Il Decalogo, che si rivolge a tutti e non ad una categoria particolare di persone, riguarda la vita quotidiana, la convivenza reciproca. Si limita a porre, ai margini di un vasto spazio vitale, alcuni segni di confine che chiunque è tenuto a rispettare. Anziché segnare distinzioni sacrali, il Decalogo fa richieste molto elementari sul carattere etico della vita dell’uomo. Queste richieste non sono un peso, ma un dono.
S’intende che l’osservanza di questi comandamenti doveva essere in Israele assai rigorosa. Per Israele, l’incontro con il Signore rappresentava una svolta decisiva fra la vita e la morte. L’antica festa di Sichem per il rinnovo dell’alleanza (vedremo Dt 27,11 ss.) legava l’obbedienza alla benedizione, la trasgressione alla maledizione.
Non avrai altri dei davanti a Me
I comandamenti del Decalogo non necessitano di motivazione: devono essere osservati perché vengono da Dio. Alla base delle richieste del Signore nei confronti del suo popolo, e soprattutto alla base di quello che noi chiamiamo “Primo comandamento” (“Non avrai altri dei davanti a me”, sta la gelosia del Signore, la personalissima manifestazione divina che pretende l’esclusiva. La Qinah di Dio è un affetto personalissimo, e pretende il monopolio del culto. Tale “intolleranza” rappresenta un unicum nella storia delle religioni, perché i culti antichi si tolleravano ampiamente a vicenda, gli “altri dei” che Israele non deve adorare sono le divinità cananee il cui culto poteva rappresentare veramente una tentazione per Israele, non tanto gli dèi dei grandi imperi come Marduk.
Il culto cananeo
Erano molto diffuse, in Canaan, le alture, luoghi elevati dove si esercitava il culto locale di un Baal o Signore di questo monte, dio della fertilità (la pioggia fecondatrice) alla cui potenza gli uomini partecipavano mediante la ierogamia o prostituzione sacra. Oggetti tipici del culto erano le massebe (colonne: Gensei 28,18; Esodo 23,24; Dt 16,22) e le ashere (pali di legno: Giudici 6,25; Dt 16,21).
Accanto a Baal c’era Astarte, dea della fertilità, importato da Babilonia in tempi remoti era Dagon, dio della vegetazione. Anat, sorella – sposa di Baal, ha lasciato tracce nei toponimi Anatot e Beth Anat.
Questa religione agricola, di sedentari, esercitò un fascino sui nomadi che ne assimilarono tuttavia solo elementi descrittivi (il Signore re del cielo, circondato da Elohim; il Signore che cavalca le nubi come Baal e come questi ha il tuono per voce; uso dell’efod come indumento sacerdotale; ciclo delle feste agricole). Ma nel periodo della teologia deuteronomica, come vedremo, si considerò gravissima forma di apostasia accogliere o imitare usanze rituali cananee.
Il monoteismo nell’Antico Testamento
Mentre per noi è spontanea la domanda se Dio esista e se la sua esistenza si possa provare, questo non rappresentava un problema per gli antichi semiti, che davano per scontata l’esistenza di Dio. Non esisteva il problema dell’ateismo filosofico (semmai, quello dell’ateismo pratico): il problema vero era quello non metafisico ma funzionale, cioè quale fosse il vero Dio, quello che faceva vincere le battaglie ed era più forte degli dei degli altri popoli.
Consideriamo inoltre che l’Antico Testamento è stato scritto in un arco di molti secoli, che hanno visto in molti campi, ed anche in questo, un’evoluzione di sensibilità e di credenze. Inizialmente, prima di parlare di monoteismo puro, assurto a dottrina solo nel VI secolo a.C., gli storici parlano piuttosto, per Israele, di
- enoteismo (da heinos / uno) = venerazione di un dio proprio, lasciando che ogni popolo abbia le sue divinità (Genesi 31,53; Giudici 11,24; 1 Samuele 26,19)
- monolatria = culto esclusivo di una divinità pur senza negare esplicitamente l’esistenza di altri dei.
Il monoteismo in senso proprio, invece, comporta la dottrina dell’esistenza di un solo Dio, cui si presta l’unico culto, mentre gli altri non sono dei, non esistono.
Il divieto delle immagini
Il divieto delle immagini, imposto severamente dal Decalogo, esprime, in forma arcaica, il senso della trascendenza di Dio. Raramente si pensava che le divinità si identificassero con le rispettive immagini, anche presso i popoli vicini ad Israele; l’immagine faceva piuttosto sensitre la presenza benefica della divinità a coloro che la veneravano. Ma nel suo rapporto con Dio Israele non è legato, come gli altri popoli, ad un’immagine culturale, ma solo alla Parola del Signore, l’immagine di Dio, immagine vivente per di più, è solo l’uomo. Anche questa è una caratteristica che differenzia profondamente Israele dagli altri popoli.
Nel corso dei secoli, per ragioni catechetiche, la Chiesa latina ha dato del Decalogo una presentazione ridotta in cui la proibizione delle immagini è assorbita nel 1° Comandamento, mentre l’ultimo è sdoppiato nel 9° e 10°, come nel Deuteronomio. Questa schematizzazione è convalidata da S. Agostino come conveniente in quanto i precetti riguardanti Dio, in numero di 3, venivano ad alludere alla SS. Trinità. Anche Lutero ha ammesso questa impostazione.