«Sono il primo slavo che si sia mai seduto sulla cattedra di Pietro, e il primo pontefice non italiano dopo quattro secoli e mezzo».
Parole di Karol Wojtyila quando è stato eletto al soglio pontificio nel 1978? Macché, questo testo è stato pubblicato nel 1963 ed appartiene ad un romanzo composto fra il 1961 e il 1962 – vivente ancora papa Giovanni – da Morris West, Nei panni di Pietro, in originale The Shoes of the Fisherman (Le scarpe del Pescatore) dato che in inglese non si dice mettersi nei panni di ma essere nelle scarpe di, il che è più preciso, perché i panni si allargano e si adattano, le scarpe invece no.
Nei Panni di Pietro (1963)
Il romanzo uscì nelle librerie di tutto il mondo proprio il giorno della morte di papa Roncalli, il 3 giugno 1963. Fu un vero best seller, il libro più letto al mondo in quell’anno. Probabilmente lo lessero anche i cardinali. Ma non fu allora che venne eletto un papa slavo venuto da un paese lontano, un papa che aveva patito durante la guerra e poi sotto il regime. Il romanzo divenne un bel film nel 1968, titolo italiano L’uomo venuto dal Kremlino, cast stellare che comprendeva tra gli altri Anthony Quinn, sir Laurence Olivier, Vittorio De Sica, Arnoldo Foà e Leo McKern; e ancora nessuno immaginava che uno straniero avrebbe potuto indossare i panni (o calzare le scarpe) di Pietro.
Per una clip del film: QUI.
Idee impensabili
Il sospetto che qualche cardinale e anche qualche papa l’abbia letto ce l’ho, perché questo libro, pur con i difetti di un romanzo commerciale, è fecondo di idee allora inaudite e impensabili, come quella dei continui viaggi nazionali e internazionali; quella del papa che si veste da semplice sacerdote e gira per i vicoli di Roma entrando nelle case della povera gente (e degli ebrei, in cui, secondo lo sceneggiatore, recita addirittura lo Shema‘ per un defunto); e quella del papa che si offre come umile confessore alla semplice gente:
«Non posso permettere che il mio ufficio mi separi dal contatto diretto con la gente; ed è per questo che farei bene ad andare a sedermi in confessionale almeno un’ora alla settimana, per amministrare il sacramento a chi entra in San Pietro a quell’ora» (p. 96).
Se per certi aspetti questo personaggio riprende lo spirito di Giovanni XXIII, per altri anticipa i gesti di Giovanni Paolo II e, più recentemente, di papa Francesco.
Il contesto
Il papa del romanzo è il vescovo russo Kiril, nominato cardinale dopo 17 anni di prigionia nel regime sovietico; prigionia e tortura che lo ha segnato duramente nel corpo e nello spirito e dalla quale viene liberato proprio dal suo ex carceriere ed aguzzino Kamenev, divenuto capo dello stato in un momento critico di guerra fredda che sta per diventare guerra atomica. Sarà l’opera mediatrice del sommo pontefice a scongiurarla, o meglio a rimandarla: perché anche il romanzo successivo dell’autore (I giullari di Dio, 1981, che sarà seguito da Lazzaro, 1990 ed Eminenza, 1998 formando con il primo una vera e propria tetralogia vaticana), è condotto sul filo della guerra nucleare e della catastrofe planetaria. Questi romanzi si potrebbero definire fantapolitica, ma neppure la fantascienza precedente al crollo del muro di Berlino poté preconizzare la fine del comunismo sovietico.
Nei panni di Pietro: Il Papa slavo
Il personaggio è ispirato a due figure storiche: il vescovo Gregorio Lakota deportato da Stalin in Siberia dove morì dopo 4 anni (è stato beatificato come martire nel 2001); e il cardinale Yosip Slipyi anch’egli deportato in Siberia e Mordova e liberato dopo 18 anni da Krusciov dietro le pressioni politiche di Giovanni XXIII e JF Kennedy. Poi nel romanzo (e nel film) le vicende del pontefice si intrecciano con quelle di altre personaggi, lo scienziato gesuita P. Télémond che rispecchia le vicissitudini di Tehilard de Chardin, e un giornalista americano dalla complicata vicenda amorosa che riflette in parte quella del suo autore.
Nei panni di Pietro: Il Papa sofferente
La figura di Kiril Lakota è quella di un sofferente che sente tutto il peso delle scelte che deve compiere per il bene della Chiesa e del mondo e della solitudine cui il proprio ruolo lo condanna:
«Nella confusione del mio spirito mi diedi a una meditazione sulla passione e morte del Maestro. Cominciai a capire oscuramente il significato dell’agonia nell’orto del Getsemani, quando il turbamento del suo spirito d’uomo si comunicò così dolorosamente al Suo corpo da cominciare a disintegrarlo in un sudor di sangue… Per un momento afferrai anch’io il significato del suo grido desolato dalla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”.
In quel momento credo che Egli abbia visto, come io la vedo ora, la follia selvaggia di un mondo impazzito che esplode in una fuga dal suo centro. In quel momento la Sua vita e la Sua morte dovettero apparirgli di un’immensa futilità: così come paiono a me la mia vita e tutti i miei sforzi come Suo vicario. Eppure Egli la sopportò, e così devo fare io. Se Lui, Uomo-Dio, ha sofferto così, senza conforti da parte della divinità, come posso, io, rifiutare il calice che Egli mi porge?» (p. 190 s.).
E, in fondo, «quando il poeta scrive non c’è bisogno che la penna capisca il suo verso» (p. 305).
Una tetralogia vaticana
Ma le sorprese che ci riserba Morris West non finiscono qui. Nel successivo romanzo della serie “vaticana”, I giullari di Dio del 1981, ci fa trovare di fronte ad un papa dimissionario; anzi, ad un papa costretto alle dimissioni dal pontificato, che si ritira in un monastero. Era dal 1415, in pieno scisma d’Occidente, che un papa non rinunciava al suo ministero (in quell’occasione per porre, appunto, fine allo scisma). L’istituto dell’abdicazione pontificia, pur previsto dal diritto canonico, sembrava passato nel dimenticatoio.
I Giullari di Dio
Ed ecco che questo secondo romanzo, subito dopo un papa slavo, ci presenta un papa dimissionario, 32 anni prima che questo accada davvero. Il clima storico è ancora quello preapocalittico della guerra fredda, benché i fatti siano datati agli anni Novanta; e anche stavolta la terra scamperà dalla catastrofe. I toni in questo romanzo sono ancor più fantascientifici e la trama è poco credibile, con il papa dimissionario che se ne va in giro per l’Europa a divulgare la sua presunta visione di una fine del mondo che poi sarà rimandata, e la comparsa di Gesù Cristo in persona come deus ex machina della vicenda: nemmeno C.S. Lewis ha osato immaginare tanto.
Lazzaro
Gli intrighi politici, di tono più realistico, continuano in Lazzaro (1990). Nessuna sorpresa “pontificia” questa volta, bensì una spy-story in cui la fanta-teo-politica non è più così spinta, mentre l’autore preferisce riportare per bocca dei suoi personaggi le problematiche che secondo lui agitano profondamente una Chiesa retrograda: il controllo delle nascite, il celibato ecclesiastico, il sacerdozio femminile, e chi più ne ha più ne metta. West continuava a considerarsi un cattolico impegnato (aveva svolto per il «Daily Mail» dal 1957 al 1963 l’incarico di corrispondente dal Vaticano); tuttavia aveva una dolorosa vicenda matrimoniale per la quale aveva chiesto la dichiarazione di nullità senza ottenerla. Questa situazione personale continuava a pesare su di lui e sulla sua opera.
Eminenza
Un realismo ancora maggiore nell’ultimo volume, Eminenza del 1998, in cui la storia del protagonista si profila, pur senza far nomi, sul contesto del lungo pontificato di Giovanni Paolo II, con le pesanti critiche che ne conseguono. Riconoscibilissima, sempre senza far nomi, la figura del cardinal Martini. Il conclave che egli anticipa però torna ad essere sorprendente; infatti, il preferito – ma non vi dico come va a finire – sarà un cardinale argentino dal cognome italiano, e per di più ansioso di rinnovamento!
L’anno dopo, West è morto ottantatreenne, e un suo ultimo romanzo è uscito postumo e incompiuto. Peccato che non abbia potuto scrivere più a lungo: magari, il suo successivo papa sarebbe stato… marziano.