
Avendo saputo della scomparsa a 75 anni di Danila Comastri Montanari, una scrittrice geniale, voglio ricordare la sua serie principale di romanzi gialli: quella che ha come protagonista l’epicureo, libertino, beffardo nonché ricco sfondato senatore romano dei tempi di Claudio, Publio Aurelio Stazio.
Publio Aurelio Stazio

«Quando un uomo con una spada di bronzo incontra un uomo con una spada di ferro, l’uomo con la spada di bronzo è morto!». La trasposizione sbarazzina dal western tipo Clint Eastwood al giallo storico la dice lunga sullo stile dell’autrice. Ed ecco infatti il protagonista: arrogante, spregiudicato, scanzonato; ma non è uno scalcinato investigatore privato americano Hard Boiled, è un giovane senatore epicureo, ricchissimo e coltissimo, del tempo dell’Impero.
Il periodo storico
Sono ormai gli anni in cui lo spirito degli antichi quiriti si è piegato sotto la dittatura imperiale, benché questi, dal 41 al 54 d.C., siano gli anni migliori, sotto il mite governo di Claudio, vecchio erudito zoppo e balbuziente, una parentesi di umanità tra il regno del folle Caligola e quello dello spietato Nerone. Di umanità, veramente, ve ne è poca nella società romana, dove la vita non vale niente, i neonati vengono esposti, il dominus ha il diritto di giustiziare sommariamente gli schiavi, la cittadinanza esulta ai ludi gladiatori godendo nel vedere i vari modi di uccidere e di morire, e il grido «Iugula», cioè «Sgozzalo», sovrasta tutti gli altri.
In quegli anni, i seguaci di un giovane falegname crocifisso sono approdati a Roma, uno strano ebreo si aggira per l’Urbe dicendo di essere un pescatore, e la setta del galileo crocifisso, un certo Cresto o forse Cristo, fa adepti andando contro corrente su tutto, mentre la virtus romana naufraga in un mondo senza più ideali, e la gravitas si stempera in un mare di vizi.
Virtù e vizi di Publio Aurelio Stazio
Non c’è comunque nessun animus cristiano nei gialli di Danila Comastri Montanari, la scrittrice bolognese autrice di una nutrita serie di volumi che hanno quasi raggiunto quota venti. C’è però tanta compassione umana che forse senza che lui ne sia del tutto consapevole si fa strada nell’animo dello smaliziato protagonista: nobilissimo di origine, Publio Aurelio Stazio, che in anni diversi si sarebbe gettato con entusiasmo nella mischia politica per il bene della res publica, negli anni dell’impero trova preferibile praticare una autarchica atarassia, ovvero imperturbabilità. Poco gli riesce, a dir la verità: da vero romano non teme di affrontare il pericolo e la morte, ma l’arroganza patrizia cui i suoi maggiori lo hanno abituato e la scarsità di pazienza e di umiltà, virtù di cui è ben poco provvisto, fanno guerra a quel distacco dalle passioni di cui si vorrebbe fregiare.
Citazioni occulte

Il patrizio, che maneggia la frusta come un Indiana Jones ante litteram e guida la biga al pari di Ben Hur, sarebbe forse molto antipatico se non fosse invece dotato, riflesso della sua autrice, di un forte senso dell’umorismo che rende le sue avventure molto appetibili e gradevoli al lettore. Perciò non ci meravigliamo se in un qualche momento affiora, da parte del fedele (si fa per dire) servitore Castore l’inevitabile sherlockiano «Elementare, domine» e se il giovane senatore cita, come lui stesso ammette, l’espressione favorita di un suo già «anziano» collega del Senato: «A pensar male si dispiace agli dèi, ma spesso ci si azzecca» – e a chi corre il pensiero, se non all’ironia dell’immortale senatore Giulio Andreotti, a quell’epoca ancora vivente?
Andando avanti con la serie, le citazioni occulte si moltiplicano, e il lettore si intenerisce quando una mano forte solleva il pesantissimo secchio d’acqua a stento trascinato da una bambina, e poco importa se questa si chiama Minervina anziché Cosetta; si diverte quando vede replicarsi le tecniche investigative del tenente Colombo, le trame di Agatha Christie o il rossocrinito mcbainiano Cotton Hawes dalla ciocca bianca là dove la coltellata di un malvivente ha fatto ricrescere in modo abnorme i capelli; se è un fan di Star Trek esulta quando sente citare la fatidica frase «Fino ad arrivare là dove nessuno era mai giunto prima!»; se ha memorie scolastiche della pascoliana Cavalla storna, si entusiasma nel momento in cui, al suggerimento del nome del criminale, «nella stalla risuonò alto un nitrito»; se ha letto Amleto, riconosce il noto «Ci sono più cose in cielo e in terra…».
Di secolo in secolo l’uomo è sempre lo stesso

Accuratissimo il quadro storico, e numerosi i personaggi reali che entrano nella trama a vario titolo, dal poeta Fedro allo zelota Eleazaro futuro capo dell’estrema resistenza di Masada, dalla famigerata Messalina al piccolo stonatissimo Nerone. Non mancano però, sotto il velo della storia, le riflessioni sulle dinamiche della nostra stessa società, perché l’uomo purtroppo è sempre lo stesso, e forse anche in una città, come Roma, dalla ferrea disciplina militare, «l’obbedienza non è una virtù».
Il sistema è ingiusto, i ricchi sfruttano allegramente i poveri, i bambini sono schiavizzati e le donne ridotte ad oggetti, la storia, che pare abbandonata al caso, si ripete… Anche i delitti, in fondo, sono sempre gli stessi, e in Ars moriendi assistiamo persino ad una anticipazione delle uccisioni seriali dello Squartatore londinese, ambientate, non a caso, in un Vicus ad Sacellum Album ovvero Vicolo della Cappella Bianca, che non è, mutatis mutandis, se non la vittoriana Whitechapel teatro, appunto, dei celebri delitti del 1888. Così pure viene anticipata La finestra sul cortile, ed altre trame gialle celebri.
Insaziabile curiosità
L’irriverente senatore Stazio è caratterizzato da un’insaziabile curiosità di conoscere la natura umana, oltre che di risolvere casi criminali, per cui non esita, lui raffinatissimo gaudente, ad assumere travestito le immani fatiche e ingiustizie della vita schiavile pur di andare a fondo di una situazione.
È proprio questa esperienza che lo conduce per esempio a contatto con l’esistenza inumana della schiava bruttissima di un padrone bestiale e con il dolore di una coppia cui lo stesso padrone, per puro capriccio, in forza del diritto assoluto di vita e di morte, sottrae il figlio neonato solo per togliersi la soddisfazione di esporlo alla morte. E chi, se non l’arrogante aristocratico, a mo’ di deus ex machina, può permettersi di battersi a mani nude con il feroce Sarpedone e restituire il piccolo, anonimamente, ai genitori, con una ricca dote in aggiunta, mentre riscatta l’infima schiava Afrodisia esaudendo compassionevolmente la sua umana aspirazione ad una schiavitù meno brutale (Cui prodest, 1999)? Ovvero: l’ironia cede il posto alla commozione.
Compagni di indagini: dentro la Domus…

Non si aggira da solo, nel mondo del delitto, Publio Aurelio Stazio. Gli sono validi compagni di avventure e di indagini l’astutissimo e disonestissimo servitore Castore, ricalcato sul modello del servus callidus della commedia plautina; il suo esatto contrario, il probo, mite, casto, sobrio intendente Paride, disposto a dare la vita per il suo dominus.
… e fuori della Domus
Fuori della ricca domus, interviene spesso nelle indagini l’integerrimo capo dei vigiles nocturni Mummio Vero, affetto da un’insanabile ansia investigativa per riscattarsi dall’ordinaria gestione di un mondo fatto di pompe e di estintori.
Compagna fedele di avventure del senatore è la ricchissima strabordante matrona Pomponia dal cuore d’oro, che si avvale, per esercitare l’arte del pettegolezzo, dello spionaggio di una schiera addestratissima di cosmeticae, ornatrici, pocillatori, arcarii, balneatores, cucitrici, e che sarà spesso determinante per la risoluzione dei casi grazie a quanto ha saputo dalla «figlia del marito della sorella del cognato del patrigno del cugino della zia del genero della madre del nipote della suocera…», e ditemi se questo tipo di fonte d’informazione non vi ricorda qualche informatissima persona che anche noi, nel nostro mondo, conosciamo.
Spesso la affinanca il suo indulgente marito cavalier Servilio, sempre innamorato a dispetto degli anni e della mole della sposa, e sempre pronto a metterle a disposizione, per i capricci di moda ma anche per le crociate umanitarie in cui si imbarca, il suo ingentissimo patrimonio, disposto a tutto, tranne che ad un’unica cosa, mettersi a dieta. Infine, è spesso risolutivo il coltissimo medico greco Ipparco, asso dell’arte di Esculapio.
Schiavi viziati
Fanno abitualmente corona ai protagonisti i cento e più schiavi che si danno al buon tempo poltrendo nella domus del Viminale, sotto un padrone indolente, indulgente e generoso per non dire prodigo: il portiere dormiglione Fabello, il gigantesco nabateo Sansone declassato per le maniere brusche da massaggiatore a guardia del corpo, il finissimo capocuoco Ortensio, l’effeminato tonsore sirofenicio Azel, la bellissima egiziana Nefer, e chi più ne ha più ne metta…
Umanità e storia
Tutto un mondo umano ritratto sapientemente e spiritosamente per una lettura piacevole e, in fin dei conti, anche istruttiva, perché il mondo romano dell’epoca vi è fedelmente ricostruito, sfatando anche i luoghi comuni che, pur divulgati, non corrispondono alla realtà storica. È il caso di quel famoso Morituri te salutant che, mai declamato realmente dai gladiatori (che si auspicava, tra l’altro, non dovessero morire nell’arena, perché per le loro scuderie valevano una fortuna), fu pronunciato una sola volta, prima della naumachia che precedette la bonifica del lago Fucino (anno 52), dai condannati a morte.
Così si sviluppa tutta la serie di Publio Aurelio Stazio, dal primo Mors tua del 1990 all’ultimo Ludus in fabula del 2017, oltre a un certo numero di racconti: 27 anni di buona letteratura, molto ben scritta, con piglio vivace e mai sciatta, come purtroppo capita facilmente quando si tratta di italiani. La serie avrebbe meritato di essere trasposta in un film, o in una serie televisiva, ma la cultura media italiana non ne è all’altezza. Una serie di romanzi che una volta terminati fanno venire voglia di rileggerli. Ve li raccomando: leggeteli. Ne vale la pena.