Viaggio nella Bibbia. Il cammino nel deserto

Nel deserto
Tissot, La raccolta della manna

Il cammino nel deserto inizia all’insegna del malumore.

Esodo 16,2 «Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. 3 Gli Israeliti dissero loro: “Fossimo morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”».

L’euforia per la liberazione e la salvezza passa presto, evidentemente; subentra la percezione del disagio per la scarsità di cibo, facendo rimpiangere la schiavitù. Poi viene la sete, con l’accusa di aver fatto uscire Israele dall’Egitto per farlo morire nel deserto; poi sopraggiungono i nemici, gli amaleciti; si manifestano le tensioni interne al popolo e le liti (Es 16-18). Ogni volta, Dio risponde venendo in aiuto: con la manna, con l’acqua che sgorga dalla roccia, con la vittoria, con l’ausilio degli anziani.

Il significato del deserto

Il deserto non è solo un luogo geografico. La vicenda dell’Esodo è un paradigma di liberazione, anzi un paradigma della vita intera. L’Egitto è il luogo di ogni schiavitù:

  • sociale (oppressione di una classe da parte delle classi superiori),
  • politica (tirannia di stato),
  • economica (sfruttamento del lavoro),
  • religiosa (la schiavitù dell’idolatria rispetto all’adorazione dell’unico Dio),
  • morale (la schiavitù del peccato), e così via.

La Terra Promessa è la meta da raggiungere. Ma nell’ambito della vicenda narrata nel Pentateuco questa meta non si raggiunge mai, vi si arriva solo vicini. L’ultimo libro del Pentateuco, il Deuteronomio, si conclude con il popolo nuovo di Israele pronto ad entrare nella Terra Promessa; ma quel passo non viene ancora compiuto. L’ambiente in cui si muove la vita è il deserto, una terra di passaggio che però occupa tutta l’esistenza. Pellegrini nel deserto, ecco che cosa ci viene detto che siamo.

E il deserto è il luogo che ti guarda in faccia, il luogo della radicalità; non tollera compromessi: o si vive secondo i suoi dettami o si perisce. È il luogo in cui l’uomo si trova solo con Dio; le risorse umane si sono eclissate, solo Dio può essere salvezza.

Perciò, il deserto è il luogo della prova. Nella Scrittura viene visto in due modi opposti; come luogo dell’idillio della giovinezza con il Signore (nella letteratura profetica) o come luogo della ribellione e della caduta. È quest’ultimo il senso in cui il deserto compare nelle narrazioni del libro dell’Esodo e del libro dei Numeri.

Il cammino di Israele nel deserto

Dopo la stipulazione dell’alleanza e il dono della legge (Es 19-31), stessa cosa: il popolo si dà all’idolatria e ai bagordi. Dopo tante prove divine – sì, prove in cui Israele ha sempre fallito, mentre Dio si è sempre dimostrato fedele – ancora Israele ha bisogno di materializzare il divino, di farsi idoli da vedere e toccare, proprio come facevano gli egiziani. C’è un detto rabbinico: «Per Dio è stato più facile far uscire Israele dall’Egitto che far uscire l’Egitto da Israele». Israele i suoi idoli personali se li è portati dentro (bisogno di sicurezze umane, bramosie di ogni genere, avidità di denaro e di potere) e solo lui li può far uscire. Come diceva S. Agostino, «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sermo CLXIX, 13).

Tuttavia il Signore sempre perdona, rinnova la sua alleanza e mostra a Mosè la sua Gloria (Es 34); tanto che viene costruito il santuario del deserto, dimora di Dio con gli uomini (Es 35-40).

Replay

Dopo l’emanazione di altri codici legislativi presenti nell’intero libro del Levitico e nella prima parte del libro dei Numeri (1-10), riprende la storia, tale e quale. Israele è stanco della manna, e Dio manda le quaglie. Il popolo protesta, e Dio dà il suo spirito ai giudici (Nm 10-12). La paura dei nemici impedisce ad Israele di entrare nella terra promessa; Dio perdona, ma il popolo dovrà camminare nel deserto, osservando fedelmente la legge, finché non si sia estinta la generazione dei ribelli (Nm 13-15).

Il cammino di Israele è un continuo succedersi di ribellioni, di cadute, di mormorazioni, cui Dio risponde regolarmente con il suo aiuto. Degno di nota è l’ennesimo episodio di ribellione che vede per protagonisti Core, Datan e Abiram, che si vogliono appropriare delle prerogative sacerdotali in nome della santità di tutta la comunità (Nm 16-19). Anzi, la ribellione si estende a macchia d’olio fra il popolo, e ancora una volta il Signore interviene a punire i colpevoli e conferma il sacerdozio di Aronne e dei suoi discendenti.

Un Dio interventista?

Si noti, in questa immagine tradizionale della caduta della manna dal cielo, come Mosè sia riconoscibilissimo fra gli altri non solo per l’atteggiamento che lo distingue, ma anche… per le corna che inalbera sulla testa

Dunque, questa storia funziona così: Israele si lamenta e Dio interviene per soccorrerlo. Israele pecca e Dio lo castiga ma lo perdona e lo salva. Ad ogni passo, Dio si manifesta con i suoi miracoli o con la sua Provvidenza.

La manna e altri fenomeni provvidenziali

Possiamo parlare di Provvidenza, perché anche nel caso degli eventi del deserto si riscontra l’esistenza di fenomeni naturali con cui sono identificabili. La manna, ad esempio: è la secrezione mielosa prodotta dalla tamarix mannifera; quando la stagione è al culmine se ne può raccogliere anche un chilo a testa al giorno.

Una produzione simile, ma in altro ambiente geografico, deriva dalla raccolta di resina del Fraxinus Ornus od Orniello. La menziono solo perché tale produzione, in tutta Europa, avviene ancora solo in Sicilia; è importante perché da tale resina si produce la mannite, tuttora largamente usata in farmacia. Nei libri seicenteschi delle spese del convento della Verna, per quanto riguarda la spezieria che era in buona parte autonoma, si notano ripetuti acquisti di «manna di Maremma», prodotta da frassini che allignavano ad altitudini diverse da quella del «Crudo sasso intra Tevero e Arno».

Ipotesi

Altra ipotesi proposta è quella che spiega il fenomeno della manna con un piccolo lichene, la Lecanora esculenta, diffusa sui monti dell’Asia Minore, che, una volta essiccata in forma di scaglie bianche, viene sollevata dal vento a grandi altezze. Quando il vento cessa, il lichene ricade sulla terra come una vera e propria pioggia, provvidenziale per i popoli nomadi.

Anche lo sgorgare dell’acqua dalla roccia può essere spiegato con la natura molle e porosa delle rocce calcaree, capaci di trattenere l’acqua delle rare piogge nel deserto. Le quaglie, poi, sono di passo, in grandi stormi, nella penisola sinaitica.

Nella narrazione degli eventi dell’esodo, gli agiografi passano sopra le cause seconde, quelle naturali; tutto viene riconosciuto dipendente dalla volontà di Dio, causa prima di ogni essere e di ogni dono. Tutto quanto è accaduto nel deserto viene visto in rapporto alla storia della salvezza.

Intervento o Provvidenza?

Come per le piaghe d’Egitto, anche qui dobbiamo osservare che il fatto che gli eventi siano frutto di fenomeni naturali non cambia il quadro del problema: prodigi causati direttamente da Dio, o fatti naturali utilizzati provvidenzialmente per la salvezza di Israele, la salvezza degli uni avviene a spese della sofferenza degli altri (gli amaleciti, ad esempio) o comporta l’eliminazione degli increduli e dei ribelli (come nel caso della ribellione di Core).

Il quadro dell’Esodo è decisamente cruento, molto più del racconto di Genesi (ove sono comunque presenti episodi di violenza sui quali avremo occasione di tornare). Nella vicenda di Giuseppe l’ebreo, ad esempio, Dio sembra assente, presente solo nella fede del giovane protagonista, la cui sofferenza torna a beneficio della sua gente (un’analisi QUI).

Con la riflessione sulla causa della sofferenza nei racconti delle origini; la meditazione sulla prova di Abramo (Genesi 22); e l’esame del valore della sofferenza del giusto Giuseppe, il libro della Genesi si rivela molto più maturo di quanto segue. L’interventismo – se così si può dire – del Dio di Mosè può rafforzare nella fede, ma può anche deludere qualora poi nella vita attuale questo risulti, invece, assente.

Perché Mosè veniva rappresentato… con le corna?

Anche la famosissima scultura di Michelangelo colloca sulla testa di Mosè due cornetti che ci possono sorprendere. Tutta colpa di San Gerolamo!

Ottimo traduttore della Bibbia in latino dai testi originali, quindi non più dalla versione greca dei Settanta, come avveniva nei primi secoli del cristianesimo, ma direttamente dal testo ebraico, San Gerolamo aveva addirittura studiato la lingua presso maestri ebrei per essere in grado di ben interpretare la grande lingua dell’Antico Testamento; la sua Vulgata meritatamente divenne la versione ufficiale della Bibbia per la Chiesa latina.

Talvolta, però, prese delle cantonate: come quando, appunto, in Es 34,29, in riferimento a Mosè, tradusse l’ebraico qaran = «era raggiante» con «era cornuta»: «ignorabat quod cornuta esset facies sua», «ignorava che la sua faccia fosse cornuta»… e così, Mosè nell’arte di tradizione romana le corna se le è tenute finché la Chiesa latina non ha ripreso a tradurre la Bibbia dai testi originali.