Piccola storia di Populonia

Tracciamo una piccola storia di Populonia, ma soprattutto la presentiamo attraverso le spettacolari foto di Marco Novara.

Populonia: le origini e l’età più antica

La storia di Populonia comincia come città stato della dodecapoli etrusca. Il suo nome era «Fufluna». Centro di lavorazione metallurgica delle risorse minerarie provenienti dal campigliese e dall’isola d’Elba, porto importante, visse il suo periodo di maggiore fioritura intorno al VI secolo avanti Cristo: allora aveva un’acropoli, quartieri industriali, commerciali e portuali sul golfo di Baratti, una necropoli. Si ipotizzano migliaia di abitanti. Passata sotto il dominio romano, Populonia continuò ad avere una certa autonomia: era città alleata di Roma e batteva moneta propria.

Il declino

Il declino sembra databile ai tempi della rivalità tra Mario e Silla nel I secolo a.C.: Populonia, schieratasi con il primo, venne distrutta dal secondo per punizione. Altra ipotesi avanzata l’evidenza documentale di giureconsulti romani che proibiscono la fabbricazione di ferro alle città italiche, probabilmente per impedire che luoghi troppo vicini a Roma potessero fabbricarsi armi e poi organizzare insurrezioni.

Radiografia della crisi del primo secolo lo storiografo Strabone, che attesta una città in decadenza con l’acropoli sostanzialmente ormai abbandonata in cui rimanevano utilizzati solo i templi. Più viva la città sul golfo di Baratti, in basso, dedita a commerci marittimi. Di epoca romana la villa di Poggio al Molino, sulla foce dell’antico lago di Rimigliano prosciugato agli inizi del XX secolo, che svolse nel tempo varie funzioni, da una primitiva di fortezza a guardia dalle invasioni piratesche nel II sec a.C., a fattoria destinata alla produzione di «garum», la tipica salsa di pesce romana, dal I sec. a.C., fino a vera e propria villa dal II sec. d.C.

Con il declino dell’Impero romano anche Populonia entra sempre più in stato di progressivo abbandono. Claudio Rutilio Namaziano, senatore romano della Gallia, nel suo poema «De reditu suo» che descrive il suo ritorno alla terra natia, agli inizi del V secolo descrive Populonia come una città morente, paragonandone la parabola di vita a quella umana.

La diocesi di Populonia

La città, all’inizio del Medioevo, per quanto ormai ridotta ad un piccolo borgo abitato da poche persone dedite a piccoli commerci, alla pesca e all’agricoltura solo nella zona di Baratti, sul mare, continuava ad avere una sua importanza strategica, anche se era periodicamente flagellata dai pirati dal mare e dalle invasioni barbariche dall’entroterra. Riusciva infatti a controllare un ampio territorio in quanto vicina alla via consolare Aurelia. Fu centro d’irradiazione del cristianesimo nella zona dell’entroterra, probabilmente partendo dalle esperienze monastiche ed eremitiche nell’arcipelago.

Primo vescovo accertato a Populonia Asellus, agli inizi del VI secolo; secondo, sempre nel VI secolo, San Cerbone, che tuttavia dovette rifugiarsi sull’isola d’Elba, dove morì nel 575, per l’invasione longobarda. A seguito dell’arrivo di questi ultimi, la diocesi di Populonia cadde in un lungo periodo di crisi. Le attestazioni documentarie sulla successione vescovile sono frammentarie. Si sa che Gregorio I pose Populonia sotto la cura del vescovo di Roselle, Balbino. Sappiamo di un vescovo Mariniano che partecipò ad un sinodo romano indetto da papa Martino I nel 649; di un vescovo Sereno nel 680 e di un Pietro che partecipò ad un sinodo indetto da papa Stefano II nel 769.

L’abbandono

Con i longobardi, in questi secoli privi di significative attestazioni documentarie, Populonia cade come territorio sotto l’egemonia di Lucca, il cui vescovo aveva importanti patrimoni proprio nelle terre della diocesi. Nell’809, in piena epoca carolingia, pirati «orobiotaie», greci delle montagne, rasero al suolo Populonia, distruggendo definitivamente il poco abitato che era rimasto. Abbiamo certezza dell’evento perché ne è traccia documentale negli «Annales Regni francorum». Non ebbe però il destino di Vetulonia, altra città etrusca di cui si perse perfino il ricordo dell’ubicazione fino ai ritrovamenti ottocenteschi di Isidoro Falchi. Populonia cessò di essere abitata fino a dopo il 1000 e la sede vescovile si trasferì in località «Cornino», in Val di Cornia, nei pressi di Suvereto, area posta sotto la protezione degli Aldobrandeschi.

Il trasferimento della sede vescovile

Una prima attestazione documentale dell’avvenuto trasferimento in Val di Cornia si ha nell’862, con l’appellativo «corninus» dato a quel vescovo Paolo che sottoscrisse gli atti del sinodo indetto da Niccolò I. La permanenza dovette durarvi fino al nuovo millennio, quando nel 1062 una lettera di Alessandro II indica come «massano» il vescovo Tegrimo, chiamato «populoniensis» fino al sinodo di Niccolò II negli anni 1058 – 1061.

La motivazione del nuovo trasferimento sembra da ricercarsi nella difficoltà delle relazioni tra autorità religiose ed Aldobrandeschi, mentre la scelta di Monteregio, la futura Massa Marittima, pare avvenisse d’intesa col pontefice Alessandro II (di origine lucchese, con molti possedimenti nella zona ed in relazione con i signori di Staggia, dalla cui famiglia proveniva Tegrimo): si trattava di area al centro di giacimenti minerari ed era possedimento fiscale, come si deduce dal toponimo «Monteregio». Il vescovo provvide all’incastellamento del luogo, che il papa costituì «signoria vescovile», uno dei rarissimi esempi in Italia.

La fase pisana

Per ritrovare tracce antropiche a Populonia, invece, dobbiamo aspettare il nuovo millennio con la repubblica marinara di Pisa che, nell’XI secolo, costituì un dominio che da Bocca d’Arno si estendeva su tutto il litorale toscano. Pisa organizzò un sistema difensivo tramite torri costiere in collegamento visivo tra loro che permetteva di segnalare tempestivamente i pericoli provenienti dal mare. Una di queste fu posizionata proprio a Populonia con tutte le caratteristiche richieste dalla funzione cui era preposta, compresa la porta di accesso situata molto in alto, in modo che in caso di attacco si potesse ritirare la scala a pioli per impedirne l’ingresso ai nemici.

Gli Appiani e l’incastellamento di Populonia

Populonia visse una vera e propria nuova fioritura con la signoria piombinese degli Appiani. Tra i vari interventi che promossero nel nuovo Stato ci fu la fortificazione dei confini. Non si trattò di questione di prestigio od ornamentale: il rischio di incursioni rimaneva veramente sempre alto. Abbiamo testimonianza del pirata levantino «Prendibene», che nel 1465 rapì alcuni uomini che lavoravano nel porto di Baratti, e sappiamo dello sbarco del pirata Dragut nel 1555 a Baratti con una flotta di galee, con l’intenzione di prendersi addirittura Populonia. Ancora, ci sono attestazioni di pirati turchi che nel 1582 rapirono quindici boscaioli che lavoravano nel bosco di Biserno, nei pressi dell’attuale San Vincenzo.

Verso la metà del Quattrocento gli Appiani eressero dunque la rocca circolare intorno all’antica torre pisana, utilizzando anche materiale di risulta degli antichi templi dell’acropoli e provvedendo successivamente all’incastellamento di tutto il colle. È bene sapere che l’attuale borgo di Populonia, tecnicamente parlando, è in realtà un vero e proprio castello. Populonia fu costituita dagli Appiani «terra nuova», cioè, come Terranuova Bracciolini o Empoli in Toscana, «terra di ripopolamento». Per favorire l’insediamento gli Appiani concessero vantaggi ed esenzioni a chi venisse ad abitarvi. I primi residenti stabili furono corsi settentrionali, provenienti dai paesi del «dito» della Corsica, in fuga dal duro dominio genovese.

Lo stemma del drago d’Appiano

Sopra la porta di accesso al castello è incastonato nelle mura lo stemma degli Appiani, opera quattrocentesca dello scultore Andrea Guardi – molto attivo a Piombino alla corte di Jacopo III -, riproducente un drago sopra uno scudo a losanghe, in origine argento e rosso, i colori degli Appiani. Il drago sostituì lo stemma precedente, raffigurante un più modesto asino seduto con l’ironico motto: «Asino sono e con il mio sapere gli altri stan ritti ed io sto a sedere». Questo primo stemma fu adottato, secondo la leggenda, dopo che Jacopo I era stato schiaffeggiato in pieno centro a Pisa da Pietro Gambacorti, signore della città, con le parole «Va’ là che sei un gran asino!». Fu poi proprio Iacopo a prendere il posto del Gambacorti nel governo di Pisa quando quest’ultimo, poco dopo lo scontro per strada, morì assassinato.

Populonia tra i Borghi più belli d’Italia

L’antica città etrusca è ufficialmente, dal 31 luglio 2020, uno dei Borghi più belli d’Italia. Populonia è inclusa nella sezione speciale «ospiti d’onore» dedicata alle frazioni, ai centri storici o a località particolari che ricadono in comuni che superano la soglia dei 15mila abitanti. «I Borghi più belli d’Italia è un’associazione autorevole e rappresenta una garanzia per tutti quei turisti che si affidano alla loro classifica per scoprire località uniche nel loro genere». Il castello di Populonia è sede anche del Museo etrusco di Populonia Collezione Gasparri, un piccolo museo che grazie agli elevati standard qualitativi raggiunti, nel 2019, ha avuto dalla Regione Toscana il riconoscimento di museo di Rilevanza regionale.