
Negli anni Cinquanta si parlava tanto di dischi volanti e di marziani, o almeno così venivano chiamati in Italia gli Ufo e gli extraterrestri. La Guerra dei Mondi ci aveva insegnato a considerarli brutti e cattivi, C.S. Lewis aveva avuto il coraggio di pensarli come migliori di noi e non tocchi da un peccato di origine. Prendeva anche in considerazione varie ipotesi: di incontrare nello spazio una razza intelligente non caduta, non bisognosa di redenzione; di incontrare una razza caduta redenta; di incontrare una razza caduta non redenta, e allora… un unico consiglio: lasciarli in pace, Dio sa provvedere in modo meraviglioso alle sue creature senza che noi ci mettiamo di mezzo (l’articolo relativo QUI).
No ai missionari spaziali
Ma sul tema si era già espresso, pochi anni prima, un autorevole teologo della Pontificia Università Gregoriana, il gesuita P. Domenico Grasso, il quale, sollecitato dai tanti avvistamenti di dischi volanti in quel periodo e dalle chiacchiere ma anche delle ipotesi scientifiche che se ne facevano, aveva pubblicato un articolo sull’argomento (Domenico Grasso S.J., La teologia e la pluralità dei mondi abitati, «La Civiltà Cattolica» 1/11/1952 (103), IV, Q. 2457, 255-265).
L’articolo di P. Domenico Grasso
In tale articolo, il gesuita ricapitolava la storia delle posizioni teologiche al riguardo ed esprimeva, come poi ribadirà nell’intervista rilasciata ad Alfredo Todisco per «La Stampa» del 24 gennaio del 1960, tre ipotesi plausibili sull’eventualità dell’esistenza di vita intelligente non umana. Spiegava innanzi tutto che la Chiesa non si era ancora espressa ufficialmente sull’ipotesi di altri mondi abitati, per mancanza di informazioni attendibili sia dalla Rivelazione che dalla stessa scienza e perché l’interesse religioso e morale dell’umanità ancora non lo aveva richiesto. Precisava però che se la scienza avesse accertato l’esistenza su altri pianeti di esseri diversi fisicamente dall’uomo ma ragionanti e pensanti, la Chiesa non si sarebbe posta il problema di inviare missionari spaziali. Questo perché eventuali abitatori di altri mondi apparterrebbero ad un diverso piano di provvidenza e non avrebbero nulla a che fare con la Chiesa terrestre. Puntualizzava già nel 1960 P. Domenico Grasso:
«Il piano di provvidenza che regola la nostra umanità si riassume in due avvenimenti fondamentali: il peccato originale e la Redenzione. Gli abitanti dei mondi extra terrestri, sono fuori di questo ordine di provvidenza, appunto perché non provengono da Adamo, e quindi non sono soggetti alla sorte sua e dei suoi discendenti. Per essi Dio ha concepito ed attuato un altro piano, uno dei tanti possibili nei riguardi delle creature intellettuali» (in Alfredo Todisco, Gli eventuali abitanti di altri mondi non dovranno ubbidienza alla Chiesa, «La Stampa» 24/01/1960, n. 21, 3).
Ipotesi
La prima ipotesi possibile è che gli eventuali extraterrestri, sottoposti a tentazione, l’abbiano superata venendo confermati in uno stato di bontà e di felicità spirituale e materiale da noi inimmaginabile, ipotesi che farebbe apparire la Terra come la pecorella smarrita degli spazi infiniti.
La seconda è l’ipotesi che abbiano invece anch’essi fallito la prova e siano stati redenti (e allora sarebbero simili agli uomini), oppure non lo siano stati, e allora la loro vita sarebbe un inferno e la Terra un’isola felice.
Infine, nella terza ipotesi questi esseri vivrebbero in una condizione puramente naturale, senza peccato né redenzione, e quindi dopo la morte conoscerebbero una felicità semplicemente naturale come, secondo l’opinione comune a quei tempi, i giusti morti senza battesimo.
In una qualsivoglia di queste ipotesi, il terreno comune sarebbe quello della legge naturale, dei Dieci comandamenti insomma, su cui incontrarsi e collaborare. La visione che Lewis aveva della vita intelligente su altri pianeti è sostanzialmente coincidente con queste idee, ma caratterizzata da un maggior pessimismo. Il 7 maggio 1963, pochi mesi prima della morte, lo scrittore fu intervistato sullo stesso tema e dichiarò:
«Guardo con orrore al contatto con altri pianeti abitati, se ce ne sono. Porteremmo lì solamente tutti i nostri peccati e le nostre avidità, stabilendo un nuovo colonialismo. Non riesco a sopportarne l’idea. Ma se noi sulla terra fossimo a posto con Dio, naturalmente tutto cambierebbe. Quando ci saremo spiritualmente risvegliati, potremo andare nello spazio e portarci le cose buone. Così sarebbe tutt’altra storia» (C.S. Lewis, Essay Collection and Other Short Pieces, HarperCollins, London 2000, 555).
Xenofobia umana
La xenofobia tipica, a quanto pare, dell’essere umano è magistralmente evidenziata in un racconto di Fredric Brown del 1962, Puppet Show, in italiano Il Vecchio, il Mostro spaziale e l’Asino.
Quando l’orrendo umanoide incaricato dall’Unione Galattica di testare la capacità di tolleranza e convivenza pacifica dei terrestri si rivela per quello che è, un automa manovrato da un perfetto esemplare della razza umana, provoca un sospiro di sollievo nel capo della delegazione terrestre: «Devo riconoscere che è un sollievo sapere che la razza dominante della galassia è umana anziché umanoide». Ma anche questi è un automa, e sarà l’asino, invece, il terzo e apparentemente meno qualificato membro del gruppo, a porre la domanda fatidica per l’umanità: «Il teatro dei burattini è finito, colonnello. E ora, cos’è questa storia che preferite che la razza dominante sia umana, o almeno umanoide? Che cos’è una razza dominante?» (Fr. Brown, Il Vagabondo dello Spazio, 372-381).
Sul tema della razza dominante lo stesso scrittore ha pubblicato uno spassoso racconto ancor più breve e succintamente ironico: l’ultima coppia di vampiri rimasta sulla terra fugge con una macchina del tempo nel più remoto futuro per scampare alla caccia spietata nei loro confronti, ma sempre l’uomo si ricorda dei vampiri e li perseguita, e così pure i cani che soppianteranno gli uomini come razza dominante del pianeta. Finalmente, nell’estremo tentativo possibile, i vampiri stremati dalla fame si rallegrano di aver trovato sulla Terra una razza dominante che non li odia e neppure si ricorda di loro: libertà e cibo per i poveri vampiri! Ma, ahimè! la razza evolutasi infine a dominare la terra è quella delle rape! (Id., La razza dominante in Il Vagabondo dello Spazio, 370 s.).
La razza dominante
Che cos’è mai una razza dominante? Concludeva nel 1985 A. Scacco:
«È la stessa domanda che sulla Terra milioni di persone rivolgono ai loro simili, ma la risposta tuttora è l’apartheid in Sudafrica, il Gulag in Russia e l’uccisione per mani di sicari prezzolati negli Stati Uniti. Come credenziali da esibire a un eventuale visitatore da altri mondi, questi aspetti della realtà odierna non sono certo lusinghieri. Ma è motivo di speranza la condanna morale, che si leva da tutto il mondo civile, contro il tentativo di rendere infrangibili le catene del razzismo e di perpetuare le condizioni di miseria e di inferiorità di larga parte dell’umanità. A tale speranza anche la science fiction dà un valido contributo, poiché la sua funzione, come affermò Sergio Solmi, è quella “di condurci al di sopra dei ponti, dei corridoi e delle sentine, che vanno facendosi sempre più afosi e chiusi, degl’inferni realistici contemporanei, ‘a riveder le stelle’”» (Il gioco dei mondi, 90).