«Polvere di luna» di Arthur C. Clarke anticipò la tragedia del Titan

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La fantascienza ha già detto tutto. Non parlo delle innovazioni tecnologiche, anche se a partire da quelle di Jules Verne le anticipazioni fantascientifiche della scienza e della tecnologia si sono in buona parte realizzate (si pensi anche solo al Nautilus). Sto parlando, invece, delle anticipazioni sociologiche degli anni Cinquanta, veramente profetiche; ma anche dell’ampliamento delle possibilità umane grazie ai progressi della tecnica, con quel che segue. Un romanzo che in questi giorni si è quasi avverato, disgraziatamente non alla lettera, è Polvere di luna (A Fall of Moondust: 1961), del celebre scrittore Arthur C. Clarke, uno dei migliori autori di fantascienza. Quando Carlo Fruttero lo presentò al pubblico italiano come «il Titanic del futuro», non sapeva quanto vicino alla realtà sarebbe arrivato.

«Polvere di luna»: battelli per turisti

Se inizio a narrarvi la trama, capirete presto perché ne parlo proprio in questo momento. L’uomo nel XXI secolo (ma ci siamo già!) ha conquistato la luna, constatando che il satellite è arido, e che i presunti mari sono in realtà vastissimi avvallamenti pieni di polvere, una polvere sottile che scorre su se stessa come l’acqua. Delusi? Macché, ecco il colpo di genio: trasformare questa squallida realtà in attrazione turistica. Sissignori, il gruppo economico che gestisce la colonia lunare si inventa i battelli da polvere, battelli da crociera che conducono i turisti in un suggestivo tour lunare al chiaro di Terra. Naturalmente il tour esplorativo costa moltissimo, e attira persone abbienti che hanno i più svariati motivi, non tutti leciti, per comprarne il biglietto. Biglietto che però rischia di essere di sola andata, perché il battello Selene, ad un certo punto, sprofonda nella polvere che lo inghiotte, se ne perde ogni traccia, l’aria sta per finire, il surriscaldamento è un altro pericolo per la tenuta dello scafo… e che dire della situazione psicologica degli sventurati turisti, e di tecnici e scienziati che ingaggiano una corsa contro il tempo per cercare di salvarli?

La tragedia del Titan

Relitto del Titanic, la prua. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18643198

Capite adesso perché tiro in ballo questo romanzo? È evidente l’analogia con la situazione della scomparsa del batiscafo Titan in esplorazione del relitto del Titanic, e l’apprensione per la sorte delle cinque persone a bordo, che ci hanno tenuto con l’animo sospeso per giorni, fino alla tragica notizia dell’implosione. Tutto questo ci interroga: qual è il senso di una simile avventura? È etico spendere un patrimonio per questa forma eccentrica di turismo di lusso? È giusto lo spiegamento di forze messo in campo nel tentativo di salvataggio, a fronte del dramma dei migranti che naufragano nel Mediterraneo tra l’indifferenza quasi generale?

Queste domande non vogliono essere solo retoriche, perché trovano un correttivo nel bisogno dell’uomo di sfidare la natura, di cercare, di superare il limite… di arrivare «là dove nessun uomo è mai giunto prima», come recita la sigla di Star Trek. È la sindrome di Ulisse, l’attrattiva dell’ignoto, il desiderio di conoscere sempre di più. Appartiene profondamente all’uomo. E la sorte di Ulisse, secondo l’alta fantasia di Dante, è la stessa del Titan (Inferno, XXVI).

«Là dove nessun uomo è mai giunto prima» o «il folle volo»?

Il naufragio della nave di Ulisse. Anonimo fiorentino, 1390-1400 ca. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1523476

«”O frati”, dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia 114
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente. 117
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”. 120
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti; 123
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino. 126
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo. 129
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ‘ntrati eravam ne l’alto passo, 132
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avëa alcuna. 135
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque
e percosse del legno il primo canto. 138
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque, 141
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».