
Mosè è un ottantenne e verremo anche a sapere che è balbuziente o comunque impacciato nel parlare (Es 4,10; 6,12.30). Ha fallito da giovane, cosa potrà mai fare da anziano e sfiduciato? Quelle che muove a Dio sono le obiezioni di un deluso.
La risposta di Dio però non è basata sulle virtù di Mosè: «Io sarò con te. Io ci sono. Io ci sarò sempre». Questa in sostanza la replica di Dio all’obiezione di Mosè. Anzi, poiché il racconto è complesso, le obiezioni non sono una come nei racconti di vocazione di altri personaggi, ma tre: «Io non sono nessuno. Io non so il tuo nome. Io non so parlare».
L’elemento dell’obiezione è importante nei racconti di vocazione, perché dà per certo che non si tratta di auto vocazione, garantisce che il chiamato non si chiama da solo; anzi è recalcitrante di fronte all’incarico divino.
È Dio che deve superare le giuste obiezioni del chiamato con la sua rassicurazione. «Non temere: Io sarò con te. Io ci sono. Tuo fratello parlerà per te». Della rassicurazione fa parte anche il segno: spesso il segno viene chiesto dal chiamato, ma anche a Maria che non lo chiede il segno viene dato ugualmente: «Ed ecco Elisabetta tua parente…». Il segno è importante, perché siamo fatti di carne e di sangue ed abbiamo bisogno di vedere, di toccare. Per questo viviamo in una economia sacramentale, dove i segni visibili sono anche efficaci e conferiscono la grazia che significano. Ce un’abbondanza di segni nel racconto di vocazione di Mosè. Non manca niente. Ma non è finita.