La seconda parte del discorso ecclesiale è dedicata alla possibilità che gli stessi discepoli abbiano problemi all’interno della comunità. I deboli possono essere scandalizzati, possono cadere in peccato; ma tutti i discepoli possono deviare dalla sequela. Che cosa fare con i peccatori?
La correzione fraterna e la preghiera (18,15-20)
Questo brano è già un saggio di disciplina ecclesiastica, delineando all’interno della comunità il comportamento da tenere verso il fratello che sbaglia, ispirandosi ai principi della gradualità e della misericordia.
Il peccato di cui si tratta è pubblico, perciò riguarda la comunità. Il fratello che pecca non deve essere odiato o semplicemente emarginato o allontanato, ma è necessario che venga corretto per essere riguadagnato alla comunità. Ognuno è un valore, è prezioso per il Padre e quindi deve esserlo anche per i fratelli.
Il primo passo è la correzione personale, da solo a solo; se questa viene rifiutata, il passo seguente è quello di ammonire il peccatore alla presenza di due o tre testimoni, conformemente alla legge deuteronomica, testimoni del peccato, o testimoni del rifiuto di convertirsi. Se neppure questo ha effetto, la correzione deve coinvolgere l’intera comunità, dopo di che la Chiesa deve sancire l’esclusione, ovvero la scomunica: legare e sciogliere, escludere e assolvere è la funzione della Chiesa. Dato l’ordine in cui l’estromissione dalla comunità si presenta, questa è l’ultima sponda. La comunità, però, si deve difendere, e deve difendere i deboli, nei confronti del peccato.
Ma c’è ancora una possibilità e un dovere nei riguardi di chi erra, ed è quella della preghiera; i due o tre testimoni divengono adesso oranti, intercessori presso Dio per coloro che causano problemi alla comunità. La loro preghiera è potente, perché Gesù stesso è in mezzo a loro e la loro preghiera è la preghiera di Gesù.
Il perdono (18,21-35)
Nel racconto di Genesi 4, la stirpe di Caino il fratricida è all’origine di molte deviazioni dell’umanità. In particolare, è Lamech ad inventare nuove forme di involuzione nella storia del peccato dell’uomo. Una è la poligamia, perché si prende due mogli, contravvenendo al progetto originario di Dio sulla coppia. L’altra è la vendetta smodata: “sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette” (Gn 4,24). La versione greca traduce “settanta volte sette”, che è anche di più. Ebbene, dove l’uomo ha inventato la vendetta smodata, Gesù inventa il perdono smodato: non sette volte soltanto (il sette è il numero della pienezza, della perfezione, indica già una quantità illimitata) ma settanta volte sette, cioè sempre, sempre. Modello ne è la logica gratuita di Dio in contrasto con la logica calcolatrice dell’uomo.
Il servo spietato
Ne è un chiaro esempio quello fornito dalla parabola del re che, sentendo fremere le viscere, si fa comandare dalla compassione e condona un debito quasi incalcolabile (diecimila talenti corrisponderebbero a cento milioni di giorni di salario, qualcosa come 30 miliardi di euro, press’a poco). Il servo non avrebbe nessuna speranza di ripagarlo, neppure vendendosi schiavo con tutta la sua famiglia.
Consistente, ma irrisoria rispetto a questa, è la somma che un altro servo deve a lui, cento denari equivalenti a cento giornate di lavoro, qualcosa come 3.000 euro. Ma il servo graziato non vuole a sua volta graziare, non ha imparato la misericordia dal Signore. Suscita, perciò, la sua ira: sconterà tutta intera la sua pena. La misericordia di Dio fonda la misericordia dell’uomo verso il prossimo, la rende possibile e la esige.