
Inizia adesso, a partire dal quarto giorno, ciò che S. Tommaso d’Aquino chiama Opus ornatus, cioè la collocazione degli “inquilini” nei vari ambienti creati nei primi tre giorni, con un preciso parallelismo:
- Abitanti del cielo (astri)
- Abitanti dell’acqua e dell’aria
- Animali terrestri e umanità.
I quadri ottenuti sono adesso in movimento, perché mossi dal dinamismo delle creature.
Quarto Giorno (1,14-19)

L’opera di questa giornata svolge una funzione centrale nel racconto, perché si tratta della quinta parola di Dio, segna la metà della narrazione, e al tempo stesso porta all’apice il processo di demitizzazione del racconto cosmogonico, riducendo gl astri a pure creature. La luce, il sole, la luna, le stelle, le tenebre, non sono da divinizzare, ma sono semplici creature al servizio di Dio e dell’uomo.
Il sole, sovrano degli dèi presso molti popoli, e la luna, dea della fecondità per il suo legame con i cicli della vita (maree, vegetazione, ciclo femminile), sono soltanto la lampada maggiore per illuminare il giorno e la lampada minore per illuminare la notte. Non sono dèi, ma lampioni! Le stelle sono sbrigate con una fuggevole menzione, una sola parola. Non viene neppure fatto il nome del sole (shemesh), e neppure il nome della luna (yareach), perché nell’immaginario dell’epoca erano considerate divinità; le stelle vengono menzionate quasi di sfuggita, mentre nel pantheon pagano erano divinità importantissime che bisognava ingraziarsi, come Astarte / Venere e tante altre.
Il processo di demitizzazione continua con la creazione degli animali.
Quinto Giorno (1,20-23)

Ecco un momento di svolta, che avviene il quinto giorno: la creazione della vita animale. È curioso come la vita nasca nell’acqua: pur non avendo niente di scientifico, l’Esamerone presenta un processo evolutivo partendo dalla materia caotica e distinguendola ed ordinandola in modo sempre più raffinato.
Si crea la vita
Poiché siamo a un punto di svolta, torna il verbo bara’: Dio crea la vita, iniziando dagli animali marini e dagli uccelli. Come nel caso della vegetazione, siamo ancora nell’ambito della creazione mediata (Dio dà un input alla materia). Torna però il verbo creare che era stato usato in 1,1 e torna a motivo della novità rappresentata dalla benedizione agli animali.
La creazione degli abitanti degli spazi più lontani dall’uomo e da lui inabitabili, acqua ed aria, viene infatti narrata usando nuovamente il verbo bara’: il motivo è che si sta parlando dei primi esseri viventi (nephesh chayyah, alla lettera anima vivente, è ogni creatura che respira, si muove, vive). Le piante non sono propriamente considerate viventi, in quanto non hanno un movimento e respiro apparenti; sono considerate, piuttosto, l’arredamento della terra, l’ambiente che sarà abitato dall’uomo.
Utilizzando di nuovo il verbo creare, il narratore vuole esprimere come la vita nasca dalla più diretta azione creatrice di Dio. Se finora c’era stata l’espressione del giudizio positivo di Dio sulle realtà venute all’esistenza (E Dio vide che era buono), adesso, all’apparire degli animali, scaturisce la benedizione, come poi avverrà anche per l’umanità.
Tutte queste anime viventi, animali e umanità, sono depositari di una forza divina contenente la vita, per la quale sono in grado di comunicare la loro stessa vita, traendola da se stessi mediante la generazione.
Anticipiamo quindi fin d’ora che l’adam è messo in relazione di solidarietà con gli animali, di cui condividerà la benedizione.
I tannînim

Iprimi esseri viventi nominati sono i tannînim, tradotti in italiano come mostri marini, o grandi animali acquatici, o cetacei, che a livello letterale altro non sono. In tutte le mitologie sono presenti mostri terrificanti che combattono contro gli dèi e contro gli uomini. Un esempio in una delle mitologie più vicine alla cultura di Israele, quella assiro babilonese, è rappresentato dalla mostruosa Tiāmat, l’abisso primordiale delle acque salate, immaginata come un drago, madre di dèi ma anche di mostri, che alla fine viene sconfitta e uccisa dal figlio Marduk.

Ma nel racconto biblico i mostri ci sono, ma non sono altro che gioiosi bestioni che guizzano nel mare: pure e semplici creature di Dio. Prive di ogni carattere misterico, sono create per la loro gioia e per la gioia del creato e di Dio. Come canta il Salmo 104 (vv. 25 s.), Dio ha creato
«Il mare spazioso e vasto:
lì guizzano senza numero animali piccoli e grandi.
Lo solcano le navi, il Leviatan che hai plasmato
per giocare con lui» [traduzione migliore di «perché giochi in esso»].
Questi bestioni dall’aspetto spaventoso rappresentano la dimensione ludica del creato, una dimensione che troppo spesso dimentichiamo in nome di pensieri più gravi; eppure è una dimensione che esiste. Ce lo dice il libro di Baruk nel cap. 3:
«Èlui che nel volger dei tempi ha stabilito la terra
e l’ha riempita d’animali;
33lui che invia la luce ed essa va,
che la richiama ed essa obbedisce con tremore.
34Le stelle brillano dalle loro vedette
e gioiscono;
35egli le chiama e rispondono: “Eccoci!”
e brillano di gioia per colui che le ha create».
La demitizzazione

Genesi riprende le immagini e le espressioni dei miti mesopotamici: era quello il linguaggio dell’epoca. Eppure le demitizza. Il mare, il grande abisso delle acque, è una divinità terribile per gli altri popoli, ed è spaventoso per Israele: pur tuttavia si lascia modellare da Dio a suo piacimento, e così pure le creature che in esso vivono. Non c’è lotta, non c’è teomachia (la guerra degli dèi) nel mondo biblico.
L’immagine delle acque come forza primordiale ostile si trova spesso nei testi poetici della Bibbia, perché questo è: solo un’immagine letteraria. Compare come semplice forza della natura ma anche in forma di personificazione mitica.
Abbiamo, così, il mostro Rahab (Giobbe 26,12 e Sal 89,11), che è poi l’Egitto in Is 30,7, perché Israele vive la propria esperienza religiosa nella storia più che nei corsi e ricorsi della natura.
I mostri acquatici sono rappresentati anche dal Leviatan (Is 27,1; Giobbe 40,25-41,26), dal Behemoth (Giobbe 40,15-24), dai draghi delle acque (Sal 74,13). Si tratta sempre, però, di testi poetici (profetici o sapienziali), come puro espediente letterario.
L’immagine arcaica del dio mostruoso viene quindi completamente smitizzata e usata solo come veicolo espressivo poetico per indicare le forze ostili della natura e della storia che però non hanno nessuna speranza di vittoria contro l’unico Dio.
Tutto ciò che è naturale viene smitizzato e restituito alla sfera della creaturalità. Non c’è un dio sole, c’è solo un fanale che illumina il giorno; non c’è un dio abisso che vuole inghiottire uomini e dèi; non c’è un dio animale… Tutto è ordinato e armonioso, docile e facile, nelle mani dell’unico Creatore.
Non c’è dualismo
Non c’è, quindi, neppure dualismo: tutto è buono così come è creato dalla Parola di Dio, non esiste un dio malvagio che abbia creato cose malvagie (come si credeva, ad esempio, nella religione persiana, lo zoroastrismo). Il male sarà nelle possibilità del cuore delle creature più elevate, ma non è una entità e neppure una sostanza che abbia vita propria. La materia è buona, non è cattiva in contrapposizione ad un mondo spirituale antagonista.
Così, la concezione biblica è ugualmente distante e contraria sia al disprezzo della materia (dualismo) che alla sua divinizzazione (ad esempio nell’astrologia babilonese e nella zoolatria egiziana).
Lo Ziz
Itesti biblici poetici menzionano il Leviathan e il Behemoth, i mostri sovrani sugli animali acquatici e su quelli terrestri. Per analogia, il midrash ha creato anche lo Ziz, a partire da un tenue accenno in Sal 50,11 (cfr. Sal 80,14:
10 Sono mie tutte le bestie della foresta,
animali a migliaia sui monti.
11 Conosco tutti gli uccelli del cielo,
è mio ciò che si muove nella campagna.
Come Leviathan è il re degli animali marini, e il Behemoth dei quadrupedi, così lo Ziz è designato per governare sugli uccelli. Lo Ziz è di dimensioni mostruose quanto lo stesso Leviatano. Le sue zampe poggiano sulla terra e la sua testa raggiunge il cielo. Così narra il midrash:
«Una volta accadde che i viaggiatori su una nave notassero un uccello. Mentre si trovava nell’acqua, gli copriva semplicemente i piedi e la sua testa sbatteva contro il cielo. Gli spettatori pensavano che l’acqua non potesse avere alcuna profondità in quel punto e si prepararono a fare un bagno lì. Una voce celeste li avvertì: “Non scendete qui! Una volta l’ascia di un carpentiere gli scivolò di mano in questo punto, e ci vollero sette anni per toccare il fondo”. L’uccello visto dai viaggiatori non era altro che lo Ziz. Le sue ali sono così enormi che spiegate oscurano il sole. Proteggono la terra dalle tempeste del sud; senza il loro aiuto la terra non sarebbe in grado di resistere ai venti che soffiano di là. Una volta un uovo dello Ziz cadde a terra e si ruppe. Il fluido da esso inondò sessanta città e lo shock schiacciò trecento cedri. Fortunatamente tali incidenti non si verificano frequentemente. Di norma l’uccello lascia che le sue uova scivolino dolcemente nel suo nido. Questo incidente era dovuto al fatto che l’uovo era marcio e l’uccello lo gettò via con noncuranza».
Pura fantasia… e perché no? Basta saperlo.
Sesto Giorno: gli animali terrestri (1,24-25)

Come nel terzo giorno, anche nel sesto giorno Dio compie due opere di creazione: gli animali terrestri e l’umanità. Il processo evolutivo che anima il grande affresco della creazione è sempre più raffinato.
La creazione degli animali terrestri (Gn 1,24-25)

Il comando di Dio è quello, alla terra, di far uscire da sé esseri viventi. L’animale terrestre è visto come totalmente dipendente dalla terra, che nuovamente partecipa all’attività creatrice, come aveva fatto per la vegetazione.
Come la vegetazione, anche gli animali terrestri sono suddivisi in tre gruppi, non secondo criteri zoologici scientifici, ma a seconda del rapporto che hanno con l’uomo.
- Behemah o bestiame domestico (sarà poi distinto, in Lv 1,2, in bestiamo grosso e bestiame minuto)
- Remesh o rettili (stessa radice RMSH usata per il brulichio dei pesci in 1,21)
- Animali della terra, cioè le bestie selvatiche.
Il testo non fa invece distinzione fra specie pure e specie impure: Dio ha creato pure tutte le cose.
Cinque volte nei due versetti ricorre il comando di moltiplicarsi secondo la propria specie. Dall’indifferenziato originario, la creazione passa alla differenza, secondo la propria specie. Solo l’umanità sfuggirà a questa affermazione, perché non esistono diverse specie di umanità: esiste una sola umanità che si trova in ogni uomo. L’uomo però sarà se stesso solo «se accetta di stare in quel regime di differenza a lui proprio in cui Dio lo pone» (E. Bianchi, Adamo, dove sei? pag. 133).