«Non è buono che l’adam sia solo». Questo brano sembrerebbe un’aggiunta al testo originario del capitolo 2, e comunque il frutto di un’altra tradizione, in quanto la creazione dell’adam si riferisce ad un essere collettivo (una umanità) composto di uomo e di donna, il rappresentante dell’umanità delle origini e di tutti i tempi. Ognuno di noi è ’adam e ’adam è ognuno di noi, questo concetto si chiarisce alla luce della categoria di personalità corporativa (individuo come punto focale di una collettività), a partire dagli studi di J. De Fraine (Adamo e la sua discendenza, Roma 1968).
In effetti, se si salta il brano di 2,18-24, il racconto rimane logico e senza lacune. Questo brano serve dunque a conferire enfasi alla complementarità uomo / donna.
Non è buono che…
Dunque, l’adam è nel giardino, protetto dal Signore, e deve assolvere ai propri compiti. Tuttavia, non è completo. Dopo il «Questo è buono… molto buono», risuonato sette volte nel capitolo precedente, adesso qui il Signore Dio dichiara che c’è una cosa non buona: «Non è buono che l’adam sia solo».
Gli animali sono creati (plasmati con la stessa terra di cui è fatto l’adam) per essere i suoi compagni, i suoi aiutanti, e l’adam ne prende possesso, o meglio ne prende l’usufrutto, dando loro il nome: un segno di potestà. C’è una profonda connaturalità fra l’adam e gli animali. Ma nessuno è in grado di stare di fronte a lui.
L’epopea di Gilgamesh
C’è una strana somiglianza con l’epopea di Gilgamesh. Questo eroe è l’unico della sua specie, perciò non si rende conto della propria identità, disturba gli uomini, ruba le loro mogli. Gli uomini pregano allora gli dei di creare un compagno per Gilgamesh, un altro eroe che si chiama Enkidu.
«Allora gli dèi si rivolsero ad Aruru,
la signora della creazione, e le dissero:
– Fosti tu, Aruru, a plasmare Gilgameš.
Adesso crea un eroe che gli stia alla pari,
simile a lui quanto il suo riflesso, un altro lui,
cuore tempestoso per cuore tempestoso.
Che essi lottino tra loro e lascino Uruk in pace!
La dea Aruru lavò le sue mani, prese un grumo di argilla, lo gettò nella piana. Nella piana lei creò Enkidu, l’eroe, creatura del silenzio, reso forte da Ninurta. | 100 |
Tutto il suo corpo è coperto di peli, la chioma fluente come quella di una donna, i capelli del suo capo crescono come orzo. Ma non conosce né la gente né il Paese; egli è vestito come Sumuqan. | 105 |
Con le gazzelle egli bruca l’erba, con il bestiame beve nelle pozze d’acqua. con le bestie selvagge si disseta d’acqua» (94-112). |
Questa specie di Tarzan però non sa di essere uomo, vive con le bestie e spaventa ancora di più gli uomini. Allora si decide di condurgli davanti una prostituta: sarà lei, con le sue attrattive, a svegliare la sua natura di uomo.
«Quando il branco si avvicinerà alla pozza d’acqua, lei si levi le vesti per mostrare le sue grazie. Egli la vedrà e si accosterà con lei. | 140 |
Allora il suo bestiame, cresciuto con lui, gli diventerà ostile». |
Enkidu, così, troverà la sua umanità solo attraverso la donna: perderà la sua forza selvaggia, ma acquisterà l’intelligenza. Ma anche Gilgamesh è un tiranno per gli uomini finché non trova un compagno in cui rispecchiarsi, grazie al quale diverrà l’eroe dell’umanità, lo scopritore di tutte le cose.
Anche nel racconto jahvista l’adam è incapace di vivere solo, seppur con Dio: ha bisogno di un faccia a faccia che gli riveli la sua piena umanità.
Questa intuizione ha riscontri in altri racconti dell’umanità: non è bene che l’adam sia solo. Per essere se stesso, deve con-frontarsi con l’altro. Uno che lo guardi in faccia da pari a pari, ciò che gli animali non possono fare.