Che parole difficili! Prendiamole una alla volta, e vedrete che i concetti sono, invece, familiari. Magari si sta parlando di cose che in qualche modo ci toccano da vicino.
Prosopagnosia: quando si dice Non sono fisionomista…
Avete presente quando una persona non vi riconosce, si scusa e vi dice Non sono fisionomista? Avete presente quando rimanete male perché avete incontrato qualcuno che vi ha guardato ma non vi ha salutato? Ebbene, cercate di mettervi nei panni di chi, come me, soffre di prosopagnosia: è una sindrome.
Prosopagnosia: una vera sindrome
Solo qualche anno fa ho scoperto che questa era una vera e propria sindrome. Sono contenta di averlo scoperto, perché prima mi sembrava semplicemente di essere distratta o addirittura maleducata, non riconoscendo talvolta – anzi più che talvolta – le persone che incontravo. Adesso che ho saputo di essere affetta da una sindrome mi sento più giustificata.
Il nome dice tutto. Da πρόσωπον (prósopon), «faccia», e ἀγνωσία (agnosìa), «ignoranza», il termine, coniato nel 1947 dal neurologo tedesco Joachim Bodamer, designa l’incapacità di riconoscere il volto. È una sindrome scomoda, vi assicuro. Si rischia di non salutare persone che si conoscono e di salutare invece perfetti sconosciuti; di scambiare le persone le une per le altre; di non sapersi contenere con alcuni che ci conoscono perché non si sa chi siano; quando chiedo l’ultimo in una fila numerosa devo osservare come è vestito, perché i lineamenti del viso non li ricorderò.
Distinguo i volti gli uni dagli altri, chiaramente, ma non li fisso con sufficiente precisione nella mente. Per fortuna mi soccorre una certa memoria per i nomi e per le situazioni, di modo che un minimo appiglio mi fa ricordare di chi si tratta. È stato questo che mi ha permesso, da preside, di interessarmi di centinaia di alunni conoscendoli uno per uno senza confonderli.
Parlo, naturalmente, di persone che non conosco bene; con quelle con cui sono spesso a contatto non ho problemi. Nei casi limite, invece, il prosopagnostico non riconosce nemmeno se stesso allo specchio. Un testo classico che ne tratta si intitola L’uomo che scambiò la moglie per un cappello (Sacks, 1985), pensate un po’…
Pare che la propopagnosia sia più diffusa di quanto non si pensasse in passato. Può dipendere da un trauma, ma potrebbe essere anche ereditaria; le cause sono ancora sconosciute. Abbiate un po’ di comprensione per i prosopagnostici, che si trovano spesso in imbarazzo per la loro scarsa capacità di riconoscervi.
Pisantropofobia: paura, ma di chi?
Solo da pochi giorni ho scoperto un’altra sindrome con cui non ho niente a che fare o forse sì, se il nome è questo: pisantropofobia… Che voglia dire fobia per i pisani? Livorno ne sarebbe piena… Ma no, sto scherzando, anche se pochi giorni fa, leggendo per la prima volta questo termine, non potevo credere che esistesse una sindrome di tal nome. In realtà si dovrebbe scrivere Pistantropofobia, e allora acquista tutt’altro valore, perché in greco Pistis significa fede, fiducia.
L’etimologia ci aiuta a comprendere: paura di fidarsi delle persone. Questa sindrome non ce l’ho, anche se fino in fondo mi fido di pochi, ma conosco qualcuno che ce l’ha in forma galoppante, eccome! Non si sta parlando di semplice prudenza: il Verga riporta un detto popolare secondo cui «Al giorno d’oggi per conoscere un uomo bisogna mangiare sette salme di sale». Sette salme sono due tonnellate di sale, e per consumarle insieme ad un altro non basta una vita intera. No, qui si va oltre la cautela. Si parla di qualcuno che vive nella diffidenza totale nei confronti degli altri, come se questi fossero tutti sempre pronti a fregarlo e ad approfittarsi di lui, per cui l’unica difesa è considerare tutti come nemici e stare continuamente in guardia nei confronti di tutti, magari anche aggredendo per primo.
In concreto…
Potrebbe essere stata un’infanzia costellata di bugie a rendere difficile fidarsi degli altri a partire dai genitori, e il resto della vita non sarà altro che l’attesa dell’ennesima delusione. Gli altri saranno solo potenziali ed immaginari nemici da cui proteggersi. Chi è affetto da questa sindrome vivrà molto male, concentrandosi su nemici immaginari invece che sulla realtà, ma farà vivere molto male anche le persone con cui sarà a contatto. E dove sta il limite fra una patologia incontenibile e una forma in cui è possibile esercitare una scelta etica? Qualcuno sa dirlo?