
Paolo a Corinto (18,1-22)
«Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto». Siamo ancora nel secondo viaggio missionario di Paolo (15,36-18,22), un viaggio che lo porta a Corinto. Corinto è il capoluogo della provincia di Acaia, una metropoli. Paolo si trova a suo agio con due immigrati come lui: «Qui trovò un Giudeo chiamato Aquila, oriundo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei».
Paolo e il lavoro manuale
Sono profughi, fabbricanti di tende. Paolo a lavorare con loro: tesse tende, stuoie, tappeti. Il lavoro manuale è nella spiritualità dell’ebraismo, fa parte della vocazione originaria dell’uomo che il Signore Dio colloca nel giardino della vita perché lo coltivi e lo custodisca. Anche qui siamo agli antipodi della mentalità greca, secondo la quale il lavoro essendo cosa vile è fatto solo per le bestie e per gli schiavi, e per i poveracci che devono pur trovare il modo di mangiare… L’ideale greco-romano è l’Otium, l’attività intellettuale. Nel mondo ebraico svolgere un lavoro è necessario per essere veramente umani: il rabbino, uomo di studio, deve anche svolgere un’attività lavorativa (taglialegna, sarto, falegname…); la padrona di casa, anche se abbiente, deve seguire da vicino il lavoro delle ancelle e lavorare con le proprie mani. Nel mondo biblico la corporeità ha un grande valore, nel mondo greco è un disvalore. Paolo nel suo ministero avrà grossi problemi con questo tipo di mentalità.
Contrasti e incoraggiamenti
Di sabato in sinagoga nuovi contrasti. In una città pagana la minoranza giudaica avverte la presenza di Paolo come una minaccia, anche se ci sono conversioni qualificate (18,8: «Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e anche molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano e si facevano battezzare»).
Ma Paolo è ispirato a continuare:
«E una notte in visione il Signore disse a Paolo: Non aver paura, ma continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città».
Nonostante le apparenze, Corinto sarà una comunità che si distinguerà per la fede.
«Così Paolo si fermò un anno e mezzo, insegnando fra loro la parola di Dio».
Il proconsole Gallione
Paolo rimarrà a Corinto diciotto mesi, una permanenza molto lunga per i suoi normali parametri. Era il tempo in cui era proconsole dell’Acaia Gallione, quindi la data è certa, siamo nel 51-52. Gallione era il fratello maggiore del filosofo Anneo Seneca e di Anneo Mela padre del poeta Lucano. Tornato a Roma, fu implicato nella congiura dei Pisani contro Nerone e morì, probabilmente, suicida.
«I Giudei insorsero in massa contro Paolo e lo condussero al tribunale dicendo: Costui persuade la gente a rendere un culto a Dio in modo contrario alla legge».
Ma Gallione non dà a Paolo nemmeno il tempo di ribattere:
«Se si trattasse di un delitto o di un’azione malvagia, o Giudei, io vi ascolterei, come di ragione. Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra legge, vedetevela voi; io non voglio essere giudice di queste faccende».
Roma non si intrometteva nelle questioni religiose dei popoli sottomessi, bastava che non attentassero alla sicurezza dell’Impero. Anche se Sòstene, il capo della sinagoga, viene malmenato dai greci, a Gallione non interessa.
Si noti ancora una volta l’accuratezza storica di Luca, che menziona anche il decreto di Claudio di espulsione da Roma dei giudei nel 49, attestato anche da Svetonio.