
Abbiamo già visto (QUI) come Benedetto XVI nella sua dichiarazione di rinuncia ha annunciato a chiare note che lascerà vacante la Sede romana e che si dovrà convocare il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice. La lucidità di queste palesi intenzioni sgombra completamente il terreno da qualunque illazione. Ma poiché Farè cavilla sulla distinzione tra ministerium (che Benedetto XVI esplicita di voler lasciare) e munus (che non menziona in questa frase), vediamo se una distinzione reale esista e se abbia importanza in questo contesto.
Officium
Nel Codice di diritto canonico del 1917, canone 145 § 1, «L’ufficio ecclesiastico in senso lato è qualsiasi incarico [quodlibet munus] esercitato legittimamente per un fine spirituale. In senso stretto è un incarico [munus] costituito stabilmente per ordinazione sia divina sia umana, da conferire a norma dei sacri canoni, che comporta una qualche partecipazione alla potestà ecclesiastica sia d’ordine sia di giurisdizione».
Anche il decreto Presbiterorum Ordinis del Concilio Vaticano II definisce l’ufficio ecclesiastico come «qualsiasi incarico [quodlibet munus] stabilmente conferito, da esercitare per un fine spirituale» (n. 20).
E il Codice di diritto canonico del 1983 definisce l’ufficio ecclesiastico «quodlibet munus», di istituzione divina o ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale (canone 145).
La costante in tutte queste definizioni è l’individuazione dell’officium in un quodlibet munus, cioè l’esercizio di un qualsiasi munus per un fine spirituale.
Munus
Il concetto di munus, a partire dal Codice del 1917 per arrivare a quello del 1983, come dimostra il dotto studio di Peter Erdö (Ministerium, munus et officium in Codice iuris canonici, in «Periodica» 1989, pp. 411-436, p. 433), si riferisce quasi sempre ad un’opera da fare o un complesso di diritti e di doveri affidati a qualcuno per una ragione.
Parte della canonistica, riassume il docente di Diritto canonico Stefano Violi (Officium e munus tra ordinamento canonico e comunione ecclesiale in «Stato, Chiese e pluralismo confessionale» n. 31 del 2019, www.statoechiese.it), dà per scontata la sinonimia tra officium e munus. Ma volendo procedere ad un ulteriore approfondimento, il prof. Violi nota anzitutto che nella Volgata ministerium ed officium si riferiscono soprattutto all’istituzione sacerdotale. Invece, nel Nuovo Testamento, munus non è mai messo in relazione con officium: sono ad esempio qualificati munera (plurale di munus) i doni dei Magi (Mt 2,11), l’offerta di Abele (Eb 11,4), le offerte rituali all’altare (Mt 5,23-24 e molti altri passi.
Il nesso semantico fra munus e officium deriva invece dal diritto romano, nel senso di onere del servizio militare e di onere civico di contribuire alla manutenzione delle mura. La prima esplicitazione di questo nesso si trova in Paolo Diacono:
«La parola munus può essere intesa in tre differenti accezioni: nella prima significa dono… nella seconda incarico ufficiale… nella terza accezione significa ufficio».
Nella terza accezione, cioè, munus si identifica con officium.
Il munus nel Concilio Vaticano II
Sarà il Concilio Vaticano II, prosegue il prof. Violi, a conferire agli usuali significati di munus una nuova accezione teologica, quella cioè di dono, rifacendosi con la tradizione medievale ai munera dei Magi che significano la divinità (l’incenso), la regalità (l’oro), l’umanità (la mirra) di Gesù. Riporto dal suo studio un passo significativo:
«Mediante la fede in Cristo Gesù, i christifideles esercitano le loro specifiche funzioni, rispondendo al dono di Dio con l’offerta a un tempo rituale ed esistenziale dei loro munera. Rispetto all’ufficio inteso in senso romanistico come dovere conseguente a una necessità, il munus, recuperato nel suo significato teologico, esprime una diakonia che rimanda al primato del dono di grazia».
Il munus viene cioè a significare teologicamente sia incarico che dono, perché l’ufficio presuppone, prima dell’incarico, un dono di grazia per poterlo compiere.
Di capitale importanza nel Concilio Vaticano II, e nel Codice di diritto canonico che ne deriva, il munus battesimale di tutti i fedeli, che secondo il Canone 204 § 1 sono «resi partecipi nel modo loro proprio del munus sacerdotale, profetico e regale di Cristo». I battezzati partecipano al munus stesso di Cristo. Questo munus non è conferito dall’autorità ecclesiastica, ma dallo Spirito Santo.
Il munus dei vescovi
Anche nel caso dei vescovi, la parola munus privilegia teologicamente l’aspetto ontologico sacramentale: nel momento in cui il vescovo, per limiti di età, deve rinunciare all’incarico assegnatogli dal Pontefice, la sede rimane vacante, ma il rinunciante non perde certo il suo munus, cioè la sua partecipazione ontologica sacramentale derivante dalla sua consacrazione episcopale. Lo svolgerà in modo diverso, con la preghiera e l’offerta della vita. Abbiamo, in questo caso, la figura del vescovo emerito, secondo il canone 402 § 1 CJC 1983. Rimane un legame spirituale ed anche affettivo con la diocesi.
Vedremo la prossima volta il caso del vescovo di Roma.