
Giona, gettato in mare nel corso di una tempesta, rimane tre giorni e tre notti nel ventre del pesce. Paolo, naufragato nel corso di una tempesta e accolto nel seno di una spiaggia, rimane tre giorni presso il governatore Paolo; ne partirà per andare, come Giona, nella grande città, capitale anche questa di un Impero, una città che senza saperlo aspetta anch’essa il Verbo.
«Dopo tre mesi salpammo su una nave di Alessandria che aveva svernato nell’isola, recante l’insegna dei Diòscuri. Approdammo a Siracusa, dove rimanemmo tre giorni e di qui, costeggiando, giungemmo a Reggio. Il giorno seguente si levò lo scirocco e così l’indomani arrivammo a Pozzuoli».
Da Malta a Siracusa, da Siracusa a Reggio e poi a Pozzuoli, dove Paolo incontra alcuni già cristiani, poi finalmente a Roma!
Paolo a Roma
È il centro del mondo, e Paolo vi trova già dei fratelli. Gli sono concessi gli arresti domiciliari, con un soldato di guardia. Non sapremo, da Luca, come gli andrà il processo, questo strano processo romano in cui non ci sono accuse. L’importante è che Paolo sia ormai a Roma, anche se nuovamente rifiutato dalla sua gente.
Paolo espone loro i suoi argomenti in base alle S. Scritture, «in base alla Legge di Mosè e ai Profeti. Alcuni aderirono alle cose da lui dette, ma altri non vollero credere e se ne andavano discordi tra loro». Anche in questo amaro modo si adempie la Scrittura che Paolo cita (Isaia 6,9-10) sulla incredulità di Israele.
Ormai con Paolo a Roma è maturato il passaggio per cui da Israele il Vangelo trabocca nell’Impero. Ecco perché non ci viene detto altro della sua vicenda… Quel che importa non è l’Odissea di Paolo, ma l’Odissea dello Spirito Santo che mette casa nella Città Eterna.
Luca usa anche qui il procedimento dell’inclusione: aveva usato la parola sotérion, salvezza, all’inizio del Terzo Vangelo (Lc 3,6), in cui Giovanni Battista cita Isaia 40,5: “ogni carne vedrà la salvezza di Dio”. Così pure, al termine della sua intera opera, torna lo stesso termine: Ai pagani è stata inviata questa salvezza di Dio”.
Luca usa solo tre volte questo termine, a differenza di soterìa che è molto più frequente. L’unica altra volta in cui lo utilizza è in Lc 2,30, nel cantico di Simeone:
Ora lascia o Signore che il tuo servo, vada in pace, perché i miei occhi hanno vista la tua salvezza…
La parola di Simeone, oltre che quella di Isaia, si è adempiuta. Altri due anni trascorrono di prigionia, ma nella sua casa Paolo accoglie tutti con franchezza e senza impedimento. Gli Atti si chiudono con questo avverbio akolytos, senza impedimento. Non ci sono più confini.