Lewis, nel corso delle sue frequentazioni fantascientifiche, si era posto il problema del rapporto della Incarnazione e Redenzione di Cristo con gli altri mondi, e la sua risposta era stata subito chiara: no all’imperialismo teologico. Nel febbraio 1963 uscì un suo saggio, poco opportunamente intitolato dalla rivista americana su cui comparve Onward, Christian Spacemen (Avanti, astronauti cristiani): titolo di pessimo gusto che suscitò l’irritazione del suo autore (C.S. Lewis, Riflessioni Cristiane, Gribaudi, Torino 1997, 224-235). In tale saggio, Lewis è drastico quanto al compito dell’uomo verso gli altri mondi: lasciarli in pace.
«Non siamo ancora preparati per visitare altri mondi. Abbiamo già riempito il nostro con massacri, torture, sifilide, fame, disboscamenti, e con tutto ciò che è ripugnante per le orecchie o gli occhi. Dobbiamo andare a contaminare altri regni? Naturalmente potremmo trovare una specie più forte della nostra. In questo caso incontreremmo nello spazio se non Dio, almeno il suo giudizio […].
Furono in parte queste riflessioni che mi hanno spinto a scrivere un piccolo contributo per la fantascienza. In quei tempi gli scrittori di quel genere rappresentavano quasi sempre gli abitanti di altri mondi come mostri, e gli invasori terrestri come buoni, da allora è diventata abbastanza frequente anche la congettura opposta. Se potessi credere di aver contribuito in qualche modo a quel cambiamento, ne sarei orgoglioso. Tra l’altro lo stesso problema inizia ad affacciarsi in merito ai delfini. Non penso che sia stato ancora dimostrato che essi siano creature razionali. Ma se lo sono, noi non abbiamo più diritto di schiavizzarli, di quanto non ne abbiamo nei confronti dei nostri simili. E alcuni di noi continueranno a ripeterlo, anche se saremo derisi».
L’uomo è un pessimo maestro
L’uomo non redento si rivela un pessimo maestro nei confronti degli altri pianeti. Lewis si era già pronunciato sul tema della vita intelligente in altri mondi, ad esempio in un articolo pubblicato nell’aprile 1958 dal periodico «The Christian Herald», ove aveva fatto la supposizione che potessero esistere su altri pianeti animali provvisti di anime razionali cioè non solo della facoltà di astrarre e calcolare ma anche di comprendere i valori e di dare al termine buono un significato maggiore di quello di buono per me od anche di buono per la mia specie.
In tal caso, ci si può chiedere se per tali esseri vi sia stata una tentazione e una caduta, oppure no; e, nel caso di una caduta originale, se sia stata loro concessa o negata la redenzione mediante l’Incarnazione e Passione del Cristo, in quanto l’eterno Figlio, afferma Lewis, potrebbe essersi incarnato in mondi diversi dalla Terra ed aver così salvato altre razze oltre quella umana.
Ma se ciò fosse stato loro negato, prosegue, siamo sicuri che questo sia il solo modo di redenzione possibile? Perché, sostiene lo scrittore, «dobbiamo sicuramente credere che la divina carità sia fertile nelle risorse come è smisurata nella condiscendenza»; a diversi pazienti il grande Medico può aver applicato diversi rimedi, rimedi che noi probabilmente non sapremmo riconoscere come tali (Id., Religion and Rocketry, in The World’s Last Night and Other Essays, Harcourt, Brace and Company, New York 1960, 87).
Ambasciatori nello spazio
L’Incarnazione dà indubbiamente all’uomo una posizione centrale. Ma una simile posizione non implica affatto una qualche superiorità dell’uomo o un qualche favoritismo da parte di Dio.
«I non cristiani sembrano pensare che l’Incarnazione implichi qualche particolare merito o eccellenza nell’umanità. Ma naturalmente ciò implica proprio l’inverso: un particolare demerito e depravazione. Nessuna creatura che avesse meritato la redenzione avrebbe bisogno di essere redenta. Coloro che sono sani non hanno bisogno del medico […].
Noi sappiamo che cosa fa la nostra razza agli estranei. L’uomo distrugge o schiavizza tutte le specie che può. L’uomo civilizzato uccide, schiavizza, tradisce, e corrompe l’uomo selvaggio. Anche la natura inanimata la trasforma in terra arida e cumuli di scorie. Ci sono individui che non lo fanno. Ma essi non sono il tipo che probabilmente saranno i nostri pionieri nello spazio. Nostro ambasciatore per i nuovi mondi sarà il bisognoso ed avido avventuriero o l’esperto tecnico spietato. Essi faranno come la loro specie ha sempre fatto.
Che cosa sarà se essi incontreranno cose più deboli di loro, l’uomo nero e il pellerossa possono dirlo. Se essi incontreranno cose più forti, saranno, molto giustamente, distrutti. E se incontrassimo creature razionali che non sono umane, potendo, commetteremmo contro di loro tutti i crimini che abbiamo già commesso contro creature certamente umane ma differenti da noi per sembianze e pigmentazione; e il cielo stellato diverrebbe un oggetto che gli uomini buoni possono guardare solo con sentimenti di colpa intollerabile, pietà angosciosa e bruciante vergogna» (Ivi 86.89).
No all’Imperialismo teologico
Se invece l’umanità incontrasse nello spazio una razza non caduta, dapprima prenderebbe molto tempo per deridere, gabbare e sfruttare la sua innocenza, «ma dubito», prosegue Lewis, «che la nostra furberia per metà animalesca potrebbe esserle a lungo alla pari per divina sapienza, valori altruistici e umanità perfetta». Dopo il primo approccio di sfruttamento, forse manderemmo missionari; ma potrebbero anche i missionari essere creduti? «“Pistola e vangelo” sono stati orribilmente combinati nel passato».
Il santo desiderio di salvare le anime non sempre è stato distinto dall’arrogante desiderio, il prurito del ficcanaso, di civilizzare i nativi. Il protagonista di Lontano dal Pianeta Silenzioso, il filologo Ransom, si chiede se sia suo dovere evangelizzare i nativi, quando si accorge che sono loro, invece, ad evangelizzare lui.
Inoltre,
«saprebbero tutti i nostri missionari riconoscere una razza non caduta se la incontrassero? Ne sarebbero capaci? Continuerebbero a tormentare le creature che non hanno bisogno di essere salvate con quel piano di salvezza che Dio ha predisposto per l’Uomo? Non potrebbero denunciare come peccati mere differenze di comportamento che la storia spirituale e biologica di queste sconosciute creature giustificherebbe e che Dio Stesso ha benedetto? Vorrebbero cercare di insegnare cose per le quali essi hanno avuto insegnamenti migliori? Non lo so. Quello che so è che qui e ora, come nostra sola possibile preparazione pratica per tale incontro, voi ed io ci dovremmo risolvere a resistere contro ogni sfruttamento e ogni imperialismo teologico. Non sarebbe uno scherzo […].
La nostra lealtà è dovuta non alla nostra specie ma a Dio. Quelli che sono, o possono divenire, Suoi figli, sono nostri veri fratelli anche se hanno gusci o zanne. È spirituale, non biologica, la parentela che conta. Ma ringraziamo Dio che siamo ancora molto lontani dal viaggiare verso altri mondi. Ho chiesto prima d’ora se le vaste distanze astronomiche possano essere divine precauzioni di quarantena. Esse prevengono la diffusione del contagio spirituale di una specie caduta […]. Se ben ricordo, S. Agostino sollevò una questione sulla posizione teologica di satiri, monopodi, ed altre creature semi-umane. Egli decise che essa poteva ancora attendere che noi conoscessimo se ce n’era qualcuno. È possibile» (Ivi 89-92).
Il concetto di imperialismo teologico è eccezionalmente moderno, se si pensa che Lewis è vissuto ancora in tempi di colonialismo e che teologicamente l’idea di inculturazione del messaggio cristiano sarà espressa per la prima volta in tempi moderni in un documento ecclesiastico solo nel 1977 (Sinodo dei Vescovi, Messaggio al popolo di Dio, 5) nel senso di una evangelizzazione che esca dall’etnocentrismo europeo e che sia invece basata sulla conoscenza e l’accettazione di culture differenziate. Precedentemente, lo spazio, terrestre e non, era concepito come terreno di conquista dell’uomo occidentale: non tanto per una volontaria scelta di dispotismo, quanto per una inconsapevole forma mentis europeocentrica. C.S. Lewis usciva già da questi schemi.