahimè! del tutto fittizie, senza l’illusione che il sogno sia la realtà, ma con una insistenza morbosa che distoglie dalla vita.
- Il terzo livello è la fantasticheria o svago dalla realtà, innocua quanto può esserlo una breve vacanza presa per tornare a lavorare meglio; in tutta questa dimensione, la fantasia è una forma di evasione.
- Se invece la fantasticheria viene elaborata ed assurge a dignità letteraria, diviene narrativa, invenzione. L’invenzione non è una forma di evasione: è la produzione di un mondo immaginario di cui l’autore non è il protagonista ma il creatore, è l’opera del romanziere, e non è detto che si basi sulla fantasia; può essere, invece, anche solamente realistica.
- Al più alto grado Lewis pone invece la fantasia propriamente detta, che crea poeticamente contenuti irreali (Sorpreso dalla gioia, 17).
Secondo l’etimologia possibile del termine fantasia, esso deriverebbe da fōs = luce e indicherebbe «l’apparire interiore degli oggetti che i sensi vedono all’esterno» (Cfr. P. Antonio Spadaro S.J., La fantasia: evasione o visione? in «Civiltà Cattolica» N. 3715 del 2 aprile 2005, 37. 133)
Non è quindi evasione ma visione, sviluppo della capacità di vedere in modo nuovo le cose già familiari togliendo loro la patina dell’abitudine e dell’assuefazione.
Mitopoiesi
Qui entra la teoria della mitopoiesi, la produzione del mito. L’uomo, creato a immagine di Dio, è, come Dio, creatore, o meglio sub-creatore. Dio crea la realtà, l’uomo crea il mito.
Il mondo sub creato, quello fantastico, risplende anch’esso della luce riflessa della realtà, che riecheggia l’incanto del Creato per cui, nella misura in cui uno scrittore conosce, ama, gode e assapora quella bellezza, maggiormente saprà trasmettere realismo e “sapore” al suo sub creato». Così, anche se a Narnia in una stanza, insieme ai protagonisti, si aggirano due castori parlanti, l’ambiente è reale e familiare per suoni, sapori, profumi e colori.
Ritornare al mito significa tornare a parlare al cuore dell’uomo, alla sua parte più profonda, incline, da sempre, alle cose più semplici, più belle e più vere della vita, ormai quasi del tutto dimenticate: la bellezza, l’amore, l’amicizia, il sacrificio, la verità, la libertà, la dignità. Essi sono gli elementi fondamentali, i valori imprescindibili della regalità dell’uomo, esaltati da sempre, nei racconti epici e mitologici della tradizione letteraria di ogni popolo, ma che in questo periodo sembrano essere fuori luogo, eppure le sue radici sono fondate proprio nell’animo dell’uomo (A. Antonazzo, La Letteratura dimenticata. Chesterton, Lewis, Tolkien: tre scrittori per la Speranza, Istituto Teologico S. Tommaso, Messina 2007, 72).
Ritornare al mito, insomma, equivale al viaggio di realtà – fantasia andata e ritorno: si riproduce il mondo secondario modellandolo sul primario per ritornare in quest’ultimo cresciuti e trasformati.
Mondo Primario e Secondario: andata e ritorno
I lettori di Tolkien, come i lettori di Lewis, rimangono colpiti non solo dalla fantasia dell’autore, ma dal suo realismo: l’evasione nel Mondo Secondario (quello fantastico, creato dalle mitologie e dagli artisti, derivato dal Mondo Primario) serve proprio a tornare nel Mondo Primario (quello reale, creato da Dio) con spirito nuovo.
Lo strumento principale per la creazione dei mondi secondari è la fantasia, che svolge una funzione sub-creatrice, essendo noi fatti a immagine e somiglianza del Creatore. Secondo la celebre teoria della mitopoiesi o produzione del mito, Lewis, con Tolkien, sostiene che l’uomo, a immagine di Dio Creatore, è a sua volta sub-creatore, non di realtà però, bensì di miti che lo predispongono da lontano al Vangelo perché a questo sono orientati ed in questo divengono veri: nell’incarnazione, morte e resurrezione del Cristo Gesù, il mito diviene fatto, il sogno diviene storia, il Verbo diviene carne. Grazie a questa dimensione mitopoietica acquista nuovo significato la fantasia, che, come già detto, deve essere intesa non come fuga, ma come un ritorno alla realtà con uno sguardo diverso, rigenerato, sanato (Annunziata Antonazzo, La Letteratura dimenticata, 73).
Il lieto fine della fiaba e del mito viene ribattezzato da Tolkien con il termine «eucatastrofe»: «L’improvviso capovolgimento felice […] che fornisce una visione fuggevole della Gioia […] intensa come il dolore». La più alta eucatastrofe si ha col Vangelo: «La nascita di Cristo è l’eucatastrofe della storia dell’Uomo. La Resurrezione è l’eucatastrofe della storia dell’Incarnazione» (J.R.R. Tolkien, Il Medioevo e il fantastico, 225. 228).
Il realismo della fantasia
Protagonista perciò della fantasia è la vita di ogni giorno della gente ordinaria. I libri di Harry Potter sono basati sul contrasto tra il mondo dei «Babbani», la gente comune, insignificante e inutile, e il fantastico mondo della magia, mondo alternativo alla routine della normale esistenza. Nei libri di Narnia, invece, la fantasia, con tutte le sorprese che dischiude davanti al lettore, fa luce sul significato del reale e dell’ordinario. Il Fantasy di Lewis opera al servizio della vita quotidiana. Le storie di Narnia iniziano in un mondo vero ma triste (l’Inghilterra della guerra), lo lasciano per un paese di meraviglie, e tuttavia vi tornano con i personaggi interiormente trasformati e cresciuti, a differenza della saga di Harry Potter, in cui la vita vera resta quella della magia.
Il SIgnore degli Anelli
È significativo il modo in cui Lewis recensisce Il Signore degli Anelli di Tolkien, segnalando in esso due eccellenze: la prima, sorprendentemente, è il realismo. La guerra è una vera guerra, con i civili in fuga, le vivide amicizie, il tabacco nascosto per salvarlo dalla rovina… E la seconda eccellenza sono i personaggi, nessuno dei quali esiste solo in funzione della trama, tutti esistono per sé.
«Ma perché (domanda qualcuno), perché, se hai da fare un serio commento sulla vita reale degli uomini, devi farlo parlando di inesistenti terre fantastiche di tua invenzione?». Perché, rispondo, una delle cose principali che l’autore intende dire è che la vita reale dell’umanità è fatta di quella stoffa eroica e mitica […]. Il valore del mito è che esso prende tutte le cose che conosciamo e restituisce loro il ricco significato che è stato nascosto dal «velo della familiarità» […]. Se siete annoiati del paesaggio reale, guardatelo riflesso in uno specchio. Facendo partecipi di un mito il pane, l’oro, il cavallo, la mela o le strade vere e proprie, non fuggiamo dalla realtà: la riscopriamo
(C.S. Lewis, Il Signore degli Anelli di Tolkien (1954-1955), in Come un fulmine a ciel sereno, 171 s.).
Il giardiniere di C.S. Lewis
Così pure, aggiunge Lewis, inserendo in un mito il bene e il male, i nostri pericoli, il nostro tormento e le nostre gioie, li vediamo più chiaramente. Tra l’altro, lo scrittore si divertiva a ritrarre i suoi personaggi fantastici dalla realtà. Il personaggio chiave del quarto romanzo di Narnia, La Sedia d’argento, è un umile paludrone (marshwiggle), una creatura delle paludi dal nome di Puddleglum (Pozzanghera) e dal carattere inguaribilmente catastrofico, che però fa sempre il suo dovere e rappresenterà l’elemento risolutivo della vicenda: Lewis lo aveva creato a immagine del suo giardiniere, Fred Paxford. Per dare un’idea del suo pessimismo cronico, Lewis raccontava che, in procinto di fare il suo primo ed unico viaggio in aereo che lo intimoriva abbastanza, fu salutato così dal giardiniere:
«Beh, signor Jack, c’era ’sto tipo alla radio: dice che un aeroplano è appena caduto. Tutti morti, bruciati al di là di qualsiasi possibile riconoscimento. Ha sentito quello che ho detto, signor Jack? Bruciati al di là di qualsiasi possibile riconoscimento!» (Walter Hooper, Il professor C.S. Lewis va in Paradiso, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2013.).
La fantasia di Lewis è perciò tutt’altro che una fuga dalla realtà. È significativo che i piccoli protagonisti fuggendo da una guerra che viene combattuta nel loro mondo entrino, passando attraverso un armadio, in un mondo nel quale un’altra guerra si sta combattendo, a ricordarci che la fantasia è un aiuto per tornare ad affrontare la dura realtà. Non si tratta dunque di una fuga dalla realtà verso un paradiso artificiale, ma, al contrario, di una ri-appropriazione della realtà, anzi di una intensificazione del proprio rapporto con il mondo circostante (Cfr. Andrea Monda, L’Anello e la Croce, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2008, 38.).
Per C.S. Lewis vedere QUI.