
Siamo di nuovo al 19 febbraio, e sedici anni sono passati da quando padre Fiorenzo Locatelli ci ha lasciati. In realtà, nella sua itineranza francescana (di luoghi e di spirito) ha lasciato più volte le località e le persone presso cui aveva dimorato più a lungo: la sua famiglia a San Piero in Bagno, la parrocchia e la città di Piombino, il convento di Fiesole, il santuario della Verna. Tutti luoghi amati, di un amore che però non gli impediva di andare oltre, dove l’obbedienza lo chiamava, dove altre persone aspettavano, magari senza ancora saperlo, di incontrarlo e di essere accolte.
Perché una sua caratteristica particolare era il saper accogliere l’altro. Come osservò qualcuno alla presentazione del libro Una vita donata tenuta il 22 agosto 2008 nella sala Santa Chiara alla Verna, si fermava a parlare con ogni persona come se quella per lui fosse l’unica esistente al mondo. Sinceramente, una dote che pochi hanno, visto che può facilmente accadere che i pastori si chiudano in una stretta cerchia di sostenitori nella quale si sentono al sicuro da ogni critica e – ahimè – da ogni dialogo. No, padre Fiorenzo non aveva questi problemi, almeno come pastore che (per usare un’espressione di papa Francesco) «sa di pecora», per come l’abbiamo conosciuto noi.
«Noi»: il perché di un plurale

Mi accorgo che mi sto esprimendo al plurale, con un «Noi» spontaneo che in sostanza comprende soprattutto gli abitanti di Piombino e i frequentatori della Verna, i due ambienti in cui ha soggiornato più a lungo (14 anni a Piombino, 15 alla Verna) ed in cui ha avuto rapporti più stabili con le persone. Sto usando il «Noi», perché padre Fiorenzo era di tutti e non era di nessuno, era solo del Signore ed era in Lui che incontrava ed accoglieva tutti gli altri.
Così si intratteneva a Piombino con i bambini della scuola materna…

… insegnava loro a cantare (e non c’è da stupirsi)…

… stava con i giovani della Marcia francescana…

… e con la stessa semplicità alla Verna accoglieva presidenti e regnanti.

Perciò, ricordandolo, forse dovremmo cercare di imparare qualcosa da lui: un’accoglienza a tutto tondo, il dono dell’attenzione agli altri – ad ogni altro -, la preoccupazione per le loro necessità. Il sapersi mettere nelle situazioni, e comprendere.
Un articolo precedente QUI.
«Queste persone mi chiamano Padre»

Quando il libro Una vita donata fu presentato a Piombino, il 30 maggio 2008, nella sala della Biblioteca comunale, venne molta gente. Qualcuno, addirittura, si dovette sedere per terra. Furono date testimonianze di prima mano, in aggiunta a quelle già pubblicate; si parlò di miracolo; ci sarebbe stato da scrivere un altro libro. Qualcuno, esterno alla Chiesa, ricordò anche i forzati rapporti di padre Fiorenzo con la Direzione delle Acciaierie, a quell’epoca angosciosi.
Spiego perché. Padre Fiorenzo, come parroco dell’Immacolata, era il gestore – e giuridicamente il datore di lavoro – della scuola materna San Francesco finanziata dalle Acciaierie di Piombino perché riservata ai figli dei dipendenti. Una scuola rinomata, pedagogicamente all’avanguardia, che doveva però il suo funzionamento esclusivamente ai fondi erogati dall’industria. Ma la crisi delle Acciaierie e la crisi demografica, in quel momento, stavano causando il restringimento dei fondi e il conseguente licenziamento di buona parte del personale. La Direzione insisteva sul fatto che in un’azienda, quando la situazione lo richiede, si licenzia. E padre Fiorenzo ribatté: «Sì. Ma vede, le persone che lei mi impone di licenziare, mi chiamano Padre!».
Una S. Messa sarà celebrata domenica 19 febbraio alle ore 11 nella chiesa dell’Immacolata di Piombino. Sarà presieduta da padre Sergio Persici, vice parroco per lunghi anni nella stessa parrocchia francescana.