La clausura fu violata in molti monasteri femminili a Roma nell’emergenza della carità, e questo avvenne per salvare i ricercati tra cui gli ebrei. Alla fine della guerra, il prof. Onorato Tescari, che collaborava attivamente col Vaticano e conosceva bene quanto si era fatto nei conventi e anche nei monasteri di clausura, descriveva sull’Osservatore Romano alcuni aspetti dell’aiuto:
«Coloro che in cotesto campo della carità si dimostrarono vere eroine, furono le suore che travestirono da consorelle donne ebree (di null’altro colpevoli di essere sangue di Gesù e di Maria), che violarono la secolare clausura per dare ricetto a uomini per ragioni di razza o politica perseguitati, che accolsero bimbi di fuggitivi, che si prestarono a falsificazioni di documenti personali procurando esse stesse o agevolandone il conseguimento: l’opera grandiosa e pericolosa compiendo con semplicità e coraggio e disinteresse indicibile» (articolo trascritto nel Memoriale del monastero dei Santi Quattro Coronati riportato in 30Giorni (2006)7-8, p. 38-39).
Nonostante i pericoli che correvano le monache, la Santa Sede aveva aperto anche le porte dei monasteri di clausura. L’obbligo della clausura fu superato per diretto incoraggiamento delle autorità ecclesiastiche già il primo ottobre 1943, presso le Suore di Nostra Signora di Sion.
Religiose di Nostra Signora di Sion
La congregazione di Nostra Signora di Sion era stata fondata da Théodore Marie Ratisbonne (1802 – 1884). Nato a Strasburgo da una famiglia di banchieri ebrei, Ratisbonne si era convertito al cattolicesimo nel 1827 ed era divenuto sacerdote nel 1830. Nel 1843 a Parigi aprì una scuola gestita dalle prime due religiose, per educare cristianamente i figli delle numerose famiglie ebree, provenienti dai paesi dell’Europa dell’est, che lo desiderassero. Le Religiose di Nostra Signora di Sion hanno oggi come fine principale la promozione del dialogo interreligioso tra cattolici ed ebrei, ortodossi e musulmani, dedicandosi anche all’istruzione, alla catechesi e ad opere di assistenza sociale e sanitaria.
Giusti tra le Nazioni
Lo Yad Vashem ha riconosciuto a sette suore di Nostra Signora di Sion e ad un padre di Sion il titolo di Giusti per aver salvato degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale: a Parigi, Grenoble, Anversa e Roma. Dopo la retata al ghetto di Roma, infatti, e fino alla Liberazione, la Casa generalizia della congregazione, allora in via Garibaldi, aprì le porte fino a 187 ebrei romani, salvandoli dalle deportazione. È numericamente il più alto contributo dato da un istituto religioso femminile romano alle operazioni di assistenza agli ebrei perseguitati.
Suor Luisa Girelli
Nata a Roma il 13 maggio 1921, Marcella Girelli frequentò tutte le scuole presso le Suore di Sion, dove prese i voti poco più che maggiorenne, assumendo il nome di suor Luisa. Nel 1940 l’Italia entrò in guerra, ma la vita del convento continuò nella normalità, anche quando nel 1942 il Vaticano affidò all’Ordine di Sion il compito di trasformare in moduli le innumerevoli richieste di aiuto nella ricerca di dispersi che arrivavano da tutta Italia. |
La vicenda
Le prime famiglie erano state inviate da monsignor Giovanni Battista Montini, sostituto della Segreteria di Stato, futuro Paolo VI.
Lì, nel 1943, le suore, per non subire irruzioni da parte delle SS avevano appeso fuori dall’edificio un cartello con la scritta «zona extraterritoriale», e, in ogni caso, a ogni suono del campanello del cancello esterno, seguiva il tocco di una seconda campana all’interno che faceva sparire tutti (espediente assai diffuso in altre case religiose). Questo ingegnoso sistema d’allarme era in grado di allertare gli ebrei e dar loro il
Tra gli italiani accolti nel rifugio di via Garibaldi 28 si ricordano le famiglie Modigliani e Tagliacozzo, Ferruccio Sonnino, Emma ed Elisa Alatri, Renata Di Cori, Leone ed Elio Di Cori, Pietro Gayà. Tra gli ebrei stranieri, Ruth Musafia (poi Weiss) e lo zio Sasha Konforty, fuggiti da Zagabria.
Quanti gli ospitati?
Inizialmente fu dato il numero di 187 persone, anche se questa cifra è stata poi messa in dubbio. La stessa suor Luisa Girelli affermò che:
«All’inizio, forse proprio il 16 ottobre, arrivò un bel gruppo di ebrei, una quarantina circa. Alcuni rimasero, altri già nei giorni successivi si sistemarono altrove. Questo numero di 187 mi sembra un po’ esagerato e si può spiegare solo se si pensa ad un susseguirsi di persone, talvolta le stesse, nel corso del tempo. Tutti insieme non c’entravano proprio nell’istituto».
Una testimonianza
Suor Luisa, assieme a suor Filomena, raccontò momenti di terrore, ma anche altri di semplice gioia:
«Nel nostro istituto delle Suore contcmplative di Nostra Signora di Sion, la sera del 16 ottobre 1943 abbiamo visto arrivare al cancello di via Garibaldi una folla di persone che ci imploravano cli essere accolte. Quei primi giorni ne abbiamo ospitati 90 contemporaneamente. Era gente disperata, fuggita da casa così come si trovava, senza prendere nulla con sé. Solo dopo qualche giorno qualcuno si era azzarcÌato a prenclere almeno un po’ di biancheria. Per fortuna qualche soldo lo avevano, così almeno la fame non l’hanno sofferma: una suora infatti si incaricava di comprargli il ciho a borsa nera. Paura invece ne avevamo tutti e molta. Noi due eravamo giovani, 24 e 20 anni. Praticamente circondati dai tedeschi, stavamo sempre con il fiato sospeso, sempre nel timore di una spiata. (…)
La gente che si nascondeva da noi era molto affettuosa e cercava di rendersi utile in tutti i modi: ci aiutavano a portare i vassoi ai malati, portavano per noi i secchi. Eravamo come una famiglia. Il sabato loro prepavano nel salone. Una volta, da una madre cattolica, è persino nato un bambino. La notte di Natale del 1943 ci hanno fatto una sorpresa: mentre noi incominciavamo i nostri canti, loro che a nostra insaputa li avevano imparati tutti, sono venuti nella cappella per unirsi al nostro coro: Quella voce di uomini! Abbiamo pianto tutti dalla commozione».
Suor Maria Augustina Badetti e suor Maria Agnese Benedetti
Le suore richiesero un permesso speciale dal Vaticano per ospitare uomini. Oltre a suor Luisa, anche altre due suore, Maria Agnese (al secolo Emilia) Benedetti e Maria Augustina (al secolo Virginia) Badetti sono state inserite nella lista dei Giusti dello Yad Vashem.
Fonte: A. Majanlahti – A. Osti Guerrazzi, Roma occupata 1943 – 1944, Il Saggiatore 2010, pag. 216.
Le Benedettine di Priscilla… e Giulio Andreotti
Le Benedettine di Priscilla, sulla Via Salaria, nascondevano sia ebrei che antifascisti, il ministro del governo Badoglio, Visconti di Modrone, la signorina Stayer che si era convertita prima della guerra e lavorava in Vaticano, e anche disertori e soldati slavi. Le religiose si erano liberate delle divise e delle armi buttandole nelle catacombe. Così accolsero 28 ebrei, persino nascondendoli nelle catacombe quando temettero una perquisizione.
Una di loro andava tutti i giorni al mercato, anche fuori città, e tornava sempre con la spesa, fatta magari alla borsa nera. Gruppi di tedeschi andavano a visitare le catacombe mentre in monastero c’erano i rifugiati, e si servivano della guida di una religiosa tedesca. Le testimoni affermavano di non aver ricevuto un ordine dal Papa, ma che sapevano che nel Seminario Maggiore e in molti altri posti si faceva lo stesso (testimonianza di suor Serena e di suor Anna del 2 gennaio 1998, a Irene Fornari, L’opera di assistenza e di ospitalità della Chiesa a Roma durante l’occupazione nazifascista, Eesi di laurea, La Sapienza, Roma a.a. 1997/98).
Al tempo stesso, le monache fabbricavano tessere e carte d’identità false. La loro storia è conosciuta perché a rifornire tutti di documenti falsi era, dal Vaticano, un ventenne di nome Giulio Andreotti, il futuro uomo politico.
Le Clarisse di San Lorenzo
Sempre nella clausura, due monache clarisse di S. Lorenzo, ricordavano all’inizio del 1998 che avevano nascosto due ebree presentate dai padri Redentoristi, perché Pio XII raccomandava agli istituti di prenderli. L’ordine era arrivato oralmente tramite il vicariato, e pur essendo monastero di clausura, si poteva farlo per carità e per questa motivazione nessuna si era opposta (testimonianza di suor Assunta e suor Maria, rilasciata il 13 gennaio 1998 a Irene Fornari, Tesi di laurea citata).
Oblate Agostiniane di Santa Maria dei 7 Dolori
Durante l’occupazione nazista di Roma, il monastero delle Oblate agostiniane in Via Garibaldi fu uno dei principali luoghi di rifugio per gli ebrei romani; qui le monache accolsero 103 ebrei.
Orsoline di via Nomentana
Il titolo di Giusto tra le Nazioni spetta anche alla memoria di Marie Xavier Marteau (1870 – 1962), suora Orsolina.
Durante l’Occupazione, suor Marie Marteau, all’epoca Segretaria Generale della Congregazione, aveva aperto agli ebrei le porte del convento di via Nomentana, dando rifugio a 103 persone.
Nell’ottobre del 1943 la comunità religiosa aveva ricevuto un attestato firmato dal segretario di Stato di Pio XII, cardinale Maglione, secondo il quale la casa dipendeva direttamente dalla Santa Sede.
Il convento delle Orsoline si trovava a soli due chilometri da Villa Torlonia che era la residenza privata del duce. Il convento aveva anche una scuola, che venne occupata dalle SS. Allora le suore nascosero gli ebrei negli scantinati, dove rimasero al sicuro per tutta la durata della guerra, proprio sotto i piedi dei nazisti!
Il rischio corso dalle religiose era comunque molto alto, perché l’esibizione del cartello di proprietà della Santa Sede fermò alcuni tentativi di perquisizione, come presso le suore di Maria Bambina e le Brigidine, ma il 23 ottobre 1943 padre Aquilino Reichart, OFM Conv, della sacra Penitenzieria per la lingua tedesca, aveva avvertito i Superiori che mentre il malleabile generale Stahel (comandante militare di Roma dopo l’8 settembre) avrebbe rispettato gli edifici religiosi, non altrettanto avrebbero fatto le SS (Schutzstaffeln, Squadre di protezione).
Le Camaldolesi
La comunità delle monache camaldolesi a Roma nasce nel XVIII secolo dall’incontro tra una giovane vedova, madre di tre figli, Angela Pezza, e i cenobiti camaldolesi di S. Gregorio al Celio. La narrazione delle origini della comunità si trova nelle Notizie Memorabili delle Monache Camaldolesi del Monastero di S. Antonio Abbate in Roma compilate per ordine della Abbadessa Donna Maria Angela di S. Filippo Apostolo nell’anno 1865. Altre croniste si sono poi succedute nel tempo fino a agli anni ’50 del Novecento, lasciandoci le testimonianze della tradizione orale delle monache. La comunità ha sempre intessuto costruttivirapporti di dialogo intensi sia con la gerarchia ecclesiastica, sia con il mondo monastico benedettino maschile e femminile, particolarmente durante il Novecento.
Le monache camaldolesi romane hanno avuto una vita movimentata dovendo più volte cambiare sede, sia durante i moti napoleonici che sotto quelli repubblicani, e infine nel clima infiammato della Roma post-unitaria. È la stabilità finalmente acquisita sul colle Aventino che ha loro permesso lo sviluppo di una ricca rete di piccole residenze monastiche ed eremitiche e di priorati in ben quattro continenti.
Le camaldolesi di Roma hanno salvato durante l’occupazione nazista 15 ebrei accogliendoli nel monastero.
Recentemente si è aggiunta la documentazione delle Agostiniane dei Santi Quattro Coronati (Continua).