
Mi è stato chiesto un chiarimento su un passo lucano (Lc 12,8-10): in particolare, di spiegare che cosa sia la bestemmia contro lo Spirito Santo, che viene presentata come il peccato senza possibilità di perdono. Ecco il testo:
«Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; 9 ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
10 Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato».
Una premessa
Chiariamo i termini: l’espressione Figlio dell’uomo è il modo tipico di Gesù di parlare di se stesso, sia nell’umiltà della vita presente, sia nell’abiezione della passione, sia nella gloria della resurrezione. Rimando ad altro luogo un approfondimento del tema.
Lo Spirito Santo, che nell’Antico Testamento è la forza creatrice di Dio, negli scritti del Nuovo Testamento è Persona: la terza Persona della SS. Trinità. Anche su questo mi riservo di parlare altrove. Qui dico solo che è nello Spirito Santo che avviene l’azione divina della Rivelazione.
Il contesto
Il contesto delle frasi è quello della persecuzione. Gesù sta andando a Gerusalemme verso la propria Pasqua che sarà una Pasqua di morte e resurrezione. Durante il viaggio istruisce i discepoli: dovranno essere come il Maestro, condividere il suo cammino.
Rinnegamento e riconoscimento
Un errore comune, che ci viene spontaneo, è quello di pensare che l’uomo sarà giudicato da Dio dall’esterno, come se ci fosse un’interruzione fra ciò che siamo adesso nella vita terrena e ciò che saremo in futuro nella vita eterna, mentre l’una è la realizzazione dell’altra. Ciò che viene seminato, questo è ciò che sboccerà.
Lo sviluppo di questo pensiero è lineare. Chi, nella persecuzione, davanti agli uomini, saprà confessare la sua fede in Gesù, vuol dire che è con lui in una comunione tale che la morte non la potrà spezzare; Gesù stesso lo dichiarerà davanti agli angeli.
Chi, nella persecuzione, avrà rinunciato a Gesù per salvarsi la vita, in realtà si è sottratto alla vita vera, e Gesù non potrà che prendere atto di questa sua rinuncia.
In sostanza, l’uomo si condanna da solo. La comunione con Gesù esistente al momento presente potrà solamente essere rinsaldata nella gloria del mondo futuro; la rottura di comunione nel presente è invece la premessa di una solitudine già realizzata.
Il perdono del peccato
Ma subito dopo si dice che questo peccato, commesso contro Gesù, sarà perdonato. Quindi anche il rinnegamento può conoscere pentimento e perdono. Il Signore è Dio di misericordia. Però, avverte Gesù, c’è un peccato, uno solo, che non può essere perdonato…
Il peccato senza perdono
E cosa sarà mai questo peccato, così grave che non possa essere perdonato? E come è possibile che un Dio di misericordia assoluta, come quello che Luca ci sta mostrando, si riservi un peccato da non perdonare? Sembra di essere nel mondo dell’assurdo.
Dobbiamo dapprima pensare che c’è un altro caso, nel vangelo di Luca, in cui Dio non perdona: è il caso del fariseo della parabola, che non accetta il perdono perché non ammette il peccato, mentre il pubblicano, grande peccatore, lo riconosce e chiede misericordia. Quindi: non ha il perdono chi lo rifiuta, perché Dio non costringe nessuno.
Se quindi una persona, in coscienza, crede di dover respingere la fede in Gesù Cristo Figlio di Dio, e cerca di perseguire il bene come è nelle sue possibilità, troverà il bene che cerca. Ma se quella persona, avendo davanti l’evidenza della verità, persiste nel rifiutarla, quello è un peccato che non può ricevere perdono perché non lo vuole.
Ma cosa c’entra lo Spirito Santo?
La bestemmia contro lo Spirito Santo
Non possiamo certo intendere questa “bestemmia” come una imprecazione all’indirizzo della Terza Persona della SS. Trinità: oltre tutto, nessuno la conosce abbastanza da poterla bestemmiare… I bestemmiatori se la prendono col Padre, col Figlio, con la Madonna e con tutti i Santi, ma neppure ai più fantasiosi viene in mente di poter bestemmiare lo Spirito Santo a parole. Il senso è tutt’altro.
Lo Spirito Santo è il divino Rivelatore, il Paraclito, Colui che rende palese la realtà nella sua Verità. Negare l’evidenza, questo è bestemmiare lo Spirito Santo. Avere la disonestà mentale di riconoscere la verità e volerla negare. Nel caso specifico, si può non riconoscere la Signoria di Gesù perché non abbiamo né esperienza né luce sufficiente per farlo (a volte, sono proprio i cristiani che celano agli altri, con i loro cattivi comportamenti, la Verità); per questo c’è perdono. Ma se la Signoria di Gesù è manifesta per le opere che Gesù compie, negarla è bestemmiare lo Spirito Santo che l’ha resa evidente.
Perché chi compie questa negazione non può avere perdono? Perché scambia volutamente il male per il bene, quindi non se ne pente e non si può ravvedere, e non può essere perdonato.
Il catechismo di San Pio X si premurava di specificare ed elencare quelli che possono essere i peccati contro lo Spirito Santo:
- disperare della salvezza;
- presumere di salvarsi senza merito;
- impugnare la verità conosciuta;
- invidiare la grazia altrui;
- ostinarsi nei peccati;
- restare impenitenti fino alla fine.
Sono tutte diverse sfumature, con l’eccezione della quarta che è complementare, dell’unico atteggiamento di ostinazione nel negare l’evidenza, per cui possiamo sottoscriverli nella sostanza.
Riportando la questione ai passi evangelici, quindi al contesto originario, la bestemmia contro lo Spirito Santo, attribuita agli scribi, è quella di negare le evidenti opere dello Spirito compiute da Gesù davanti a loro; mentre sarebbe scusabile l’atteggiamento di colui che, ingannato dalle umili apparenze del falegname di Nazareth, non fosse capace di riconoscere in lui il Figlio di Dio. Trasportato il caso ai nostri giorni, possiamo affermare, con il Catechismo della Chiesa Cattolica:
«La misericordia di Dio non conosce limiti, ma chi deliberatamente rifiuta di accoglierla attraverso il pentimento, respinge il perdono dei propri peccati e la salvezza offerta dallo Spirito Santo. Un tale indurimento può portare alla impenitenza finale e alla rovina eterna» (CCC 1864).
È, insomma, il rifiuto cosciente, sino alla fine, della salvezza.
Il peccato che conduce alla morte
Si può associare questo detto ad un altro passo difficile del Nuovo Testamento:
«Se uno vede il proprio fratello commettere un peccato che non conduce alla morte, preghi, e Dio gli darà la vita: a coloro, cioè, il cui peccato non conduce alla morte. C’è infatti un peccato che conduce alla morte; non dico di pregare riguardo a questo peccato» (1Gv 5,16-17).
Non può trattarsi della distinzione fra peccato veniale e peccato mortale, basata sulla gravità dell’atto o dell’intenzione. Anche qui si parla del peccato che non ammette pentimento; è, insomma, l’ostinazione finale. Perché è inutile pregare? Perché la preghiera scivola contro l’ostinazione, non fa presa su di una scelta precisa della volontà personale. Dio non costringe nessuno.
Stessa interpretazione per l’altro passo difficile della lettera agli Ebrei:
«Infatti, se pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non rimane più alcun sacrificio per i peccati… Di quanto maggior castigo allora pensate che sarà ritenuto degno chi avrà calpestato il Figlio di Dio… e avrà disprezzato lo Spirito della grazia? » (Eb 10,26-29).
La misericordia di Dio non conosce limiti, ma non spadroneggia; corteggia l’uomo, ma non lo obbliga, e ammette anche di poter essere rifiutata.
Tuttavia potremmo fare un’obiezione: che razza di libertà è la nostra, poiché se facciamo una scelta divergente da quella che Dio ci chiede ci escludiamo dalla salvezza?
Risposta: non confondiamo la libertà con l’arbitrio. Arbitrio è scegliere a capriccio, libertà è essere veramente se stessi. E questo lo si può esser solo, consapevolmente o inconsapevolmente, in Dio.
In sostanza, la scelta è fra «Dio» e «Io», e trascorrere la vita, e l’eternità, solo in propria compagnia, francamente, non mi sembra una scelta vincente.
L’impenitenza finale
In sostanza, resta senza perdono l’impenitenza finale, cioè l’ostinazione a rifiutare il perdono di Dio fino alla fine della vita. Che cosa si matura, allora, in questa condizione? L’inferno che si è scelto in vita è anche quello che si è scelto in morte. Lo spiegava Benedetto XVI in Spe salvi 45:
«Con la morte, la scelta di vita fatta dall’uomo diventa definitiva – questa sua vita sta davanti al Giudice. La sua scelta, che nel corso dell’intera vita ha preso forma, può avere caratteri diversi. Possono esserci persone che hanno distrutto totalmente in se stesse il desiderio della verità e la disponibilità all’amore. Persone in cui tutto è diventato menzogna; persone che hanno vissuto per l’odio e hanno calpestato in se stesse l’amore. È questa una prospettiva terribile, ma alcune figure della stessa nostra storia lasciano discernere in modo spaventoso profili di tal genere. In simili individui non ci sarebbe più niente di rimediabile e la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la parola Inferno (cfr. CCC nn. 1033- 1037)».
Questo per quanto riguarda le vie ordinarie della salvezza. Poi, come scrive S. Tommaso, «Questo non impedisce all’onnipotenza e alla misericordia di Dio di trovare la via del perdono e della guarigione che talora sana spiritualmente anche costoro in una maniera quasi prodigiosa» (S. Tommaso, Somma Teologica, II-II, 14, 3).
Perché la misericordia di Dio non si arrende mai.