Lettura continua della Bibbia: Atti. Paolo in carcere (cap. 24-25)

Paolo in carcere
Paolo davanti a Felice. Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=90109188

Siamo nell’anno 58. A Cesarea Paolo viene preso sotto custodia da Marco Antonio Felice, procuratore della Giudea, personaggio importante, essendo fratello del potentissimo liberto Pallante che faceva parte della corte dell’imperatore Claudio. Proprio Claudio lo aveva inviato a Cesarea dove aveva sposato in seconde nozze la principessa Drusilla, figlia di Erode Agrippa I. È un personaggio ambiguo: trattiene Paolo in carcere per almeno due anni, nella speranza di ricavare da lui del denaro in cambio della sua liberazione.

Temporeggia, non dà soddisfazione al sommo sacerdote Anania ed all’abilissimo avvocato Tertullo; ascolta Paolo insieme alla moglie Drusilla, ma quando si inizia a parlare di continenza, di giustizia e di giudizio, lo rimanda indietro in attesa di tempi più opportuni. Paolo, che ha girato mezzo mondo, è inchiodato in un carcere, anche se trattato con riguardo e con possibilità di ricevere visite. In realtà Paolo sta vivendo anche in carcere il Vangelo, con la sua impotenza, con la sua sofferenza e l’offerta della sua vita.

Porcio Festo

Felice passa il problema al suo successore Porcio Festo. Questi era stato nominato da Nerone governatore della Giudea al posto di Felice, accusato di corruzione. Siamo nel 60 circa.

«Festo dunque, raggiunta la provincia, tre giorni dopo salì da Cesarèa a Gerusalemme. I sommi sacerdoti e i capi dei Giudei gli si presentarono per accusare Paolo e cercavano di persuaderlo, chiedendo come un favore, in odio a Paolo, che lo facesse venire a Gerusalemme; e intanto disponevano un tranello per ucciderlo lungo il percorso. Festo rispose che Paolo stava sotto custodia a Cesarèa e che egli stesso sarebbe partito fra breve».

Abbastanza accortamente, Festo sventa la macchinazione dei capi giudei chiedendo a Paolo stesso se vuol essere giudicato da loro a Gerusalemme. Ma Paolo si appella a Cesare: vuol essere giudicato a Roma. È un diritto di ogni cittadino romano. Cesarem appellasti, ad Cesarem ibis (ti appellasti a Cesare, andrai da Cesare) è la risposta del magistrato.