Del tempo della dominazione pisana, quando erano state erette quattro pievi con cappelle, sono rimaste sull’isola d’Elba numerose testimonianze. Si potrebbe compiere un intero tour dell’isola alla ricerca delle tante tracce di romanico disseminate sul territorio, che era suddiviso in quattro pievi o chiese battesimali (Campo, Marciana, Ferraja, Capoliveri) e capillarizzato in numerose altre chiesette, la maggior parte delle quali ridotte a ruderi, o addirittura scomparse.
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Un eventuale tour potrebbe seguire il tracciato rappresentato dalla pianta tratta dalla Guida alle chiese romaniche dell’isola d’Elba di Luigi Maroni, su cui però non sono segnalate
- la pieve di S. Giovanni di Ferraja di cui si è persa anche l’ubicazione,
- e le chiesette di S. Benedetto di Pomonte (i cui ruderi sono stati riscoperti solo successivamente da Silvestre Ferruzzi),
- di S. Mamiliano di Capoliveri (sparita nel centro del paese)
- e di S. Menna di Cavo (di cui sono rimaste poche pietre inglobate in una casa colonica).
Anticipiamo che molte di queste chiese furono distrutte nel Cinquecento dalle devastazioni effettuate dalle truppe dei corsari Barbarossa e Dragut; tuttavia, la causa finale della demolizione furono gli stessi abitanti, che spesso utilizzarono le pietre di questi edifici in rovina per adibirle ad altro, come accadde a Roma, dove «quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini» («quel che non hanno fatto i barbari l’hanno fatto i Barberini»), secondo la nota pasquinata che accusava papa Urbano VIII di aver demolito i monumenti antichi per costruire nuovi edifici.
L’unica chiesa romanica elbana sopravvissuta allo scempio e ripristinata quasi allo stato originale, dopo il restauro finale, è S. Stefano alle Trane, la chiesa dello scomparso paese di Latrani. Sì, perché insieme alle chiese sono scomparsi anche interi paesi.
Gli antichi comuni elbani e le loro chiese
Un breve consolare del 1162 indica all’Elba otto centri:
- Capoliveri,
- Grassera (non più esistente),
- Rio,
- Marciana,
- Giove (l’attuale Poggio),
- Ferraia (l’attuale Portoferraio),
- Pomonte, Campo.
In seguito assumeranno importanza anche i paesi di Latrani (non più esistente) e Montemarsale (non più esistente neppure nella toponomastica).
La prima menzione di chiese dell’Elba in un documento, invece, risale soltanto al secolo successivo, precisamente al 21 novembre 1234 quando il pievano di Capoliveri ottiene in perpetuo la chiesa elbana di S. Felice della Croce dall’abate del monastero di S. Felice di Vada, con atto rogato a Capoliveri nella casa della stessa chiesa di S. Michele.
Naturalmente, le chiese menzionate esistono da molto più tempo: ogni «terra» ha le proprie, e alcune sono più importanti delle altre.
Le quattro pievi
Dagli elenchi delle Rationes Decimarum Italiae -Tuscia, esecutivi tra il 1274 e il 1304, risulta che la decima doveva essere raccolta per sei anni consecutivi a partire dal 24 giugno 1274 e che Alcampo, canonico di Firenze, veniva nominato collettore per tutta la Tuscia (l’attuale Toscana), con potere di nominare quattro sottocollettori in ogni diocesi. Dagli stessi elenchi veniamo inoltre a conoscenza che il territorio elbano, facente parte della diocesi di Massa Marittima, era suddiviso in quattro distretti retti da Plebes con diritto di battesimo: quella «de Ferraia, de Capolivero, de Marciana de Ilva, de Campo». Si nota poi una distribuzione capillare di ecclesiae dipendenti dalla pieve principale, anche di cappelle sperdute tra le montagne occidentali dell’isola.
L’Elba medievale era, così, divisa in 4 pivieri facenti capo alle rispettive pievi:
- S. Giovanni in Campo di cui è rimasta solo la struttura priva di copertura ma unica ad essere ancora provvista di campanile a vela (nel 1298 se ne conosce la decima impostale, proporzionata alla rendita, di 11 lire);
- S. Lorenzo di Marciana di cui rimane, pure, la struttura senza la copertura (tassa lire 4);
- S. Giovanni di Ferraja, totalmente scomparsa, persa anche la memoria dell’ubicazione (tassa di lire 4 e denari 16);
- S. Michele di Capoliveri di cui restano ruderi, in particolare l’abside (tassa lire 2).
La più importante a fine Duecento era dunque la pieve di S. Giovanni Battista nel comune di Campo, la chiesa romanica più grande dell’isola e l’unica ad avere il titolo di prioria.
Esistevano inoltre molte altre chiesette, di cui talvolta è rimasto solo il nome o poco più:
- nella terra di Campo, S. Maria alle Piane del Canale, S. Ilario, SS. Pietro e Paolo;
- nella terra di Marciana, S. Frediano, S. Bartolomeo, S. Benedetto, S. Biagio;
- a Ferraja, S. Stefano alle Trane;
- a Capoliveri, S. Mamiliano e la Madonna della Neve;
- nella terra di Rio, S. Quirico, S. Felice e S. Menna o Bennato o Miniato.
Testi principali di riferimento:
I.- Moretti – R. Stopani, Chiese romaniche all’isola d’Elba, Salimbeni, 1972
Luigi Maroni, Guida alle chiese romaniche dell’isola d’Elba, Pacini, 2004 (da cui sono prese le immagini di cui ci serviamo)
Silvestre Ferruzzi, Pedemonte e Montemarsale, Bandecchi & Vivaldi, 2013
Alessandro Naldi, Testimonianze di architettura romanica sull’isola d’Elba, «Milliarium» 11 (2014), 90 – 107
Anna Giorgi, Chiese romaniche elbane: quattro pievi con cappelle, «Toscana Oggi – Dalla Maremma all’Elba», n. 7/2020, pag. VI
Le pievi
SIGNIFICATO DEL TERMINE
Il termine pieve, derivato dal latino plebs (popolo), presenta tre significati complementari, designando sia una comunità di battezzati che un edificio di culto provvisto di fonte battesimale e il distretto di pertinenza di questa chiesa. Il cristianesimo si diffuse a partire dalle città, ma quando si svilupparono le comunità periferiche di credenti, queste ebbero come fulcri le chiese battesimali sparse nelle campagne chiamate parrocchie, che nell’Italia centrosettentrionale e in Corsica, fino all’area salernitana e beneventana, furono denominate pievi.
DIFFUSIONE DELLE PIEVI
La diffusione delle pievi interessò i paesi di una certa importanza, o perché sedi di mercato, o in quanto sedi amministrative, o stazioni di posta, oppure gli insediamenti agricoli maggiori. Con il progressivo disfacimento dell’Impero romano, la pieve ereditò le funzioni civili e catastali del municipio romano, assumendo il ruolo di centro nel suo territorio di competenza. La diffusione delle pievi ecclesiastiche si sviluppò nel V-VII secolo, con la scomparsa dell’organizzazione statale romana, e incominciò dalla Toscana.
CENTRI DI VITA RELIGIOSA E CIVILE
Diversamente dalle chiese e cappelle private, la pieve era una chiesa pubblica, sottoposta direttamente al vescovo all’interno di una struttura diocesana, entro la quale esercitava le prerogative di chiesa matrice sul popolo compreso nella pievania o piviere, che doveva ricevervi il battesimo, corrispondere le decime e le primizie e accorrere in occasione delle festività maggiori. All’interno del distretto le cappelle, gli oratori e gli altri edifici di culto dipendevano dalla pieve e dal suo clero e non godevano dei diritti parrocchiali.
Come centro di raccordo di una popolazione sparpagliata in villaggi e case isolate, la pieve si trovava spesso lungo una importante via di comunicazione, o sulle sponde di un fiume, o nel fondovalle. Il pievano, oltre ad essere il pastore delle anime, assolveva funzioni civili e amministrative tenendo i registri delle nascite, e custodendo i testamenti e gli atti di compravendita dei terreni. Le pievi si occupavano di riscuotere i tributi e raccogliere le decime. Inoltre coordinavano i lavori di difesa del territorio, bonifiche, opere di canalizzazione, ecc. La pieve, quindi, era sia centro religioso che entità territoriale. Le chiese della pieve erano spesso dotate di un proprio ospedale; il sagrato costituiva anche luogo di mercato.
CHIESE BATTESIMALI
La funzione religiosa delle pievi era essenziale nell’Italia poco urbanizzata dell’Alto Medioevo: per chi abitava lontano dai centri urbani era l’unico luogo di culto in cui si potevano amministrare tutti i sacramenti, a partire dal battesimo. Originariamente, infatti, il rito del battesimo veniva celebrato solo nelle cattedrali, cioè nelle città. Soprattutto nelle regioni dell’Italia settentrionale, e in Toscana, il termine passò quindi a indicare le chiese dotate di fonte battesimale (anche chiamate «chiese battesimali»).
Il sistema per pievi cominciò a entrare in crisi nel corso del secolo XI, quando la formazione delle signorie territoriali di banno (quelle dei grandi possidenti) e l’incastellamento (concentramento della popolazione) sempre più diffuso mutarono profondamente i sistemi abitativi, che divennero sempre più accentrati. il fenomeno della rivendicazione dei diritti parrocchiali complicò il quadro gerarchico, comportando la creazione delle parrocchie come elemento intermedio tra la sede cattedrale e la pieve.