
L’oggi della salvezza si manifesta anche nell’episodio della Presentazione al tempio. Gesù è stato circonciso all’ottavo giorno di vita, e gli è stato imposto il nome indicato dall’angelo: “Il Signore ha salvato”. Si tratta di un rito familiare, la cui memoria liturgica viene celebrata l’ottavo giorno di Natale, cioè il primo gennaio. Adesso, dopo 40 giorni dalla nascita, il Bambino, in quanto primogenito, viene portato al tempio per il rito del riscatto. Ciò in adempimento della Legge di Mosè secondo cui ogni primogenito appartiene a Dio e deve essere riscattato con un sacrificio. Allo stesso tempo, la puerpera si purifica uscendo dal periodo di impurità (solo rituale, non morale!) dovuta all’essere divenuta madre. L’intoccabilità della puerpera era, di fatto, una forma di rispetto per una condizione di fragilità fisica. Si potrebbe considerare una sorte di anticipazione delle moderne leggi di tutela della maternità!
Giuseppe e Maria portano al tempio l’offerta prescritta per i poveri, manifestando così la loro condizione di disagio economico. Così Gesù, primizia dell’umanità, viene offerto a Dio, riscattato e restituito all’uomo, perché viva in pienezza la vita umana e sia salvezza di tutti. Lo mette in evidenza la coppia mistica che attende la consolazione di Israele e che può finalmente andare in pace, avendola incontrata.
La Presentazione al tempio e una coppia mistica: Simeone ed Anna
Il vecchio Simeone (non a caso, il nome significa “Egli ha ascoltato”) prende in braccio il bambino, salvezza per tutti i popoli e gloria di Israele (Lc 2,25-35: è il Nunc Dimittis che viene recitato la sera a Compieta). La profetessa Anna (“Egli ha fatto grazia”) da parte sua loda il Signore e parla del Bambino a coloro che aspettano la redenzione di Gerusalemme (2,36-38). Non per niente gli 84 anni corrispondono ad un multiplo di sette, dodici volte sette, doppia pienezza: il numero della totalità del popolo, 12, moltiplicato per il numero della compiutezza: una vita che viene a compimento nella totale consacrazione a Dio meritando di vedere l’adempimento delle promesse.
Quella di Anna è una solitudine votata a Dio con un atto di rinuncia che prelude alla vocazione al celibato o alla verginità consacrata. Senza pensare che la donna potesse materialmente “abitare” nel tempio, possiamo spiegare l’espressione con una sua frequentazione assidua che non si spingeva comunque oltre l’atrio delle donne: il suo è piuttosto un legame interiore con il tempio, quale luogo dello spirito in cui notte e giorno la profetessa serve Dio con la preghiera e la penitenza senza mai separarsene. Tuttavia l’appellativo “profetessa” fa pensare anche ad un suo legame profondo con la comunità degli uomini, della quale ella è interprete e coscientizzatrice.
Anche qui una velatura di sofferenza: nelle parole di Simeone Gesù sarà segno di contraddizione, attirerà amore ma anche odio, tanto che il dolore che ne verrà sarà una spada che trafiggerà l’anima di Maria. Inizia tra madre e figlio un cammino comune, anche se distinto nello spazio, tuttavia vissuto con lo stesso cuore.