Lettura continua della Bibbia. Osea: in sintesi

Osea: in sintesi
Cristo risorto con il profeta Osea. Saint-Sulpice de Fougères. Di GO69 – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=65174025

Osea: in sintesi. L’attività del profeta, che si svolse fra il 750 e il 725 a.C., non ebbe alcun successo in Israele. Nel 721 Sargon II conquistò Samaria e deportò la popolazione a Ninive. Non vi fu ritorno. Ma le profezie di salvezza si sarebbero adempiute per il resto fedele di Giuda.

Osea è un profeta dalle forti accuse, ma anche della tenerezza infinita. Ricorre continuamente alle immagini dei rapporti fra uomo e donna, fra padre e figlio, per descrivere i rapporti fra Dio e Israele. Crea così un nuovo linguaggio per parlare dei rapporti di Dio con il suo popolo, ed eserciterà per questo un vasto influsso. Il suo lessico ruota su alcune idee fondamentali:

  • la da´at = conoscenza (verbo jada‘): 20 volte in Osea
  • lo chesed = bontà (assente in Amos, torna in Geremia, Deuteroisaia e Tritoisaia) (Os. 2,21; 4,1; 6,4.6; 10,12; 12,7), benevolenza del sovrano verso il vassallo, il fedele, lo chasid  
  • la tsedāqā = giustizia )

                                                  }  tipici di Amos

  • il mishpāt = diritto      ) 

danno corpo allo chesed, connotando la fedeltà alla comunità e il diritto del debole

  • `āhab = amare: non è il verbo più usato nell’Antico Testamento (gli fanno concorrenza i verbi “essere” con 3540 volte; “parlare” con 1440 volte; “conoscere” con 1119 volte; “benedire” con 398 volte), in cui compare 251 volte: di queste, però, ben 19 appartengono ad Osea (preceduto dalle 41 volte dei Salmi, 32 dei Proverbi, 23 del Deuteronomio, e seguito dalle 10 volte di Geremia, 9 del Deuteroisaia). Poiché nel Pentateuco (eccetto il Deuteronomio, che è uno scritto posteriore ad Osea) questo verbo esprime solo l’amore fra gli esseri umani, Osea è il primo autore biblico ad usare il verbo `ahab in contesto religioso: è il primo a parlare dell’amore di Dio per Israele.

Osea: in sintesi. Il lessico del peccato e della grazia

In contrapposizione all’iniziativa dell’amore di Dio, Osea pone il peccato di Israele, con questi due termini:

  • ZĀNĀH = prostituirsi: 11 volte come verbo e 6 volte come sostantivo)
  • SHĀKACH = dimenticare: 17 volte in Osea.

In risposta al peccato, Dio chiama Israele a

  • tornare (SHÛB = bWv ): 22 volte, ed a
  • cercare = BIQQĒSH (5 volte), nel senso di cercare fattuale, cercare qualcosa che si è perduto (attraverso il culto), e DĀRASH (1 volta), che esprime il cercare nella sfera conoscitiva: è un verbo amosiano, in Amos indica il cercare Dio dalla parola del profeta più che dalla prassi cultuale;
  • la salvezza in Osea è espressa spesso cpme RĀPHĀ’ = guarire (5 volte).

Osea sperimenta il proprio amore e il proprio dolore, e in essi contempla l’amore e il dolore di Dio, come uno che contemplando le piaghe nelle sue mani riesce ad intuire quelle del Crocifisso. L’immagine è di Martin Buber:

«ma provandoli, conosce nel tempo stesso che in questo modo si pone alla sequela di Dio. Nel suo sentimento personale si imprime quello divino, così intensamente che egli può cogliere di volta in volta dai tratti della propria sorte l’andamento del rapporto tra JHWH e Israele, come uno che ha ricevuto le stigmate: contemplando le piaghe sulle sue mani, impara a conoscere quelle del Crocifisso… nel matrimonio del profeta […] ci appare l’uomo stesso con i segreti del suo sangue e della sua anima, un uomo che, proprio per questo, è anche legato ai segreti di Dio e, proprio per questo, può, in guisa di segno, dare loro corpo ed espressione viva» (da MARTIN BUBER, La fede dei profeti cit., p. 113).

Formazione del libro

I critici concordano sull’attribuzione della maggior parte del libro a Osea stesso, nel senso che esso dipenda dal vissuto del profeta e dall’interpretazione che egli ne ha dato. L’ipotesi più plausibile sulle tappe della sua formazione è questa:

  • all’origine ci sarebbe il racconto autobiografico di 3,1-4, con parte degli oracoli brevi dei cap. 4-14;
  • i discepoli compongono il racconto biografico di 1,2-9 e approfondiscono il simbolismo (cap. 2), dando poi una strutturazione al materiale dal cap. 4 in poi;
  • portato a Gerusalemme dai superstiti di Samaria, il libro vi riceve l’attuale forma, con numerosi riferimenti a Giuda, entro l’VIII secolo;
  • secondo alcuni, una rielaborazione si sarebbe protratta fino al tempo di Giosia e forse fino al VI secolo, con l’aggiunta di elementi liturgici (12,10; 13,4; 14,2: “Ritorna, Israele, al Signore, tuo Dio, perché sei caduto per i tuoi peccati”), un detto sapienziale finale (14,10: “Chi è sapiente comprenda queste parole e l’intelligente le intenda! Perché le vie del Signore sono diritte; i giusti vi si incamminano, ma i malviventi vi inciampano!”) e alcune glosse esplicative (3,5b: “cercheranno il Signore loro Dio e Davide loro re”; 7,10: “L’orgoglio d’Israele testimonia contro di lui; essi non ritornano al Signore loro Dio e non lo ricercano, nonostante tutto ciò”; 12,13).