Politicamente corretto

Noi inclusivo (a sinistra) ed esclusivo (a destra). http://commons.wikimedia.org/wiki/File:Nous_Incl_excl.png?uselang=fr, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=16042585

Sapete, ho letto che negli Usa non si può più dire avere carta bianca… perché è razzista: sembra implicare che il bianco sia meglio del nero, anche se implica semplicemente che su un foglio di carta interamente bianco si è liberi di scrivere quello che si vuole. Provate a fare altrettanto su un foglio nero o su una pagina già scritta da altri… Ma adesso sembra d’obbligo usare il politicamente corretto.

Politicamente corretto

Così, non si può essere politicamente corretti – questo vale in Italia – se si usano le parole cieco, sordo, handicappato, badante, barbone. Si dirà: non udente; non vedente; disabile, o meglio diversamente abile; assistente familiare; infine, senzatetto. Non si dirà povero, ma meno abbiente o persona a basso reddito.

E guardiamoci dal dire immigrato, clandestino, profugo, sfollato, rifugiato. Il politicamente corretto per tutte queste parole è unicamente migrante. Questo, al di là del fatto che migrante è voce verbale che descrive l’azione mentre si compie verso una terra straniera, e immigrato è voce verbale che descrive l’azione già avvenuta in terra straniera, e quindi sono, di fatto, equivalenti.

Già era stata bandita la parola, peraltro assolutamente non offensiva in italiano, negro (nero, ma negli Usa si deve dire afroamericano); scoraggiato anche l’uso dell’espressione di colore perché discriminante. Eliminata, prima ancora, la parola spazzino (operatore ecologico), come bidello (collaboratore scolastico; cosa ci sia di offensivo nel definirlo bidello proprio non l’ho capito), becchino (operatore cimiteriale; questo, magari, nell’immaginario popolare si capisce un po’ di più), donna di servizio o domestica (collaboratrice familiare).

Il suggerimento netto dell’Accademia della Crusca è di evitare gli isterismi: come quella di un tale che un giorno – il racconto è autentico – in piscina sentì un ragazzino che urlava «Negro, negro». Gli si avvicinò indignato per rimproverarlo, e si sentì rispondere: «Ma sto chiamando il mio amico: si chiama Negro di cognome». Tuttavia, negro resta indubbiamente un termine problematico: occorre tenerne conto

(https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/nero-negro-e-di-colore/734).

Un articolo

Riporto in proposito parte di un articolo del prof.  Rosario Coluccia:

Ci sono esagerazioni, lo sforzo di essere politicamente corretti e di non offendere a volte provoca effetti ridicoli. Non arriveremo mai al punto di definire «verticalmente svantaggiato» un individuo basso, «non chiomato» un uomo senza capelli o «non masticante» chi abbia perso i denti! Dobbiamo accettare la realtà per quella che è, senza insultare e senza irridere, ma anche senza buonismi dolciastri.

Io credo che definire «netturbino» o anche «spazzino» una persona che si guadagna con dignità da vivere pulendo le strade non sia insultante, preferire «operatore ecologico» non cambia la sostanza delle cose. Io credo che «cieco» non sia una parola offensiva, definire una persona «non vedente» non migliora la qualità della sua vita: perché la qualità della vita migliori dovremmo organizzare diversamente la viabilità e l’accesso agli edifici, rendere i marciapiedi percorribili e non ingombrarli con auto parcheggiate di traverso, istituire semafori sonori affinché il cieco possa accorgersi del passaggio dal rosso al verde, favorire anche economicamente l’accesso a libri in braille e a computer usabili con facilità da chi non ha il bene della vista, ecc.

Rosario Coluccia sul sito dell’Accademia della Crusca https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/le-parole-della-discriminazione/7400

Un problema di genere: guerra all’androcentrismo!

Poi viene la questione dei generi. Adesso vige ovunque la dottrina del «misgendering»: proibito chiamare qualcuno con un genere che non sente a sé confacente, un maschile detto di qualcuno (ma posso dire qualcuno? O devo dire qualcuno/a oppure qualcun*) che è o si sente una donna, o viceversa; un plurale maschile (come Cari colleghi) riferito a un gruppo misto. Non si potrà dire «Ciao ragazzi» se nel gruppo c’è un (o una?) transgender. Secondo le versioni demenziali diffuse nelle università americane, i professori dovrebbero chiedere ad ogni singol* alliev* come preferisce essere indicat*: he, she, zee, they al singolare, ecc. Proprio in questi giorni, un’attrice che ha vinto l’Oscar come non protagonista, Jamie Lee Curtis, ha spiegato che definisce l’Oscar con pronomi neutri («they» / «them» usati come singolare) per sostenere la figlia transgender.

Il politicamente corretto, quindi, consiste nell’usare parole neutre in modo che ognun* ci si possa riconoscere senza sentirsi esclus*. Anzi, d’ora in avanti un elettricist*, se non vuole essere mess* sotto processo, dovrà smettere di parlare di connettori in termini di maschio e femmina, sostituendo questi termini con spina e presa.

Desinenze impazzite

Una conferenza: come riferirsi a un gruppo maschile e femminile, per essere inclusivi? Foto di Luca Giarelli – Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4918933

Appunto, per evitare problemi, anche in Italia, adesso si usano come desinenza l’asterisco * («car* collegh*»), la chiocciola («carissim@ student@»), la vocale «u» («gentilu ascoltatoru»: ma non va bene, perché in molti dialetti la desinenza –u è maschile), o lo shewa (ə; al plurale, 3) («benvenutə» oppure «benvenut3 in Italia»). Scusate, sembra di essere tornati al Lup Mann Gran Farabutt di Fantozzi! Tutto questo allo scopo di essere inclusivi, ovvero non escludere od offendere nessuno.

Il fatto che simili parole sarebbero impronunciabili potrebbe far propendere per la doppia desinenza, maschile barra femminile: carissimi/e tutti/e… Io però pretenderei che tutto il discorso proseguisse così. Avremmo ad esempio:

«Carissimi e carissime, siamo lieti e liete di avervi accolti e accolte in questa circostanza perché desideriamo che vi sentiate tutti e tutte quanti e quante giunti e giunte in mezzo ad amici ed amiche…».

Sdoppiamento integrale e contratto

Questo sarebbe lo sdoppiamento integrale che piace tanto a chi porta avanti la necessità di un linguaggio inclusivo. Invece, lo sdoppiamento contratto, quello con la barra, è giudicato, da queste stesse persone, orripilante, ad esempio sul sito https://antonellagatto.it/linguaggio-inclusivo-scrittura-inclusiva/. Sito che poi propone di usare piuttosto un nome collettivo neutro come, invece di professori / professoresse, «il corpo docente». Però io mi chiedo: ma in questo modo non siamo tornati ad un maschile («corpo»), visto che in italiano il neutro non esiste?

E come la mettiamo con coloro che non si riconoscono, almeno in quel momento, né un’identità maschile né una femminile? Un suggerimento è quello di trasformare frasi come «Gli insegnanti tengono il corso di formazione ogni martedì» in «Il corso di formazione è tenuto (oppure: «si tiene»; benedetto il si passivante) ogni martedì».

(Continua)