Festa della Presentazione di Gesù al tempio (2 febbraio)

Giotto, Presentazione di Gesù al tempio. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=15884073

La festa della Presentazione di Gesù al tempio è ricchissima di significati. È una festa antica, che prende forma liturgica sin dal IV secolo in Oriente, dal VII in Occidente, dove viene popolarmente chiamata Candelora perché in essa si benedicono le candele simbolo di Gesù luce delle genti.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,22-40)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore –  come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore.
Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo 
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima -, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori».
C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Il Primogenito dell’Umanità

Come ogni primogenito ebreo secondo la Legge, Gesù, primizia dell’umanità, viene offerto a Dio, riscattato e restituito all’uomo, perché viva in pienezza la vita umana e sia salvezza di tutti. Quindi è fondamentalmente sua quella consacrazione a Dio che riporta l’uomo alla vita, prototipo di ogni vita di consacrazione. Ma la sua consacrazione non è l’unica che viene posta in evidenza.

Consacrata è anche la coppia sponsale Maria – Giuseppe, votata all’educazione e alla custodia del Figlio dell’Altissimo. Consacrata, in qualche modo, è anche la coppia solo mistica che attende la consolazione di Israele e che può finalmente andare in pace, avendola incontrata.

Il vecchio Simeone (non a caso, “Egli ha ascoltato”) prende in braccio il bambino, salvezza per tutti i popoli e gloria di Israele (Lc 2,25-35). È un uomo che ha consacrato la sua vita nell’attesa del Messia, e finalmente i suoi occhi lo vedono, le sue labbra lo proclamano luce di Dio per le genti e gloria del popolo di Israele. La sua missione profetica è compiuta.

Ma forse è ancor più incisiva la figura della profetessa Anna (“Egli ha fatto grazia”) che loda il Signore e parla del Bambino a coloro che aspettano la redenzione di Gerusalemme (2,36-38).

Abitare il Tempio

Quella di Anna è una solitudine votata a Dio con un atto di rinuncia che prelude alla vocazione al celibato o alla verginità consacrata. In tal senso, non importa che una donna non potesse fisicamente “abitare” nel tempio; possiamo spiegare l’espressione (Non si allontanava mai dal tempio) con una sua frequentazione assidua che non si spingeva comunque oltre l’Atrio delle donne. Il suo è piuttosto un legame interiore con il tempio, quale luogo dello spirito in cui notte e giorno la profetessa serve Dio con la preghiera e la penitenza senza mai separarsene.

Tuttavia l’appellativo “profetessa” fa pensare anche ad un suo legame profondo con la comunità degli uomini, della quale ella è interprete e mediatrice presso Dio. Non per niente i suoi 84 anni corrispondono ad un multiplo di sette, dodici volte sette, doppia pienezza: il numero della totalità del popolo, 12, moltiplicato per il numero della compiutezza: una vita che viene a compimento nella totale consacrazione a Dio ottenendo di vedere l’adempimento delle promesse.

Primogenito tra molti fratelli

Luca, l’evangelista che ha messo in luce la volontà di verginità perpetua da parte di Maria al momento dell’Annunciazione, sembrerebbe contraddirsi quando al momento della Natività afferma che Maria ha partorito il suo primogenito, affermazione che, nella nostra cultura, implicherebbe che Maria abbia avuto poi altri figli, i cosiddetti “fratelli del Signore” menzionati più volte nel Nuovo Testamento.

Ma la parola primogenito, bekhor, non ha in ebraico lo stesso significato che ha per noi. Non si riferisce obbligatoriamente ad un figlio più grande di altri fratelli, ma sottolinea semplicemente il fatto che è nato l’erede, la primizia della famiglia, il bambino che secondo la legge di Mosè appartiene al Signore e che deve essere riscattato con un rito particolare di presentazione al tempio, ci siano o no in futuro altri figli dopo di lui. È, insomma, il figlio che non è preceduto da altri figli, non il figlio che è seguito da fratelli.

Questo a livello biologico; perché Gesù di fratelli minori ne ha, e tanti! È così che il figlio Unigenito di Dio e di Maria diviene primogenito di molti fratelli, dei tanti figli di Eva, perché “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16; cfr. Rm 8,32). Sua è la luce che in questa festa ci è ricordata e donata.

Dai «Discorsi» di san Sofronio, vescovo

(Disc. 3, sull’«Hypapante» 6,7)

La luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (cfr. Gv 1,9) è venuta. Tutti dunque, o fratelli, siamone illuminati, tutti brilliamo. Nessuno resti escluso da questo splendore, nessuno si ostini a rimanere immerso nel buio. Ma avanziamo tutti raggianti e illuminati verso di lui. Riceviamo esultanti nell’animo, col vecchio Simeone, la luce sfolgorante ed eterna. Innalziamo canti di ringraziamento al Padre della luce, che mandò la luce vera, e dissipò ogni tenebra, e rese noi tutti luminosi. La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto il Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente.
Anche noi, abbracciando con la fede il Cristo che viene da Betlemme, divenimmo da pagani popolo di Dio. Egli, infatti, è la salvezza di Dio Padre. Vedemmo con gli occhi il Dio fatto carne. E proprio per aver visto il Dio presente fra noi ed averlo accolto con le braccia dello spirito, ci chiamiamo nuovo Israele. Noi onoriamo questa presenza nelle celebrazioni anniversarie, né sarà ormai possibile dimenticarcene.