Il Deuteronomio è formato da una serie di grandi discorsi di Mosè. Il primo discorso (Dt 1-4) è costituito innanzi tutto da un Prologo storico in cui Mosè ricapitola le vicende di Israele dal Sinai alle steppe di Moab (capitolo 1: Dall’Oreb a Qadesh-Barnea).
Dopo aver rievocato (vv. 6-18) l’istituzione dei giudici (narrata in Es 18,13-26 secondo la versione elohista con elementi jahvisti, ed in Num 11,16-17.24-30 secondo la versione elohista combinata con la fonte P), Mosè narra l’arrivo a Qadesh-Barnea, nel Negheb, all’estremo sud del territorio di Israele. La Terra Promessa è ormai a portata di mano, ma…
La generazione vecchia: pretesa di garanzie umane
Qui, il popolo riceve l’ordine di “salire” per prendere possesso della terra degli Amorrei (vv. 19-21), ma chiede di esplorare prima quella terra mediante 12 uomini (uno per tribù): apparentemente per informarsi sulla strada da percorrere (v. 22), ma in realtà per chiedere garanzie umane.
La terra è “buona”, ma il compito appare troppo difficile (v. 28), come apparve troppo difficile rinunciare a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male: appare preferibile agire di testa propria. Opponendosi a Dio, il popolo crede di salvare la propria vita.«Il Signore ci odia, per questo ci ha fatto uscire dal paese d’Egitto per darci in mano agli Amorrei e per distruggerci» (cfr. Gen. 3,4: “Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”).
Una generazione nuova senza pretesa di garanzie
La S. Scrittura chiama mormorazione (ragan = mormorare) questa denigrazione di Dio e del suo operato. Per Mosè Dio ha portato il popolo nel deserto come un uomo porta il proprio figlio (v. 31), ma questa stessa generazione che Dio ha portato rifiuta di credere al progetto di Dio. «Gli adulti, che hanno preteso sapere cosa fosse bene per loro, saranno esclusi dal dono, i bambini invece che non sanno distinguere tra bene e male passeranno il Giordano» (Bovati, Il libro del Deuteronomio: 1-11, Città Nuova, Roma 1994, p. 43). Dio rimane fedele alla sua promessa malgrado la ribellione dell’uomo: fa entrare nella terra promessa Caleb e Giosuè che sono rimasti fedeli, non Mosè perché misteriosamente anch’egli è rimasto coinvolto nell’ira del Signore contro il popolo; mistero della grazia di Dio: vi entreranno, senza merito, i bambini, una nuova generazione che seguirà la parola di Mosè e la guida di Giosuè. «È necessaria come una seconda nascita, si deve tornare bambini, perché sia reso possibile l’incontro tra la potente volontà di Dio e il desiderio docile dell’uomo» (Ibid., p. 44).
La facile cancellazione della colpa («Abbiamo peccato contro il Signore», v. 41), la volontà di riparare da soli allo sbaglio senza attendere la risposta di Dio, è solo presunzione e non conversione, in nome di una propria decisione. «La conversione è docilità a un dono, non pretesa di conquistarlo» (BOVATI, Ibid., p. 45).