In nome di un Natale Politicamente corretto

L’immagine è la modifica di una foto di Gerd Altmann da Pixabay

Eh no, qualcosa bisogna che la dica. A me piace ironizzare, e qui di materiale ce n’è veramente abbastanza. In nome di un Natale Politicamente corretto la menzione di Gesù si trasforma in Cucù (se non fosse comico si potrebbe quasi considerare blasfemo) mentre nel Presepe (in una chiesa!), per renderlo inclusivo, si mettono due Mamme eliminando San Giuseppe… in un colpo solo, cancelliamo la storia, scaraventiamo via il patriarcato e includiamo le famiglie queer… cosa si può desiderare di più? Ma andiamo per ordine.

La cometa birichina non annuncia la nascita di Gesù, ma fa Cucù

Fonte: https://www.dire.it/21-12-2023/996051-cucu-al-posto-di-gesu-scuola-padova-testo-modificato-canzone/

No, non è stato cambiato il nome di Gesù: è stato eliminato proprio, da una canzone natalizia che doveva far parte della recita scolastica in quel di Agna in provincia di Padova. Le maestre, ufficialmente per non ferire i sentimenti dei bambini di altre religioni, hanno preso il testo di una canzone, «La cometa», lo hanno censurato, e la frase in cui la cometa annunciava «che sta per nascere Gesù» è diventata, per ragioni di rima Politicamente corretta, «E dall’alto fa cucù», beata lei!

Tengo a precisare che la presenza della cometa nel Presepe è una invenzione giottesca: il segno celeste era tutt’altro, vedere QUI. Ma il problema è un altro.

Una festa nel cielo blu: perché?

In un successivo passaggio del testo, sempre per le stesse ragioni, «il Natale di Gesù» è divenuto «una festa nel cielo blu». Quali siano i motivi di questa birichinata da comete, e di questa gioia generale, rimangono sconosciuti se non confusi, dato che poi si parla di angeli (ma gli angeli piacciono alla cultura New Age) e soprattutto di un bambino che svelerà il mistero: tuttavia è scritto con la minuscola, quindi può essere chiunque.

A diffondere questi testi è stato il governatore Luca Zaia dalla sua pagina Facebook, commentandoli con alcune argomentazioni per me condivisibili:

«L’avvenuta modifica in maniera artificiosa di una canzone di Natale nel nome di una teorica voglia di inclusione e rispetto è un grave errore: pensare di favorire l’accoglienza cancellando i riferimenti alla nostra religione, alla nostra identità, alla cultura che da secoli e secoli caratterizza il Veneto è un gesto che non possiamo accettare. Innanzitutto ricordiamo che non stiamo parlando di una preghiera, ma di una canzone. L’imposizione di una preghiera a bambini di altra fede potrebbe certamente essere subita come una forzatura. Ma questo è un testo musicale, con un profilo identitario. Incomprensibile, siamo in un Paese dove si difende giustamente qualsiasi prodotto artistico e intellettuale anche nei suoi contenuti più forti, ma in questo caso si permette di intervenire su una canzone modificandola e stravolgendola così, nel nome del “politically correct”: un’intera comunità si interroga sul perché di questa scelta».

I doni di Dio

Fonte: https://www.dire.it/21-12-2023/996051-cucu-al-posto-di-gesu-scuola-padova-testo-modificato-canzone/

C’è poi un altro testo che è stato cambiato, la canzone che si intitola «Un dono, un regalo». Nel testo originario c’era un passaggio che recitava: «I doni sono cose che Dio dà con piacere». Via, per carità, cancellazione, e il testo è diventato: «I doni sono cose che tutti riceviamo con piacere». Complimenti per la banalità lapalissiana! Mi compiaccio invece di cogliere, in questo povero testo maltrattato, la differenza fra regali e dono che avevo cercato di analizzare QUI.

Il maestro di musica e i genitori

Il primo ad essere sorpreso da queste censure è stato l’autore di entrambe le canzoni, testo e musica, Josè Angel Ramirez, maestro di musica della scuola. È rimasto «spiazzato» da queste modifiche di cui non sapeva nulla, ha affermato nelle interviste. Le avrebbe apprese solo nel giorno in cui i bambini dovevano mettere in scena la recita di Natale. Recita su cui però pendeva la minaccia di diverse defezioni da parte delle famiglie, alcune delle quali hanno deciso, per protesta, di tenere i bambini a casa e non farli partecipare.

Fonte Agenzia DIRE www.dire.it

Le maestre

In conclusione, poi, le maestre si sono scusate per l’infelice scelta, riconoscendo l’errore:

«Non era assolutamente nostra intenzione mancare di rispetto ai bambini e alla comunità intera. Tutto ciò che viene fatto nella scuola è sempre stato fatto a favore della crescita, per una formazione umana, culturale e civile dei bambini. Sottolineiamo il nostro grande dispiacere per questa vicenda. C’è la nostra piena consapevolezza che l’inclusione si fa non togliendo dei riferimenti religiosi e culturali fondamentali, che peraltro connotano la nostra storia e la nostra cultura. Da sempre si opera con l’intenzione e l’impegno di educare nel rispetto e nella sensibilità di tutti.

Nonostante la modifica purtroppo effettuata su una canzoncina, non abbiamo mai pensato di intaccare il significato della Natività che abbiamo comunque valorizzato con altri testi e con la realizzazione dei presepi. L’intento era di trasmettere il messaggio del dono, dell’incontro, del rispetto, dell’uguaglianza, dell’accoglienza, accompagnando tutti a conoscere il vero valore del Natale, senza rinunciare al simbolo del Natale, la Natività. Siamo consapevoli del pesante errore che ha urtato comprensibilmente la  sensibilità delle famiglie. La dirigente scolastica si dissocia completamente dalle scelte effettuate, delle quali peraltro non era stata messa in alcun modo a conoscenza. Ribadisce quanto già  dichiarato in relazione al compito della scuola che nel rispetto della storia, dei valori e della cultura del nostro Paese – concludono – educa all’accoglienza, all’inclusione, al rispetto dei diritti di ciascuna persona».

Per un Presepe Politicamente corretto: San Giuseppe, fuori!

Foto di Alexa da Pixabay

Di tutt’altro genere, e molto seria invece, l’idea pastorale di don Vitaliano, parroco nell’Avellinese: «Ci sono tanti modi di essere famiglia». Allora, perché non rappresentare come Gesù nasca anche in una famiglia queer? «Per questo ci sono due mamme nel presepe: la luce del Natale quest’anno la vedo risplendere anche su queste famiglie colpite da critiche e condanne disumane e antievangeliche».

Il discorso di don Vitaliano è tremendamente serio. «Intorno all’esclusione si gioca moltissimo della sopravvivenza dignitosa di miliardi di esseri umani. Con il primato dell’economia abbiamo costruito un tipo di società che per sopravvivere ha bisogno di escludere, di respingere ai margini o in mare». Punta quindi il dito anche contro un certo tipo di Chiesa, che relegherebbe «ai margini autentici testimoni di Gesù Cristo che urtano il potere, che battono vie nuove, quelle strade su cui subito prendono a camminare gli ultimi, i poveri di Dio, e sulle quali invece inciampano, scandalizzati, i benpensanti. Invece proprio la logica dell’inclusività è l’avvenire della Chiesa, una Chiesa che non emargina, non usa la pesante scure del giudizio contro nessuno, una “Chiesa degli esclusi e non dell’esclusione” come diceva monsignor Gaillot, capace di accogliere, di portare tutti in seno».

Una pastorale contro l’esclusione…

Permettendomi un piccolo commento a margine, devo premettere che, anche quando le narrazioni bibliche si presentano come profondamente incarnate nella storia, non si deve escludere in esse la possibilità della presenza di un simbolismo. Ecco perché nel Presepe si può mettere di tutto, dai dinosauri (simbolo di un mondo in via di estinzione che ha bisogno di salvezza) agli improbabili cinesi o australiani o nativi americani di oggi, sconosciuti nella Palestina di 2000 anni fa. Io stessa ho tutta una serie di piccoli presepi etnici, acquistati di anno in anno grazie alla rete del Commercio Equo e Solidale, che senza problemi mettono accanto al Bambino animali di ogni genere (balene, pinguini, tucani, lama, panda…) con i personaggi dei rispettivi paesi. Natale è ovunque e in ogni tempo, benvenuto il simbolismo.

Va bene allora quando don Vitaliano pone Gesù sul gommone, per risvegliare le coscienze nei confronti dell’emergenza migranti; va ancora bene quando nella mangiatoia mette delle scarpe rosse per richiamare l’attenzione sui femminicidi. Può anche essere discutibile, ma non altera il senso della Natività, anzi lo attualizza. Ma togliendo San Giuseppe, e sostituendolo con una seconda Madonna, si arriva ad un non senso.

L’intenzione, con questo presepe LGBTQ+, sarebbe quella di rimarcare nella società la presenza di famiglie inusuali per la Chiesa. «Ogni anno la comunità prepara il presepe tradizionale e io ne regalo uno ai fedeli con un tema di attualità. Il primo presepe, realizzato da San Francesco nel 1223 era un atto di denuncia caritatevole e fraterna. Era legato sì, alla Natività, ma San Francesco voleva ricordare ai suoi seguaci l’importanza di seguire la povertà radicale, dal momento che loro se ne stavano allontanando. Voleva ribadire che Gesù era nato povero».

… togliendo San Giuseppe che è simbolo di inclusione?

Ora, non è per giudicare le persone che fanno scelte diverse dalle mie, ma qui c’è qualcosa che non torna. Sbaglio o includere vuol dire aggiungere? Adesso vuol dire togliere, escludere? Rimuovere San Giuseppe sarebbe un atto di inclusione? Io lo vedo come un atto di Cancel Culture nel senso deteriore, cancellazione a proprio piacimento di un passato che invece esiste. In questo caso, sarebbe il patriarcato.

Ebbene sì, San Giuseppe è patriarca e figlio di patriarchi: la cultura dell’epoca era fatta così. Il Vangelo di Matteo ne elenca 42 nella genealogia di Gesù, da Abramo a Giuseppe, appunto.

E le donne? Matteo le include, contrariamente all’uso che voleva le genealogie solo maschili; e che donne! Tutte straniere; una, Tamar, è la nuora incestuosa di Giuda figlio di Giacobbe. Una seconda, Rahab, è una prostituta di Gerico. La terza è una gentile fanciulla, Ruth, peccato che venga da Moab, popolo infame per eccellenza perché – ma guarda un po’ – osteggia gli stranieri. Dell’ultima, Matteo non fa neppure il nome, è «quella di Uria», la famigerata adultera Betsabea. Straniere e peccatrici, eppure matriarche di una linea genealogica che porta al Messia, queste quattro donne (4 è numero cosmico) rappresentano in Matteo l’universalità della salvezza, una salvezza inclusiva, diremmo oggi.

E il risultato di questa storia di umanità a tutto tondo e di peccato è Giuseppe, da cui discende non biologicamente, ma solo secondo la legge Gesù di Nazareth: proprio lui vogliamo togliere, lui che assume un figlio non suo rispettando il mistero della sua provenienza e che dedicherà tutta la vita ad una Sposa che non è sua sposa e ad un Figlio che non è suo figlio? Proprio lui vogliamo togliere dal Presepe?

L’intervento di don Maurizio Patriciello

L’immagine del presepe è tratta da Facebook di don Vitaliano: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=858864402913586&set=a.440008688132495&type=3&ref=embed_post

Ricevo un supporto alle mie idee niente meno che da don Maurizio Patriciello, altro prete di frontiera, parroco del Parco Verde di Caivano in provincia di Napoli, periferia di estrema degradazione sociale. Scrive su Facebook il seguente messaggio, riportato da L’Unità [sic]:

«Caro don Vitaliano, caro confratello nel sacerdozio, si può e si deve discutere di tutto. Dobbiamo allargare il cuore e la mente fino a lacerarli. Avendo però sempre rispetto per l’intelligenza, la sensibilità e la fede del popolo di Dio. “Quella” famiglia nel presepe ci è cara. Tanto. Troppo. Racconta una storia. Per chi crede, quel Bambino è figlio di Dio. Siamo all’origine di una storia millenaria. E non solo di fede. A nessuno – in particolare a un prete – è dato di manometterne – arbitrariamente – il significato e la struttura. In appositi contesti discuteremo di altro. Nessun veto. Nessuna paura. Nessuna inibizione. Nessuna esclusione. La Chiesa – lo sai bene – non ha nemici. Ritorna sui tuoi passi. Cerca di fare un piccolo atto di umiltà. Chiedi scusa. Togli la statuetta aggiunta e rimetti san Giuseppe al suo posto. Gli compete di diritto. Maurizio Patriciello».

Non ho altre parole.