Le foto, ove non indicato diversamente, sono tutte di Marco Novara.
Piombino, bisogna riconoscerlo, è una città ricca di storia, anche se pochi, compresi i suoi abitanti, se lo ricordano. Capitale fin dal 1399 della signoria, poi principato, degli Appiani, aveva già sostituito da secoli nella sua importanza strategica l’antico insediamento di Populonia, ormai in declino irreversibile. Sotto gli Appiani e i loro successori Boncompagni e Ludovisi, lo stato di Piombino mantenne la propria autonomia nei secoli. Nell’epoca napoleonica passò con Lucca sotto la sovranità di Elisa Baciocchi Bonaparte sorella di Napoleone. Con la Restaurazione seguì la stessa sorte di Lucca confluendo nel Granducato di Toscana, e successivamente nel Regno d’Italia.
Poi venne il dominio della siderurgia, che in pochi decenni fra Ottocento e Novecento ingrandì enormemente la cittadina (neppure 3.000 abitanti nel 1861). L’industria siderurgica trasformò e devastò in parte l’ambiente e soffocò le altre vocazioni cittadine ma lasciò intatte molte bellezze, storiche, artistiche, naturali.
L’emblema più caratteristico delle bellezze della città moderna è Piazza Giovanni Bovio, unica in Italia. Situata proprio sulla punta del promontorio di Piombino, è costituita da una vasta terrazza peninsulare protesa sul mare, che la lambisce su tre lati.
La sua costruzione fu realizzata negli anni Venti del Novecento, demolendo l’antica Rocchetta che ne costituiva la parte terminale. La Rocchetta era una fortificazione medievale da cui si dipartivano le mura urbane. Ne parleremo più sotto.
Piazza Bovio. Le trasformazioni dello spazio
Fino ai primi del Novecento lo spazio occupato dall’attuale piazza Bovio era cinto dalle mura del Bagno penale. Con l’abbattimento delle mura e di alcune vecchie case circostanti a strapiombo sul mare, la prima parte dello spiazzo viene adibito a piazza civica. Nella parte terminale ancora incombono i resti dell’antica Rocchetta. Questa sarà demolita completamente negli anni Venti. Nella seconda metà degli anni Trenta, dopo la costruzione del faro, anche questa parte sarà inglobata nella piazza e perimetrata da panchine.
La terrazza è modellata seguendo la conformazione della scogliera ed assume la caratteristica forma dello «stivale», particolarità unica fra tutte le città italiane.
Da qui, la vista può spaziare sull’Arcipelago toscano fino alla Corsica e Giannutri. Vicinissima è l’isola d’Elba, i due isolotti più prossimi sono Cerboli e Palmaiola, ma sono visibili anche il Giglio, Montecristo e Capraia. All’estremità della terrazza si trova il faro della Rocchetta. Il piccolo edificio è una torretta in stile neomedievale, a sezione quadrata con arco acuto che sovrasta il portone d’ingresso. Pure a sesto acuto sono gli archetti che sorreggono la merlatura sommitale.
E a proposito di piazza Bovio, che vediamo sullo sfondo…
Questa foto è stata scattata da Milco Tonin, uno dei Tre Delfini di Piombino innamorati del mare, proprio sullo sfondo di piazza Bovio. Padre Sergio Persici ha passato a Piombino, alla parrocchia dell’Immacolata, il miglior ventennio della sua giovinezza, anni Settanta – Ottanta e primi Novanta, quando una intera generazione cresceva nel segno di valori umani e sociali in cui tutti si riconoscevano, e anche chi non andava in chiesa era fiero dell’amicizia di persone come padre Sergio e padre Fiorenzo che dedicavano la loro vita all’incontro e al dialogo. Vedere QUI.
La Rocchetta
La Rocchetta, datata ai secolo X-XI, è stata la prima fortificazione piombinese. Mauro Carrara riferisce che la prima testimonianza è alla pag. 11r del manoscritto seicentesco “Memorie le più antiche che si sono potute ricavare dalla città di Piombino” di Pier Domenico Corsi:
«La quale si discorre esser più antica dell’erezione di Piombino, mantenendosi in oggi un sussurro per tanta serie d’anni inveterata, che in quella bella fabbrica della Rocchetta con tant’ingegno e maestria fatta circolarmente piantata sopra il dirupo scoglio, come presentemente anco si scorge vi si fosse fortificato un certo Regolo, e che avesse imposto un tal’aggravio a tutte l’imbarcazioni che traghettavano il canale, e vivesse da par suo colla riscossione di tal dazio, quale si è preservato con tal’esempio fino a tempi d’oggi. Ed è certo che le muraglie di si forte Rocca da per se stesse denotano l’anteriorità a qualsivoglia altra di Piombino…».
Questo Regolo risulta aver fatto parte degli Alberti o Attalberti, ramo collaterale di quella famiglia che assumerà il nome Della Gherardesca.
La demolizione
Purtroppo la Rocchetta, chiamata nelle carte antiche anche Pane di Sapone a causa della sua forma, non esiste più. Fu infatti demolita, in due fasi distinte, e soltanto dalle foto più vecchie la possiamo vedere per quanto era rimasto, cioè metà dell’impianto originario. Ma tra i disegni antichi che la raffigurano spicca lo schizzo di Leonardo da Vinci (1502, Manoscritto L, f. 81r, Institut National de France, Parigi), che ne riporta anche le misure: larghezza 8 braccia, lunghezza 80 braccia. Il braccio equivaleva a metri 0,5836, quindi il forte misurava m. 4,6688 di larghezza (un po’ angusto, mi pare) e m. 46,688 di lunghezza.
Il 23 novembre 1871 se ne inizia la demolizione, ad opera dei detenuti del Bagno penale, non ostante le proteste del sindaco Azzolino Celati. La demolizione è disposta dal Ministero degli Interni, direzione generale delle carceri, al solo scopo di ricavarne materiale da costruzione. Alla lunga, il sindaco vince, i lavori si fermano, e la sotto prefettura di Volterra deve anche riconoscere e risarcire i danni apportati al Porticciolo dei Canali e al traffico marittimo.
Nel 1920 però la demolizione di quanto rimaneva della Rocchetta viene decretata dal Comune e portata a termine per costruire al suo posto un faro per le segnalazioni marittime. I materiali recuperati sono utilizzati per la costruzione di nuove vie e piazze cittadine, ma niente può ripagare la distruzione di un edificio del X-XI secolo, rimasto indenne nei secoli ad assedi e battaglie.
Fonte principale: Mauro Carrara, Piazza Bovio I, La Rocchetta, 2017, da cui sono tratte anche alcune immagini, QUI.
Luigi Baggiani – Mauro Carrara, Piazza Bovio III, 2017, QUI.
Frequentatori di Piazza Bovio
Piazza Bovio, naturalmente, è frequentata dagli uccelli marini. Nella scogliera sottostante nidificano i cormorani, animali rigorosamente ittivori che mangiano solo pesce freschissimo pescato da loro. I gabbiani invece sono animali «opportunisti», che si cibano di quel che capita più facilmente e sono disposti anche ad accettarlo e richiederlo anche dall’uomo. È il caso di Gennaro, simpatico frequentatore di piazza Bovio con la sua compagna Gennarina, secondo quanto mi è stato raccontato.
Bovio, chi era costui?
Si parla in continuazione di piazza Bovio, ma chi era costui, al quale la piazza è intitolata?
Nato a Trani nel 1837, figlio di un «carbonaro», si dedicò alla filosofia nel suo lavoro Il Verbo novello, sistema di filosofia universale (1864), per il quale fu anche scomunicato dal vescovo. Entrò in politica nel 1868 andando a far parte del movimento repubblicano, pur ritenendo le dottrine del Mazzini superate dai tempi. Svolse privatamente attività di insegnamento finché nel 1872 ottenne una cattedra di filosofia del diritto a Napoli, dovendo però anche sostenere degli esami perché non era laureato. È di quegli anni il suo Saggio critico del diritto penale, seguito da un Corso di scienza del diritto. Massone, eletto alla Camera nel 1876, fu una delle personalità di maggior spicco della Sinistra e l’oratore ufficiale nelle più importanti manifestazioni anticlericali dell’epoca. Ebbe due figli, Corso (1881: il nome voleva essere un omaggio ai corsi, italiani di Corsica assoggettati alla Francia) e Libero (1883). Morì a Napoli nel 1903.